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venerdì 4 maggio 2018

Sunset 40 - Una giornata lunghissima (parte 2)


L'hotel era molto silenzioso: per forza, la strana invasione di ragazzini era tutta orientata verso i wrestler! Però non mi dispiaceva cercare Undertaker in tranquillità e, beh, se avessi dovuto scommettere su dove trovare un uomo che si fa chiamare "Il becchino" e che entra sul ring con una musica da mortorio, probabilmente sarebbe stato in qualche posto tranquillo.
Era improbabile che un omone oltre due metri passasse inosservato, o avessi avuto bisogno di piccoli indizi per trovarlo, ma il mio cervello non ne voleva sapere ed era passato ad analizzare tutti i piccoli movimenti che mi pareva di scorgere e ad analizzare tutti i piccoli suoni.
Dalla parete un ritratto mi sorrideva, seguendomi con gli occhi. La scena ritratta era allegra, una donna con un cappello cinto di fiori che sorrideva guardando l'osservatore, tenendosi con un braccio il cappello, ma l'artista aveva scelto di usare solo colori freddi per il suo quadro, e la sua pelle pallidissima mi rendeva nervosa. Lo sfondo era una parete, ma dietro di lei c'era un bancone con una tavolozza di colori usati.
A dire la verità non mi aspettavo minimamente di trovare Undertaker, con tutti i suoi colleghi che lo cercavano era statisticamente improbabile che fossi proprio io a beccarlo, ma mi sembrava comunque giusto fare la mia parte. Allo stesso tempo, sarebbe stato fico se, in modo statisticamente improbabile, fossi stata proprio io a trovarlo. Magari avrei potuto ringraziarlo per gli autografi.
Continuai a camminare, ascoltando il bisbigliare che venivano dalle camere, e più avanti, anche il suono nasale di un asciugacapelli.
Quello che accadde dopo nella realtà accadde molto velocemente, ma la mia mente elaborò tutto eliminando ogni concitazione e frenesia, attenta ai piccoli dettagli, forse perché era successo tutto silenziosamente.
In quel momento mi sentii invadere da una tranquillità sonnolenta, e quando mi voltai mollemente Jasper era dietro di me. Inutile dire che non lo avevo sentito arrivare.
I suoi occhi – dalle iridi di un ocra poco vivace – erano spalancati a guardare di fronte a sé, e la visione di lui che tremava anziché essere perfettamente immobile mi sembrò così naturale e umana da spaventarmi. Perché Jasper non era umano e non era una cosa naturale.
La mia paura fu subito soffocata da ondate gentili di calma, mentre Jasper mi guardava stringendo i denti e i pugni. «Jasper?» Sussurrai. Si portò lentamente un dito tremante alle labbra, intimandomi di rimanere in silenzio.
Sentii una voce canticchiare sotto voce, un tono virile e bellissimo, basso e virtuoso, e un uomo dai capelli brizzolati di grigio, vestito di nero e bianco, apparve nel corridoio tastando la parete. "Vivo per lei da quando sai, la prima volta l'ho incontrata..."
«Mi dispiace, Belarda» Mormorò Jasper implorante, e nella sua voce e nei suoi occhi c'era un tormento autentico, tanto intenso da farmi venire i brividi facendo breccia per un secondo oltre la coltre di tranquillità che mi aveva imposto «Mi dispiace, ma non posso fermarmi»
«Di che stai parlando, Jasper?» mormorai ferma al mio posto.
Conoscevo quell'uomo, quello brizzolato. Lo conoscevo bene, veniva dalla mia terra, mi piaceva. Vidi rilassare anche lui sotto l'effetto del potere di Jasper.
«Belarda...» Ansimò il vampiro, e si batté i pugni contro le tempie, stringendo gli occhi e smettendo di respirare del tutto, tremando convulsamente. Quando riaprì gli occhi aveva smesso di tremare e si era abbassato, il corpo scultoreo morbido ed elastico in posa predatoria. Mi ricordava un puma, seppure spiritato e freddo come il ghiaccio.
«Solo quest'ultimo e poi smetterò, ma nessuno può negarmelo. Non possono, capiranno. Mi dispiace, Belarda. Ma lui è il mio... lui è il mio cantante».
Jasper cedette, inspirò forte l'odore del corridoio sembrandone inebriato. Ed iniziò a strisciare velocissimo come un ragno proprio incontro ad Andrea Bocelli, il cantante lirico preferito di mio papà. Che era cieco, e non poteva vedere la mostruosità del corpo freddo di Jasper che gli si stava avvicinando velocissimo, senza produrre un sol suono.
"... Non mi ricordo come ma mi è entrata dentro e c'è restata...".
Jasper era ad un soffio dal signor Bocelli ormai, quando una sagoma umana gigantesca si allungò sul vampiro, con la testa coperta dal cappuccio della felpa scura a teschi e la mano destra stretta attorno a... ad una falce.
Battei le palpebre. La morte era venuta a reclamare il corpo già morto di Jasper.
In un attimo l'ombra aveva bloccato l'avanzata velocissima del freddo che mi era parsa inarrestabile; una mano gli afferrò il mento alzandolo di scatto, mentre la schiena di Jasper veniva bloccata con una ginocchiata al suolo con un rumore corposo e sinistro che fece bloccare Bocelli sul posto. Che razza di forza aveva per fermarlo in quel modo? Per fermare un vampiro?
Jasper voltò la testa verso il suo aggressore e snudò le zanne, pronto a provare a morderlo o sibilarlo, ma non ne ebbe il tempo. La lama non fece alcun rumore sulla pelle bianca e tesa del collo del vampiro, e nessuno schizzo di sangue teatrale segnò la separazione del corpo dalla testa ancora ghignante di Jasper. Sentii ogni tranquillità forzata svanire mentre l'alta figura incappucciata si aggiustava tranquillamente la testa mozzata del vampiro sotto l'ascella come una baguette e poggiava a terra la falce, bloccando sul terreno il corpo con entrambe le mani.
Trattenni il fiato, mentre Andrea Bocelli entrava nella sua camera, ignaro dell'enorme pericolo che aveva corso.
«Avrei bisogno di una mano» Mi disse Undertaker, scrutando proprio me da sotto il cappuccio nero. Il corpo decapitato di Jasper cercava ancora di opporre resistenza, ma lui lo teneva a bada con un po' di sforzo, lasciandomi disarmata.
"Che cosa sei tu?" Avrei voluto chiedergli.
O "Che ci facevi in giro con una falce in un hotel?".
Invece sorrisi, e dissi: «Certo».
Lui mi guardò serio
«Ho bisogno di un bidone della spazzatura. Di metallo, non di plastica»
«Un bidone di metallo, non di plastica» ripetei, per segnarmelo bene in mente
«Esatto. Al più presto, per favore».
Non me lo feci ripetere, ovviamente. Corsi al piano di sotto e per poco non ruzzolai lungo quattro rampe di scale, salvandomi all'ultimo secondo grazie al corrimano, a cui mi aggrappai con forza. Al piano di sotto iniziai a cercare freneticamente un bidone della spazzatura, ma riuscii a trovare solo quei piccoli bidoncini colorati fissati a dei paletti che servivano per buttarci dentro gli involucri della patatine o gli scontrini o tutte quelle piccole cose che i turisti si portano nelle tasche.
Anche fuori sembrava che non ci fossero bidoni grandi. Dannazione!
Iniziai a girare intorno all'albergo, finché non trovai un recinto metallico a cui era affisso un cartello "vietato l'ingresso dei non addetti ai lavori". Probabilmente lì dietro avrei trovato un bidone della spazzatura, altrimenti potevo anche lasciar perdere la mia ricerca.
Non sapevo scavalcare le recinzioni, perciò provai ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave. Mi chiesi se c'erano telecamere di sorveglianza a spiarmi. Ad ogni modo non aveva importanza: dovevo prendere quel bidone.
Afferrai un grosso vaso con dentro un ficus, usando tutta la forza che avevo, e lo scaraventai contro la porta di rete metallica, deformandola... ma non riuscendo ad aprirla. La colpii di nuovo e non accadde quasi nulla.
«No, no, no, no...».
Mi misi le mani fra i capelli, mentre il vaso di ficus rotolava lontano dai miei piedi e dalla porta.
«Oh, checcavolo... che cosa faccio adesso? Che cosa faccio adesso? Dove trovo un bidone? Pensapensapensapensa...».
Dove si produceva una grande quantità di spazzatura e dunque c'era bisogno di un bidone di grandi dimensioni per evitare di doverne svuotare il contenuto ogni ora? Ma certo, la zona ristorazione!
Galoppai di nuovo dentro l'albergo, lasciandomi alle spalle la porta abozzata da un ignobile atto vandalico. Avrei pagato più tardi per i miei errori, adesso dovevo compiere una missione.
Entrai nella grande sala per la colazione e mi guardai intorno: niente bidoni. Cambiai prospettiva e finalmente ne vidi uno, argenteo e perfetto, alto almeno un metro e venti. Dovevo rubarlo, ma come? Lo feci nel modo più semplice possibile: corsi, lo afferrai e mi allontanai nel modo più discreto possibile. Mi andò di lusso e probabilmente tutti pensarono che stavo andando a svuotarne il contenuto.
In effetti il bidone era pesante, odorava fortemente di banana, di riso e di cereali. Salii le scale in fretta, incurante del dolore lancinante ai polsi e alla schiena, alle piante dei piedi e alla faccia, quest'ultimo colpa del mio sorriso forzatissimo che doveva farmi sembrare normale e a mio agio, ma a ben pensarci probabilmente mi faceva sembrare una psicopatica che aveva rapito un bambino, lo aveva chiuso in un bidone e ora se lo stava portando in camera.
Quando raggiunsi il piano di Bocelli, Undertaker era ancora dove lo avevo lasciato, ma stava cercando disperatamente di trattenere Jasper (o almeno il suo corpo decapitato) che faceva la danza del tarantolato. Era una visione alquanto spaventosa.
«Ho trovato il bidone!» Esclamai, quasi senza fiato, poggiando a terra quell'enorme coso di metallo.
La mia schiena mi ringraziò formalmente.
«Aprilo» Mi disse Undertaker, che chiaramente non poteva farlo da sé, avendo le mani occupate
«Certo» risposi, afferrando il coperchio e buttandolo per terra.
Non ne potevano più, le mie mani. Non ne potevano più.
La prima cosa a finire nel bidone fu la testa di Jasper, che atterrò con un soffice tonfo sulle bucce di banana. Poi il suo corpo roccioso fu tagliato in due pezzi, all'altezza della vita, ed entrambi furono infilati e pigiati nel bidone insieme al capo.
Undertaker si abbassò per prendere da terra il coperchio, poi estrasse un cerino dalla tasca, lo accese sfregandoselo contro i pantaloni e lo buttò dentro al bidone, per poi chiuderlo velocemente.
Nonostante il contenitore fosse stato chiuso, un fumo scuro cominciò immediatamente a filtrarne fuori, insieme ad un odore terribile, pestilenziale, e ad un rumore di membra che si dibattevano.
Stavamo uccidendo Jasper, vero per davvero, finalmente.
Ci guardammo, io e Undertaker, da sopra il bidone puzzolente. Lui continuava a premere le mani contro il coperchio, come se temesse che Jasper potesse saltarne fuori da un momento all'altro, ma pochi istanti dopo si ritrasse.
L'odore di bruciato era sempre più forte, somigliava a dei vecchi calzini di spugna, di quelli spessi che si mettono le vecchie, a cui avevano dato fuoco dopo averli intinti nello sciroppo per la gola.
«Beh» Dissi, mettendomi le mani in tasca «Io, credo che, io... non si alzerà più, giusto?».
Lui annuì.
«Sei una ragazza con i nervi saldi, tutto sommato» Mi complimentò.
Io feci una risata isterica.
«Senti» Mi disse ancora «Non dovrai mai dire a nessuno di questa cosa»
«Giurin giurello» dissi in fretta, come una bambina di cinque anni «Che mi possa cadere un dente se farò questa cosa da perdente!».
Lui rimase in silenzio. Anche io l'avrei fatto al posto suo, era la soluzione più dignitosa.
Il bidone stava iniziando a diffondere, oltre all'odore mefitico, anche un bel calduccio e allungai le mani per riscaldarmi. Ero così felice di poter usufruire in questo modo di un vampiro!
Ce ne restammo così per qualche istante, finché i sensori antincendio non captarono il fumo e l'acqua del sistema iniziò a piovere in tutto il corridoio, inzuppandoci pur senza spegnere il fuoco che era saldamente protetto da un coperchio metallico.
«Che figata» Commentai, con l'acqua che mi scorreva sui capelli.
Lui mi sorrise, anche se forse me l'ero solo immaginato. Forse è più corretto dire "mi rivolse un'espressione lieve da cui trassi un sentore di complicità". Un sorriso è un po' esagerato.
Era tutto surreale, fuori dal mondo. Ero bagnata fradicia, a un paio di stanze di distanza da quella di Andrea Bocelli, a riscaldarmi le mani come una barbona sulla spazzatura (rubata) a cui avevamo dato fuoco (ovviamente Jasper faceva parte della spazzatura). E in tutto questo ero con Undertaker, che aveva una falce, un'autentica falce tagliavampiri (no, probabilmente quella cosa serviva per il grano, però i vampiri li tagliava bene) che era riuscito ad introdurre chissà come dentro un hotel a Phoenix.
All'improvviso comparve qualcuno in fondo al corridoio. Sobbalzai, spaventata dall'idea che Alice fosse venuta per vendicarsi, poi mi tranquillizzai. Era CM Punk, che ci aveva trovati.
Tossì forte, mentre si avvicinava ad ampie falcate, arrabbiato
«Macchecavolostatefacendo?» Domandò «Date fuoco alla spazzatura?»
«Siamo dei vandali» rispose Undertaker, senza fare una piega
«E tu, Belarda! Lo assecondi!»
«Non posso dirgli di no, non posso dire no a niente che dice lui!»
«Aaaaahhhh!» Punk si mise le mani sulle tempie, artigliandosi i capelli «Io corro su e giù come un pazzo per tutto l'albergo e voi siete qui che date fuoco alla spazzatura! Che immensa maturità!» .
Abbassai gli occhi sulle mie scarpe. Cavoli, mi vergognavo. Non volevo deludere CM Punk, ma non potevo certamente dirgli come le cose erano andate davvero.
«Scusa» Mormorai
«Non è colpa tua» fece lui, ringhiando «È questo... degenerato... che... fa fare cose strane alla gente»
«No, è colpa mia» mi misi una mano sul petto «Sono stata io che... è colpa mia...».
Perché mi stavo prendendo la colpa di Undertaker? Non lo so, credo che sia quello che avrebbe fatto chiunque. O forse era un gesto di gratitudine per aver fatto fuori Jasper.
Undertaker alzò il coperchio del bidone e un'immensa bolla di fumo nero e acre, così denso come non ne avevo mai visto, si sprigionò per tutto il corridoio. Punk prese a tossire furiosamente mentre ci pioveva di nuovo acqua addosso.
Quando il fumo si fu dissipato e io pensai di aver tossito fuori i polmoni, Undertaker era sparito.
CM Punk cercò di urlare di frustrazione, ma gli venne fuori un pigolio smorto e poi riprese a tossire. Della gente uscì dalla stanze e io mi sentii avvampare. Avrebbero pensato tutti che eravamo stati io e Punk ad aver messo fuoco alla spazzatura!
«Siete dei maledetti vandali!» Urlò una vecchietta con un vestito a fiori ed un ampio cappello da sole «Come vi permettete! Qui c'è gente con l'asma!»
«Non siamo stati noi!» piagnucolai, anche se in realtà un po' ero stata io
«Signora, ma il cappello in camera?» domandò Punk, sorpreso
«E i capelli lunghi anche se sei maschio?» ribatté prontamente la signora, imbronciata
«Che schifo!» Urlò un signore ben vestito, dai capelli pettinati con almeno una tonnellata di brillantina «C'è un odore che non si respira!»
«Scappiamo» disse Punk, dandomi la mano.
Fuggimmo. Ricorderò per tutta la vita gli improperi che la vecchietta dal cappello ci lanciò dietro, ma non oso ripeterli.
Quando fummo vicini al bar, ci fermammo a riprendere fiato. Mi sentivo stanchissima.
«Undertaker è uno scaricabarile professionista» Commentò Punk, divertito e arrabbiato insieme «Non ho mai, mai, mai visto nella vita un'azione di scaricabarile più efficace di questa. Vandalo e scaricabarile. Ma perché bruciavate la spazzatura?»
«Ehm... io...».

Non riuscii a rispondere, non potevo inventarmi nessuna scusa. Balbettavo, arrossivo, inciampavo nelle mie stesse parole.
Il telefono di CM Punk squillò all'improvviso. Non disse nulla, tranne un "si" alla fine.
«Bene, l'hanno ritrovato e riportato» Disse, quando ebbe chiuso la chiamata «Ce ne andiamo. Allora ciao, Belarda»
«Ciao, CM Punk. Spero di rivederti»
«Io spero che tu ti sia pentita di quello che hai fatto» scherzò lui «Andiamo, mettere fuoco alla spazzatura!»
«Non sono stata io, è stato lui. Ma non potevo fermarlo, no?»
«Questo spiega in parte le cose» Punk annuì, poi alzò una mano in gesto di saluto e si allontanò. Presi un respiro profondissimo.
Jasper era morto. Dentro di me, un fiore di speranza iniziò a sbocciare.
Decisi di ritornare in camera a riposare, ovviamente dopo essermi fatta una doccia nelle docce vicino alla piscina per levarmi di dosso quella puzza di fumo terribile: era stata una giornata lunghissima. 



giovedì 3 maggio 2018

Sunset 39 - Una giornata lunghissima (parte 1)


Loro restarono nella stanza. Alice chiese alla reception di non preoccuparsi delle pulizie in camera. Le finestre erano sempre chiuse, la TV sempre accesa, benché nessuno la guardasse. La colazione arrivò in camera regolarmente, ma mi era difficile mangiare con il modo in cui loro si facevano sempre più immobili, due statue i cui occhi mi seguivano con spostamenti impercettibili.
Erano bruttissimi, sembravano la versione "bambola assassina" di due statue di marmo.
Mi avvicinai alla statua con i googly eyes più bassa e le dissi «Voglio fare colazione»
«È lì, è arrivata»
«Un'altra colazione».
Alice mi sganciò altri cinquanta dollari, visto che sembrava non avere cartamoneta di taglio più piccolo. Così, per evitare di rimanere in camera e di non godermi un soggiorno pagato in un albergo di lusso, alle sette in punto di quella giornata lunghissima uscii dalla camera.
Per prima cosa mi recai a procurarmi un cappellino. Si, prima della colazione. Era un cappellino viola, con sopra scritto, a grandi lettere fiammeggianti rosse "Phoenix", e lo indossai con il pigiama prima di rendermi conto che ero ancora in pigiama.
Non andai a cambiarmi: volevo fare la bella vita, mangiare cornetti in pigiama e cappello e quelle cose lì. Il bar pullulava di ragazzini, che però non mi infastidirono, attirati come una falena da una candela dalla presenza di John Cena che dispensava autografi e consigli di vita ad un tavolino diverso da quello di ieri, mostrando di quando in quando i bicipiti.
Buttando alle ortiche ogni prudenza mi avvicinai al wrestler: volevo toccare quei bicipiti. All'ultimo secondo mi ricordai di essere una persona timida, e così mi abbassai sulle ginocchia e lo toccai comunque confondendomi con i ragazzini, prima di sgattaiolare via in tutta fretta e ordinare un cornetto al pistacchio.
Attirai qualche occhiata stranita dei giovani fans, ma per fortuna non ero interessante quanto il loro idolo. Scelsi un tavolino tranquillo e mi accomodai.
I tavoli erano metallici, perfettamente rotondi e poggiati su un solo piede, disposti lontani l'uno dall'altro davanti al bancone chiaro, dietro cui figuravano tutta una serie di espositori di chewing-gum, caramelle e dolcetti commerciali dai cioccolatini alle barrette di cereali.
Ripensai ai dolci del mio paese, alle susumelle, e notai quanto povera fosse la scelta americana. Gli americani potranno essere bravi in tante cose (no, non è vero, non sono bravi in quasi niente) ma di certo non sono bravi a fare i dolci. L'unica cosa che fanno, quando li preparano, è metterci dentro zucchero e poi colorarlo. Tutti quei dolciumi erano praticamente fatti di zucchero colorato con aromi e un pizzico di roba a caso che dava il nome al dolce (se per esempio c'era un pizzico di riso soffiato, dicevano che era una barretta di riso soffiato).
Ero persa nelle mie elucubrazioni sull'industria dolciaria del nuovo continente quando intravidi una mutanda familiare. In un lampo di giallo notai che CM Punk era entrato nel bar e che stava cercando di camminare raso-muro per evitare la folla di ragazzini vocianti, che per fortuna erano molto presi da John Cena, che ora gli stava facendo vedere i polpacci.
Se non voleva farsi notare, però, gli avrei consigliato di mettersi un paio di pantaloni.
«Psttt!» Esclamai, sventolando una mano per farmi vedere «Ehi! Ehi!»
«Ah!» lui parve sorpreso di vedermi e si infilò le mani nella felpa grigia «Belarda?»
«Vieni qui! Presto!» sussurrai, con aria di cospirazione.
Lui mi sgattaiolò accanto. Eravamo seduti nel tavolino più discosto e seminascosto del bar, perciò le possibilità che i bimbi lo notassero calavano di almeno il... facciamo una percentuale a caso... ventisette percento.
«Belarda Cigna!» Disse, indicandomi con il doppio segno della pistola prima di sedersi
«Ehi, CM Punk! Il campione di...»
«SHHHH!» mi fece lui «Chiamami con un altro nome»
«Pensavo che i bambini ti piacessero» replicai, sorpresa
«Beh, non a colazione. A colazione l'unico che può sopportare venti bambini ottenni è John Cena. Ma lui non è umano, è una specie di trademark a forma di persona che sponsorizza scarpe e cereali»
«Ho toccato i suoi bicipiti» rivelai «Fingendomi un'ottenne»
«Wow» mi guardò come si guarda la ciambella più grande del mondo «La cosa che mi stupisce di più è che tu ci sia riuscita»
«Sono piena di risorse. Mi sorprendo da sola a volte. Soprattutto negli ultimi mesi»
«E ne è valsa la pena?»
«Sono bicipiti... ben fatti»
«E i miei?» disse lui, flettendo un braccio
«Non lo so» risposi «Sono sotto la manica. Fammi toccare!».
Allungai una mano coraggiosamente per tastare il muscolo e lo trovai duro, ma...
«Non è come quello di John Cena» dissi «È un po' più cedevole»
«Ehi!» fece lui, aggrottando le sopracciglia e abbassando il braccio «Io sono un essere umano, John Cena no»
«Come braccio di essere umano è fantastico»
«Grazie»
«No, davvero, a parte...» stavo per dire "a parte Edward Cullen, è il braccio più duro che abbia mai toccato, in un essere umano", poi mi ricordai che quel coso era un vampiro e scossi la testa
«A parte?»
«Ehm...» feci un gesto con la mano come ad anticipare un discorso complesso, cercando di prendere tempo «... la costellazione dell'Auriga...»
«Non l'ho capita»
«Neanch'io. Me la devono ancora spiegare. È una cosa che mi ha detto Cullen, quel ragazzo che ha comprato tutti i biglietti dell'arena»
«Oh, me lo ricordo, si» lui annuì brevemente «Senti, devo darti una cosa»
«Che cosa?» domandai, curiosissima
«Una cosa che vuoi proprio...»
«Oddio, aspetta che devo trovare la penna per segnarmelo...»
«Che cosa devi segnarti?» fece lui, cercando di trattenere le risate
«Niente» dissi guardinga, arrossendo «Cosa mi dai?».
Lui scoppiò a ridere questa volta e si frugò nelle tasche della felpa, da cui trasse due opuscoli dell'albergo.
«Oh, i libretti dell'albergo!» Esclamai «Grazie!»
«Erano o non erano ciò che volevi?» domandò lui, con aria complice
«Ehm...» non potevo dire di no a CM Punk, uno dei miei eroi «... Sono tanto carini! Grazie!»
«Belarda! Aprili almeno!».
Io feci come mi veniva ordinato, srotolai la prima brochure informativa e vidi che c'era una macchia sul cielo della fotografia in mezzo. Misi a fuoco la macchia: era la firma di The Undertaker.
«COSA?!» Feci, il tono di voce altissimo
«Shhh!» ingiunse lui «Non attirare l'attenzione! Ti ho fatto firmare degli autografi!»
«Tu sei bellissimo, i tuoi bicipiti sono molto meglio di quelli di John Cena! È proprio quello che volevo!»
«Se ti stai chiedendo perché proprio gli opuscoli... sappi che è perché ci era fermo davanti e non avevo altra carta. Dovevo agire in fretta» disse, in tono professionale «Sai, gli Undertaker sono animali schivi. Gli ho lanciato la penna e gli ho detto "firma!". Ho rischiato la vita, sai?»
«E lui ha firmato così? Al tuo ordine?» chiesi, cercando di figurarmelo
«Ehm... non proprio. Prima mi ha guardato strano. Poi gli ho indicato cosa doveva firmare. E poi gli ho dato tutta la mia colazione e ho detto "per favore". Ed ecco perché ora sono qui: perché ho fame e la mia colazione in camera se l'è mangiata lui».
Volevo ridere, ma anche abbracciarlo e dirgli "poverino!". Non feci nessuna delle due cose, ma chinai la testa e dissi piano «Grazie»
«Oh, di niente» si strinse nelle spalle «Ora mi compro una colazione migliore»
«No, no, offro io!» dissi, tirando fuori una banconota (anzi, la banconota) da cinquanta dollari «Prenditi quello che vuoi!»
«Grazie!».
Ordinammo zucchero ricoperto di zucchero con ripieno di zucchero che pretendevano di essere ciambelle. Erano dolci. Squisite proprio no, ma dolci si.
«Dovremmo smaltirle» Disse Punk, quando ebbe finito la sua, con tutti i baffi spolverati di zucchero a velo «Che facciamo?»
«Ehm... ma tu non devi ripartire con la WWE?»
«No» lui scosse la testa, affranto
«Cosa? Perché? Che è successo? Ti hanno licenziato? Sono stupidi, non ti meritano!».
Lui rise di gusto
«No, è che partiamo più tardi. Sono stato l'ultimo ad avvistare Undertaker»
«In che senso?» feci, scettica
«Nel senso che sono animali schivi, gli Undertaker» mi illustrò lui, appoggiandosi allo schienale della sedia «E dopo che si è procacciato la mia colazione, è scomparso. Quindi non possiamo partire finché non lo abbiamo ritrovato. E non lo abbiamo ritrovato. Mi mandano un messaggio quando succede, anche se il modo migliore per sapere se stiamo per partire è vedere John Cena che scolla le chiappe dalla sedia del bar».
Adesso ero preoccupata. Undertaker era scomparso (dopo avermi firmato due brochure, evviva!) e nell'albergo c'erano due vampiri che non lo amavano proprio di cuore probabilmente.
«Non possiamo cercarlo?» Domandai
«Scherzi?» lui sghignazzò «Mica è la prima volta che capita! Andiamo a divertirci! Smaltiamo le ciambelle! Ti va di venire in piscina?»
«Non ho un costume...»
«Ti va di andare a fare shopping e poi andare in piscina? Ti presento altri wrestler!»
«Assolutamente si!» quasi saltai sulla sedia, il che significa che caddi a terra rovinosamente dopo essere sobbalzata e aver intrappolato i piedi fra quelli della sedia stessa.
«Ti sei fatta male?» Domandò Punk
«Se è successo» risposi, alzandomi in fretta come se nulla fosse accaduto «Non l'ho sentito. Quindi no!»
«Ma non ti aveva investita un orso?»
«Si!» esclamai, lanciando in aria le braccia «Ma oggi mi sento benissimo!».

Era vero, mi sentivo una favola, ma credo che fosse tutta colpa degli ormoni. Oppure aver toccato il bicipite di John Cena mi aveva sanata da tutti i mali. Chi lo sa!
Andammo a comprare un costume per me. Acquistai il bikini più coprente del negozio, un coso viola e blu a strisce diagonali zigzaganti.
Quando lo indossai, Punk fece finta di essere diventato cieco, poi mi sbirciò fra le dita di una mano e disse
«Oh porca miseria, sei ricoperta di lividi!».
Mi guardai nello specchio del negozio: ero viola a blu a strisce diagonali zigzaganti, perciò ero un tutt'uno con il mio costume. Avevo un aspetto orribile.
«È perché ho investito un orso» Gli ricordai «Sono solo superficiali, si riassorbiranno»
«Mi sento male per te»
«Io sto bene»
«È perché sto assorbendo io il tuo dolore, evidentemente. Oh mamma, ora mi fanno male le ginocchia!».
Ci recammo a bordo piscina, dove alcune divas (wrestler della WWE femmine, che per qualche motivo si chiamano così) prendevano il sole con bikini molto più alla moda del mio. In acqua, Bobby Lashley schizzava un gruppo di ragazzini.
C'erano troppi ragazzini. Da dove erano usciti? Chi li aveva fatti entrare nell'albergo?
«Wow!» Dissi, tenendomi per me le considerazioni sui giovincelli «Piscina!»
«Proprio quella» confermò Punk, togliendosi la felpa «Facciamo un tuffo?»
«Ma tu... non devi cambiarti?»
«No!» esclamò lui, tutto fiero «Il costume da wrestling fa da pantalone, biancheria e anche da costume da bagno! YAY!» e poi si tuffò a bomba, schizzandomi.
CM Punk, era evidente, non si cambiava molto spesso.
Entrai in acqua, un po' titubante, temendo di scivolare e dare una testata al bordo che mi sarebbe risultata fatale. Scivolai comunque, ma almeno caddi in acqua.
Quando risalii mi scontrai con i piedi di un ragazzino, ma quello non ci fece molto caso.
Punk mi schizzò con l'acqua
«Lenisco le tue ferite! Lenisco le tue ferite!» esclamò
«Muoio!» replicai, andando a fondo in un turbinio di bolle.
Fui contenta di sentire che anche altra gente, oltre a noi, rideva di quello stupido siparietto. Eravamo in acqua a rilassarci da una ventina di minuti (e le mie dita stavano iniziando a cambiare forma) quando spuntò un tizio immenso e pelato, con un costume da bagno che somigliava a quello di un cavernicolo, con una bretella sola.
«È Big Show!» Urlò CM Punk, con aria terrorizzata «Presto, usciamo dall'acqua!»
«Perché?» chiesi io, vagamente affascinata da cotanta immensità.
Big Show era il wrestler vivente più pesante della WWE, un bestione immenso, più alto di Undertaker (anche se non altrettanto spaventoso), ma con l'aria da gigante gentile, che veniva avanti salutando tutti per nome. Salutò anche Punk, sorridendogli.
E poi salutò me, anche se non conosceva il mio nome. Mi disse «Ciao ragazza con il costume blu e viola»
«Ciao Big Show!» dissi incantata di rimando, mentre qualcuno cercava di trascinarmi per un braccio fuori dalla piscina.
CM Punk smise all'improvviso di tirarmi
«Se non esci dalla piscina ti farai male» disse, mentre si arrampicava come un ragno sulla scaletta «Fuori! Presto!».
Mi disincantai giusto il tempo per riuscire a seguirlo (ma con calma). Appena fui fuori capii perché mai Punk mi avesse fatto quella strana richiesta.
Big Show prese la rincorsa, e vedere quel bestione cicciottoso che correva era assolutamente una cosa fuori dal mondo. Poi saltò e vederlo saltare fu anche meglio. Ma la cosa migliore fu quando, come una palla di cannone, fendette l'acqua della piscina, causando onde anomale che sbatacchiarono tutti quelli che erano nell'acqua, dispersero i bambini a destra e a manca e fecero andare persino la testa di Bobby Lashley sotto.
«Wow» Dissi
«Si» replicò Punk «Ma fidati, non ti piacerebbe trovarti sulla traiettoria. Non piacerebbe a nessuno».
Annuii guardando ancora meravigliata gli effetti di un semplice tuffo. Non faceva per niente freddo, però iniziavo a sentirmi a disagio fuori dalla piscina in costume, perché la gente si fermava a guardarmi i lividi.
«Io vado a rivestirmi, sono a posto con la piscina» Dissi a CM Punk.
Quando mi fui rimessa il pigiama e il mio cappellino di Phoenix, mi sentii di nuovo più a mio agio. Non proprio completamente a posto, ma più umana di prima e meno un kebab ambulante con uno strano incarto.
Quando io e Punk ci rincontrammo, nella reception, lui si era finalmente infilato un paio di pantaloni.
«Non credo di averti mai visto così» Dissi piano
«Sei sicura di essere una mia fan?»
«Si»
«E non hai mai cercato foto di me fuori dal ring su internet?»
«Non sono interessata alle paparazzate» dichiarai, seria «Mi piace il wrestling, non spiare nelle vite di persone che rispetto»
«Wow» Punk batté le palpebre «Mi fai sentire a disagio. Io ho cercato un sacco di foto di wrestler fuori dal ring»
«Peggio per te» replicai, facendogli una linguaccia e facendolo ridere.
Chiacchierando delle nostre personalità preferite della WWE, uscimmo per fare una passeggiata e sperai vivamente che Alice non si arrabbiasse per questo e venisse a prendermi dalle orecchie. Ma comunque dubitavo che James, il segugio vampiro, volesse venire a rapirmi di fronte a tutta quella gente che passeggiava per le vie di Phoenix, in pieno giorno, quindi ero probabilmente al sicuro.
«Tu invece non ti sei cambiata» Mi fece notare Punk «Io mi sono messo i pantaloni, ma tu sei con il pigiama»
«Ah, si» mi sfregai la testa «Ehm, non voglio tornare in stanza. Preferisco... mi vengono gli attacchi di panico»
«Oh, scusa. Va bene, stai fuori. Hai detto che sei venuta con degli amici, chi sono?»
«I fratelli di Edward Cullen, quello che...»
«Quello che ha comprato tutti i biglietti per l'arena, lo so» mi interruppe lui «E perché mai sei con loro?»
«Lunga storia» mi strinsi nelle spalle «Sono solo... niente, è una lunga storia. Mi annoio da sola a raccontarla».
Non era vero, volevo gridarlo a tutti, volevo che lo sapesse il mondo intero: ero stata rapita dai Cullen, rapita dai maledetti vampiri, ed ero inseguita da un mostro succhiasangue che voleva uccidermi per una stupida sfida contro sé stesso. Sorrisi debolmente. Punk non se la bevve, ma non fece altre domande.
Passeggiammo all'ombra dell'albero quando iniziò a fare troppo caldo, poi Punk mi presentò un paio di manager e un cameraman della WWE. I due manager erano signori di mezz'età che riuscivano a portare giacca e cravatta anche con quel sole, ma il cameraman, in maglietta e pantaloncini siglati con la W di WWE, era uno dei ragazzi più belli che avessi mai visto in vita mia, con la pelle bronzea e folti capelli neri riccissimi tenuti insieme in un cespuglioso codino. Aveva le ciglia così scure che sembrava si fosse messo l'eyeliner e si chiamava Bandele.
«Molto piacere» Mi disse, porgendomi la mano. Aveva un accento leggero, ma non capivo da dove venisse.
«Molto pia» risposi, dimenticandomi il "cere", troppo affascinata.
La sua stretta di mano era asciutta e forte e virile e durò poco meno di due secondi.
«Cere» Completò per me CM Punk, sghignazzando «Belarda ha avuto un incidente con un orso, non sta troppo bene»
«Oh, mi dispiace» disse Bandele «Anch'io una volta ho incontrato un orso. Era una femmina, ma aveva i piccoli e mi ha minacciato ed è stato davvero orribile».
Batté le palpebre. Sembrava una statua di bronzo che aveva preso vita.
«Già» Risposi, laconica.
Che mi prendeva? Ero riuscita a parlare con CM Punk, persino con Undertaker, e ora mi bloccavo con questo cameraman solo perché era carino? Non appena ripensai ad Undertaker e al fatto che ero riuscita a rivolgergli la parola senza morirne, mi rilassai immediatamente.
«Comunque non sono stata attaccata da un orso» Precisai «L'ho investito con la macchina, è diverso»
«Hai investito un orso?» Bandele strinse gli occhi «Come è successo?»
«Oh beh, è spuntato all'improvviso ed era troppo veloce, quindi l'ho investito. È stato uno sbaglio. Ma non preoccuparti» strinsi i pugni «L'orso è sopravvissuto»
«Vieni, Belarda» fece Punk, tirandomi delicatamente per la manica del pigiama «Ti presento John Morrison».
Bandele era bello, ma John Morrison era un dio in terra. Seguii immediatamente Punk, dopo aver salutato il cameraman con un cenno della mano. Ero in un posto dove erano tutti belli e tutti nel mondo del wrestling.
John Morrison, con una maglietta aderente al torace scolpito, se ne stava al sole in piedi, guardando il cielo. Aveva, come al solito, un paio di occhiali da sole decorati da croci bianche nel mezzo delle lenti.
«Ehi, Jo Mo!» Lo salutò Punk «Che fai?»
«Prendo la tintarella alla faccia» rispose l'altro, aggiustandosi i lunghi capelli castani con una mano
«Con gli occhiali poi sembrerai un panda reverse»
«Fatti gli affari tuoi» disse piano Morrison, ma si tolse gli occhiali e mi guardò «E chi è questa signorina?»
«È Belarda Cigna. Ti ricordi, ti ho parlato di lei»
«Certo» John Morrison mi allungò una mano per farsela stringere «È la ragazza con cui hai inseguito Undertaker al ristorante»
«Molto piacere» dissi, sentendomi arrossire «Belarda»
«Piacere, John» rispose, sfoggiando un sorriso affascinante «Non andare troppo in giro con Punk»
«Oh, andiamo!» esclamò l'altro wrestler «Non fare così!»
«L'ultima volta che sono andato in giro da solo con lui» mi raccontò Morrison, in tono confidenziale «Ci siamo persi e siamo finiti nello studio di una tatuatrice pesante duecento chili che ha preteso di fargli un tatuaggio. Sono riuscito a scappare dalla finestra prima che finisse male anche per me»
«Davvero?» mi coprii la bocca per smorzare una risatina che sembrava isterica
«Davvero» John si rimise gli occhiali «Non farti portare in posti strani. Non ha idea di niente».
Punk, offeso, prese a fargli la ramanzina, ma Morrison si allontanò con le braccia incrociate e il passo elegante di qualcuno che ha preso spesso lezioni di postura.
«Non sono il più amato negli spogliatoi» Confessò CM Punk «Ma in realtà fanno così solo di fronte alle altre persone, mi vogliono bene. Kane mi vuole bene di sicuro! Se lo trovo te lo presento... Cioè, per la seconda volta...».
Non riuscimmo a trovare Kane da nessuna parte.
«Deve essere sparito insieme ad Undertaker» Scherzai
«Noooo» Punk scosse la testa «Hanno interessi troppo diversi per sparire insieme. Kane sarà da qualche parte a sperimentare la cucina tipica e a parlare della società con la gente locale. Undertaker sarà infilato nel più vicino canile a cercare di rubare tutti i rottweiler e di usarli per terrorizzare i volontari».
Risi nervosamente. Avevo proprio il timore che Undertaker fosse da tutt'altra parte: morto, ucciso dai vampiri, oppure trasformato in un orso mannaro che stava mangiando la gente in autostrada.
D'improvviso il telefono di CM Punk squillò, con la sua canzone di entrata in arena come suoneria.
«Pronto?» Rispose «Si? Come... no... dai... ma che c'entro io? In che senso?» fece una lunga pausa, ascoltando concentrato «Questo non c'è sul mio contratto, Sean. Si? E va bene. No. Ciao».
Chiuse premendo un pulsante e si rimise l'apparecchio in tasca, poi mi guardò con un'espressione strana
«Allora...» esordì «...Mi vuoi aiutare a fare una cosa?»
«Che cosa?» indagai, sperando che non fosse andare alla ricerca di una tatuatrice di trecento chili che voleva forzarmi a fare tatuaggi
«Taker non si trova proprio da nessuna parte, così stanno dicendo a tutti i wrestler di cercarlo» sbuffò «Non fa parte dei nostri compiti, ma proprio non si può partire senza di lui e, francamente, è quasi meglio così, possiamo restare un altro po' qui, anche se poi in effetti dovremo fare tutto di fretta quando arriveremo al prossimo albergo, ma vabbè, non importa... mi aiuti a cercarlo?»
«Certo!» esclamai
«Allora dobbiamo dividerci. Tu vai di là» indicò una direzione in modo vago, con la mano che oscillava «E io vado dall'altra parte. Cerchiamo dentro l'albergo, mi hanno detto che mi hanno assegnato qui, anche se non capisco perché ci hanno assegnati a dei posti specifici, ma vabbé».
Stavo per chiedergli se probabilmente non avevano affibbiato anche alla mia direzione un wrestler per cercare Undertaker, ma aveva già iniziato ad allontanarsi e non volevo rallentarlo chiacchierando.
«A dopo» Dissi soltanto, e mi infilai nel primo corridoio del "mio" settore, camminando a passo veloce. 


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