L'hotel era molto
silenzioso: per forza, la strana invasione di ragazzini era tutta
orientata verso i wrestler! Però non mi dispiaceva cercare Undertaker in
tranquillità e, beh, se avessi dovuto scommettere su dove trovare un
uomo che si fa chiamare "Il becchino" e che entra sul ring con una
musica da mortorio, probabilmente sarebbe stato in qualche posto
tranquillo.
Era improbabile che un
omone oltre due metri passasse inosservato, o avessi avuto bisogno di
piccoli indizi per trovarlo, ma il mio cervello non ne voleva sapere ed
era passato ad analizzare tutti i piccoli movimenti che mi pareva di
scorgere e ad analizzare tutti i piccoli suoni.
Dalla parete un ritratto
mi sorrideva, seguendomi con gli occhi. La scena ritratta era allegra,
una donna con un cappello cinto di fiori che sorrideva guardando
l'osservatore, tenendosi con un braccio il cappello, ma l'artista aveva
scelto di usare solo colori freddi per il suo quadro, e la sua pelle
pallidissima mi rendeva nervosa. Lo sfondo era una parete, ma dietro di
lei c'era un bancone con una tavolozza di colori usati.
A dire la verità non mi
aspettavo minimamente di trovare Undertaker, con tutti i suoi colleghi
che lo cercavano era statisticamente improbabile che fossi proprio io
a beccarlo, ma mi sembrava comunque giusto fare la mia parte. Allo
stesso tempo, sarebbe stato fico se, in modo statisticamente
improbabile, fossi stata proprio io a trovarlo. Magari avrei potuto
ringraziarlo per gli autografi.
Continuai a camminare,
ascoltando il bisbigliare che venivano dalle camere, e più avanti, anche
il suono nasale di un asciugacapelli.
Quello che accadde dopo
nella realtà accadde molto velocemente, ma la mia mente elaborò tutto
eliminando ogni concitazione e frenesia, attenta ai piccoli dettagli,
forse perché era successo tutto silenziosamente.
In quel momento mi
sentii invadere da una tranquillità sonnolenta, e quando mi voltai
mollemente Jasper era dietro di me. Inutile dire che non lo avevo
sentito arrivare.
I suoi occhi – dalle
iridi di un ocra poco vivace – erano spalancati a guardare di fronte a
sé, e la visione di lui che tremava anziché essere perfettamente
immobile mi sembrò così naturale e umana da spaventarmi. Perché Jasper non era umano e non era una cosa naturale.
La mia paura fu subito
soffocata da ondate gentili di calma, mentre Jasper mi guardava
stringendo i denti e i pugni. «Jasper?» Sussurrai. Si portò lentamente
un dito tremante alle labbra, intimandomi di rimanere in silenzio.
Sentii una voce
canticchiare sotto voce, un tono virile e bellissimo, basso e virtuoso, e
un uomo dai capelli brizzolati di grigio, vestito di nero e bianco,
apparve nel corridoio tastando la parete. "Vivo per lei da quando sai, la prima volta l'ho incontrata..."
«Mi dispiace, Belarda»
Mormorò Jasper implorante, e nella sua voce e nei suoi occhi c'era un
tormento autentico, tanto intenso da farmi venire i brividi facendo
breccia per un secondo oltre la coltre di tranquillità che mi aveva
imposto «Mi dispiace, ma non posso fermarmi»
«Di che stai parlando, Jasper?» mormorai ferma al mio posto.
Conoscevo quell'uomo,
quello brizzolato. Lo conoscevo bene, veniva dalla mia terra, mi
piaceva. Vidi rilassare anche lui sotto l'effetto del potere di Jasper.
«Belarda...» Ansimò il
vampiro, e si batté i pugni contro le tempie, stringendo gli occhi e
smettendo di respirare del tutto, tremando convulsamente. Quando riaprì
gli occhi aveva smesso di tremare e si era abbassato, il corpo scultoreo
morbido ed elastico in posa predatoria. Mi ricordava un puma, seppure
spiritato e freddo come il ghiaccio.
«Solo quest'ultimo e poi
smetterò, ma nessuno può negarmelo. Non possono, capiranno. Mi
dispiace, Belarda. Ma lui è il mio... lui è il mio cantante».
Jasper cedette, inspirò
forte l'odore del corridoio sembrandone inebriato. Ed iniziò a
strisciare velocissimo come un ragno proprio incontro ad Andrea Bocelli,
il cantante lirico preferito di mio papà. Che era cieco, e non poteva
vedere la mostruosità del corpo freddo di Jasper che gli si stava
avvicinando velocissimo, senza produrre un sol suono.
"... Non mi ricordo come ma mi è entrata dentro e c'è restata...".
Jasper era ad un soffio
dal signor Bocelli ormai, quando una sagoma umana gigantesca si allungò
sul vampiro, con la testa coperta dal cappuccio della felpa scura a
teschi e la mano destra stretta attorno a... ad una falce.
Battei le palpebre. La morte era venuta a reclamare il corpo già morto di Jasper.
In un attimo l'ombra aveva bloccato l'avanzata velocissima del freddo che mi era parsa inarrestabile; una mano gli afferrò il mento alzandolo di scatto, mentre la
schiena di Jasper veniva bloccata con una ginocchiata al suolo con un
rumore corposo e sinistro che fece bloccare Bocelli sul posto. Che razza
di forza aveva per fermarlo in quel modo? Per fermare un vampiro?
Jasper voltò la testa
verso il suo aggressore e snudò le zanne, pronto a provare a morderlo o
sibilarlo, ma non ne ebbe il tempo. La lama non fece alcun rumore sulla
pelle bianca e tesa del collo del vampiro, e nessuno schizzo di sangue
teatrale segnò la separazione del corpo dalla testa ancora ghignante di
Jasper. Sentii ogni tranquillità forzata svanire mentre l'alta figura
incappucciata si aggiustava tranquillamente la testa mozzata del vampiro
sotto l'ascella come una baguette e poggiava a terra la falce,
bloccando sul terreno il corpo con entrambe le mani.
Trattenni il fiato, mentre Andrea Bocelli entrava nella sua camera, ignaro dell'enorme pericolo che aveva corso.
«Avrei bisogno di una
mano» Mi disse Undertaker, scrutando proprio me da sotto il cappuccio
nero. Il corpo decapitato di Jasper cercava ancora di opporre
resistenza, ma lui lo teneva a bada con un po' di sforzo, lasciandomi
disarmata.
"Che cosa sei tu?" Avrei voluto chiedergli.
O "Che ci facevi in giro con una falce in un hotel?".
Invece sorrisi, e dissi: «Certo».
Lui mi guardò serio
«Ho bisogno di un bidone della spazzatura. Di metallo, non di plastica»
«Un bidone di metallo, non di plastica» ripetei, per segnarmelo bene in mente
«Esatto. Al più presto, per favore».
Non me lo feci ripetere,
ovviamente. Corsi al piano di sotto e per poco non ruzzolai lungo
quattro rampe di scale, salvandomi all'ultimo secondo grazie al
corrimano, a cui mi aggrappai con forza. Al piano di sotto iniziai a
cercare freneticamente un bidone della spazzatura, ma riuscii a trovare
solo quei piccoli bidoncini colorati fissati a dei paletti che servivano
per buttarci dentro gli involucri della patatine o gli scontrini o
tutte quelle piccole cose che i turisti si portano nelle tasche.
Anche fuori sembrava che non ci fossero bidoni grandi. Dannazione!
Iniziai a girare intorno
all'albergo, finché non trovai un recinto metallico a cui era affisso
un cartello "vietato l'ingresso dei non addetti ai lavori".
Probabilmente lì dietro avrei trovato un bidone della spazzatura,
altrimenti potevo anche lasciar perdere la mia ricerca.
Non sapevo scavalcare le
recinzioni, perciò provai ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave.
Mi chiesi se c'erano telecamere di sorveglianza a spiarmi. Ad ogni modo
non aveva importanza: dovevo prendere quel bidone.
Afferrai un grosso vaso
con dentro un ficus, usando tutta la forza che avevo, e lo scaraventai
contro la porta di rete metallica, deformandola... ma non riuscendo ad
aprirla. La colpii di nuovo e non accadde quasi nulla.
«No, no, no, no...».
Mi misi le mani fra i capelli, mentre il vaso di ficus rotolava lontano dai miei piedi e dalla porta.
«Oh, checcavolo... che cosa faccio adesso? Che cosa faccio adesso? Dove trovo un bidone? Pensapensapensapensa...».
Dove si produceva una
grande quantità di spazzatura e dunque c'era bisogno di un bidone di
grandi dimensioni per evitare di doverne svuotare il contenuto ogni ora?
Ma certo, la zona ristorazione!
Galoppai di nuovo dentro
l'albergo, lasciandomi alle spalle la porta abozzata da un ignobile
atto vandalico. Avrei pagato più tardi per i miei errori, adesso dovevo
compiere una missione.
Entrai nella grande sala
per la colazione e mi guardai intorno: niente bidoni. Cambiai
prospettiva e finalmente ne vidi uno, argenteo e perfetto, alto almeno
un metro e venti. Dovevo rubarlo, ma come? Lo feci nel modo più semplice
possibile: corsi, lo afferrai e mi allontanai nel modo più discreto
possibile. Mi andò di lusso e probabilmente tutti pensarono che stavo
andando a svuotarne il contenuto.
In effetti il bidone era
pesante, odorava fortemente di banana, di riso e di cereali. Salii le
scale in fretta, incurante del dolore lancinante ai polsi e alla
schiena, alle piante dei piedi e alla faccia, quest'ultimo colpa del mio
sorriso forzatissimo che doveva farmi sembrare normale e a mio agio, ma
a ben pensarci probabilmente mi faceva sembrare una psicopatica che
aveva rapito un bambino, lo aveva chiuso in un bidone e ora se lo stava
portando in camera.
Quando raggiunsi il
piano di Bocelli, Undertaker era ancora dove lo avevo lasciato, ma stava
cercando disperatamente di trattenere Jasper (o almeno il suo corpo
decapitato) che faceva la danza del tarantolato. Era una visione
alquanto spaventosa.
«Ho trovato il bidone!» Esclamai, quasi senza fiato, poggiando a terra quell'enorme coso di metallo.
La mia schiena mi ringraziò formalmente.
«Aprilo» Mi disse Undertaker, che chiaramente non poteva farlo da sé, avendo le mani occupate
«Certo» risposi, afferrando il coperchio e buttandolo per terra.
Non ne potevano più, le mie mani. Non ne potevano più.
La prima cosa a finire
nel bidone fu la testa di Jasper, che atterrò con un soffice tonfo sulle
bucce di banana. Poi il suo corpo roccioso fu tagliato in due pezzi,
all'altezza della vita, ed entrambi furono infilati e pigiati nel bidone
insieme al capo.
Undertaker si abbassò
per prendere da terra il coperchio, poi estrasse un cerino dalla tasca,
lo accese sfregandoselo contro i pantaloni e lo buttò dentro al bidone,
per poi chiuderlo velocemente.
Nonostante il
contenitore fosse stato chiuso, un fumo scuro cominciò immediatamente a
filtrarne fuori, insieme ad un odore terribile, pestilenziale, e ad un
rumore di membra che si dibattevano.
Stavamo uccidendo Jasper, vero per davvero, finalmente.
Ci guardammo, io e
Undertaker, da sopra il bidone puzzolente. Lui continuava a premere le
mani contro il coperchio, come se temesse che Jasper potesse saltarne
fuori da un momento all'altro, ma pochi istanti dopo si ritrasse.
L'odore di bruciato era
sempre più forte, somigliava a dei vecchi calzini di spugna, di quelli
spessi che si mettono le vecchie, a cui avevano dato fuoco dopo averli
intinti nello sciroppo per la gola.
«Beh» Dissi, mettendomi le mani in tasca «Io, credo che, io... non si alzerà più, giusto?».
Lui annuì.
«Sei una ragazza con i nervi saldi, tutto sommato» Mi complimentò.
Io feci una risata isterica.
«Senti» Mi disse ancora «Non dovrai mai dire a nessuno di questa cosa»
«Giurin giurello» dissi
in fretta, come una bambina di cinque anni «Che mi possa cadere un dente
se farò questa cosa da perdente!».
Lui rimase in silenzio. Anche io l'avrei fatto al posto suo, era la soluzione più dignitosa.
Il bidone stava
iniziando a diffondere, oltre all'odore mefitico, anche un bel calduccio
e allungai le mani per riscaldarmi. Ero così felice di poter usufruire
in questo modo di un vampiro!
Ce ne restammo così per
qualche istante, finché i sensori antincendio non captarono il fumo e
l'acqua del sistema iniziò a piovere in tutto il corridoio, inzuppandoci
pur senza spegnere il fuoco che era saldamente protetto da un coperchio
metallico.
«Che figata» Commentai, con l'acqua che mi scorreva sui capelli.
Lui mi sorrise, anche se
forse me l'ero solo immaginato. Forse è più corretto dire "mi rivolse
un'espressione lieve da cui trassi un sentore di complicità". Un sorriso
è un po' esagerato.
Era tutto surreale,
fuori dal mondo. Ero bagnata fradicia, a un paio di stanze di distanza
da quella di Andrea Bocelli, a riscaldarmi le mani come una barbona
sulla spazzatura (rubata) a cui avevamo dato fuoco (ovviamente Jasper
faceva parte della spazzatura). E in tutto questo ero con Undertaker,
che aveva una falce, un'autentica falce tagliavampiri (no, probabilmente
quella cosa serviva per il grano, però i vampiri li tagliava bene) che
era riuscito ad introdurre chissà come dentro un hotel a Phoenix.
All'improvviso comparve
qualcuno in fondo al corridoio. Sobbalzai, spaventata dall'idea che
Alice fosse venuta per vendicarsi, poi mi tranquillizzai. Era CM Punk,
che ci aveva trovati.
Tossì forte, mentre si avvicinava ad ampie falcate, arrabbiato
«Macchecavolostatefacendo?» Domandò «Date fuoco alla spazzatura?»
«Siamo dei vandali» rispose Undertaker, senza fare una piega
«E tu, Belarda! Lo assecondi!»
«Non posso dirgli di no, non posso dire no a niente che dice lui!»
«Aaaaahhhh!» Punk si
mise le mani sulle tempie, artigliandosi i capelli «Io corro su e giù
come un pazzo per tutto l'albergo e voi siete qui che date fuoco alla
spazzatura! Che immensa maturità!» .
Abbassai gli occhi sulle
mie scarpe. Cavoli, mi vergognavo. Non volevo deludere CM Punk, ma non
potevo certamente dirgli come le cose erano andate davvero.
«Scusa» Mormorai
«Non è colpa tua» fece lui, ringhiando «È questo... degenerato... che... fa fare cose strane alla gente»
«No, è colpa mia» mi misi una mano sul petto «Sono stata io che... è colpa mia...».
Perché mi stavo
prendendo la colpa di Undertaker? Non lo so, credo che sia quello che
avrebbe fatto chiunque. O forse era un gesto di gratitudine per aver
fatto fuori Jasper.
Undertaker alzò il
coperchio del bidone e un'immensa bolla di fumo nero e acre, così denso
come non ne avevo mai visto, si sprigionò per tutto il corridoio. Punk
prese a tossire furiosamente mentre ci pioveva di nuovo acqua addosso.
Quando il fumo si fu dissipato e io pensai di aver tossito fuori i polmoni, Undertaker era sparito.
CM Punk cercò di urlare
di frustrazione, ma gli venne fuori un pigolio smorto e poi riprese a
tossire. Della gente uscì dalla stanze e io mi sentii avvampare.
Avrebbero pensato tutti che eravamo stati io e Punk ad aver messo fuoco
alla spazzatura!
«Siete dei maledetti
vandali!» Urlò una vecchietta con un vestito a fiori ed un ampio
cappello da sole «Come vi permettete! Qui c'è gente con l'asma!»
«Non siamo stati noi!» piagnucolai, anche se in realtà un po' ero stata io
«Signora, ma il cappello in camera?» domandò Punk, sorpreso
«E i capelli lunghi anche se sei maschio?» ribatté prontamente la signora, imbronciata
«Che schifo!» Urlò un
signore ben vestito, dai capelli pettinati con almeno una tonnellata di
brillantina «C'è un odore che non si respira!»
«Scappiamo» disse Punk, dandomi la mano.
Fuggimmo. Ricorderò per tutta la vita gli improperi che la vecchietta dal cappello ci lanciò dietro, ma non oso ripeterli.
Quando fummo vicini al bar, ci fermammo a riprendere fiato. Mi sentivo stanchissima.
«Undertaker è uno
scaricabarile professionista» Commentò Punk, divertito e arrabbiato
insieme «Non ho mai, mai, mai visto nella vita un'azione di
scaricabarile più efficace di questa. Vandalo e scaricabarile. Ma perché
bruciavate la spazzatura?»
«Ehm... io...».
Non riuscii a rispondere, non potevo inventarmi nessuna scusa. Balbettavo, arrossivo, inciampavo nelle mie stesse parole.
Il telefono di CM Punk squillò all'improvviso. Non disse nulla, tranne un "si" alla fine.
«Bene, l'hanno ritrovato e riportato» Disse, quando ebbe chiuso la chiamata «Ce ne andiamo. Allora ciao, Belarda»
«Ciao, CM Punk. Spero di rivederti»
«Io spero che tu ti sia pentita di quello che hai fatto» scherzò lui «Andiamo, mettere fuoco alla spazzatura!»
«Non sono stata io, è stato lui. Ma non potevo fermarlo, no?»
«Questo spiega in parte le cose» Punk annuì, poi alzò una mano in gesto di saluto e si allontanò. Presi un respiro profondissimo.
Jasper era morto. Dentro di me, un fiore di speranza iniziò a sbocciare.
Decisi di ritornare in
camera a riposare, ovviamente dopo essermi fatta una doccia nelle docce
vicino alla piscina per levarmi di dosso quella puzza di fumo terribile:
era stata una giornata lunghissima.
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