venerdì 4 maggio 2018

Sunset 40 - Una giornata lunghissima (parte 2)


L'hotel era molto silenzioso: per forza, la strana invasione di ragazzini era tutta orientata verso i wrestler! Però non mi dispiaceva cercare Undertaker in tranquillità e, beh, se avessi dovuto scommettere su dove trovare un uomo che si fa chiamare "Il becchino" e che entra sul ring con una musica da mortorio, probabilmente sarebbe stato in qualche posto tranquillo.
Era improbabile che un omone oltre due metri passasse inosservato, o avessi avuto bisogno di piccoli indizi per trovarlo, ma il mio cervello non ne voleva sapere ed era passato ad analizzare tutti i piccoli movimenti che mi pareva di scorgere e ad analizzare tutti i piccoli suoni.
Dalla parete un ritratto mi sorrideva, seguendomi con gli occhi. La scena ritratta era allegra, una donna con un cappello cinto di fiori che sorrideva guardando l'osservatore, tenendosi con un braccio il cappello, ma l'artista aveva scelto di usare solo colori freddi per il suo quadro, e la sua pelle pallidissima mi rendeva nervosa. Lo sfondo era una parete, ma dietro di lei c'era un bancone con una tavolozza di colori usati.
A dire la verità non mi aspettavo minimamente di trovare Undertaker, con tutti i suoi colleghi che lo cercavano era statisticamente improbabile che fossi proprio io a beccarlo, ma mi sembrava comunque giusto fare la mia parte. Allo stesso tempo, sarebbe stato fico se, in modo statisticamente improbabile, fossi stata proprio io a trovarlo. Magari avrei potuto ringraziarlo per gli autografi.
Continuai a camminare, ascoltando il bisbigliare che venivano dalle camere, e più avanti, anche il suono nasale di un asciugacapelli.
Quello che accadde dopo nella realtà accadde molto velocemente, ma la mia mente elaborò tutto eliminando ogni concitazione e frenesia, attenta ai piccoli dettagli, forse perché era successo tutto silenziosamente.
In quel momento mi sentii invadere da una tranquillità sonnolenta, e quando mi voltai mollemente Jasper era dietro di me. Inutile dire che non lo avevo sentito arrivare.
I suoi occhi – dalle iridi di un ocra poco vivace – erano spalancati a guardare di fronte a sé, e la visione di lui che tremava anziché essere perfettamente immobile mi sembrò così naturale e umana da spaventarmi. Perché Jasper non era umano e non era una cosa naturale.
La mia paura fu subito soffocata da ondate gentili di calma, mentre Jasper mi guardava stringendo i denti e i pugni. «Jasper?» Sussurrai. Si portò lentamente un dito tremante alle labbra, intimandomi di rimanere in silenzio.
Sentii una voce canticchiare sotto voce, un tono virile e bellissimo, basso e virtuoso, e un uomo dai capelli brizzolati di grigio, vestito di nero e bianco, apparve nel corridoio tastando la parete. "Vivo per lei da quando sai, la prima volta l'ho incontrata..."
«Mi dispiace, Belarda» Mormorò Jasper implorante, e nella sua voce e nei suoi occhi c'era un tormento autentico, tanto intenso da farmi venire i brividi facendo breccia per un secondo oltre la coltre di tranquillità che mi aveva imposto «Mi dispiace, ma non posso fermarmi»
«Di che stai parlando, Jasper?» mormorai ferma al mio posto.
Conoscevo quell'uomo, quello brizzolato. Lo conoscevo bene, veniva dalla mia terra, mi piaceva. Vidi rilassare anche lui sotto l'effetto del potere di Jasper.
«Belarda...» Ansimò il vampiro, e si batté i pugni contro le tempie, stringendo gli occhi e smettendo di respirare del tutto, tremando convulsamente. Quando riaprì gli occhi aveva smesso di tremare e si era abbassato, il corpo scultoreo morbido ed elastico in posa predatoria. Mi ricordava un puma, seppure spiritato e freddo come il ghiaccio.
«Solo quest'ultimo e poi smetterò, ma nessuno può negarmelo. Non possono, capiranno. Mi dispiace, Belarda. Ma lui è il mio... lui è il mio cantante».
Jasper cedette, inspirò forte l'odore del corridoio sembrandone inebriato. Ed iniziò a strisciare velocissimo come un ragno proprio incontro ad Andrea Bocelli, il cantante lirico preferito di mio papà. Che era cieco, e non poteva vedere la mostruosità del corpo freddo di Jasper che gli si stava avvicinando velocissimo, senza produrre un sol suono.
"... Non mi ricordo come ma mi è entrata dentro e c'è restata...".
Jasper era ad un soffio dal signor Bocelli ormai, quando una sagoma umana gigantesca si allungò sul vampiro, con la testa coperta dal cappuccio della felpa scura a teschi e la mano destra stretta attorno a... ad una falce.
Battei le palpebre. La morte era venuta a reclamare il corpo già morto di Jasper.
In un attimo l'ombra aveva bloccato l'avanzata velocissima del freddo che mi era parsa inarrestabile; una mano gli afferrò il mento alzandolo di scatto, mentre la schiena di Jasper veniva bloccata con una ginocchiata al suolo con un rumore corposo e sinistro che fece bloccare Bocelli sul posto. Che razza di forza aveva per fermarlo in quel modo? Per fermare un vampiro?
Jasper voltò la testa verso il suo aggressore e snudò le zanne, pronto a provare a morderlo o sibilarlo, ma non ne ebbe il tempo. La lama non fece alcun rumore sulla pelle bianca e tesa del collo del vampiro, e nessuno schizzo di sangue teatrale segnò la separazione del corpo dalla testa ancora ghignante di Jasper. Sentii ogni tranquillità forzata svanire mentre l'alta figura incappucciata si aggiustava tranquillamente la testa mozzata del vampiro sotto l'ascella come una baguette e poggiava a terra la falce, bloccando sul terreno il corpo con entrambe le mani.
Trattenni il fiato, mentre Andrea Bocelli entrava nella sua camera, ignaro dell'enorme pericolo che aveva corso.
«Avrei bisogno di una mano» Mi disse Undertaker, scrutando proprio me da sotto il cappuccio nero. Il corpo decapitato di Jasper cercava ancora di opporre resistenza, ma lui lo teneva a bada con un po' di sforzo, lasciandomi disarmata.
"Che cosa sei tu?" Avrei voluto chiedergli.
O "Che ci facevi in giro con una falce in un hotel?".
Invece sorrisi, e dissi: «Certo».
Lui mi guardò serio
«Ho bisogno di un bidone della spazzatura. Di metallo, non di plastica»
«Un bidone di metallo, non di plastica» ripetei, per segnarmelo bene in mente
«Esatto. Al più presto, per favore».
Non me lo feci ripetere, ovviamente. Corsi al piano di sotto e per poco non ruzzolai lungo quattro rampe di scale, salvandomi all'ultimo secondo grazie al corrimano, a cui mi aggrappai con forza. Al piano di sotto iniziai a cercare freneticamente un bidone della spazzatura, ma riuscii a trovare solo quei piccoli bidoncini colorati fissati a dei paletti che servivano per buttarci dentro gli involucri della patatine o gli scontrini o tutte quelle piccole cose che i turisti si portano nelle tasche.
Anche fuori sembrava che non ci fossero bidoni grandi. Dannazione!
Iniziai a girare intorno all'albergo, finché non trovai un recinto metallico a cui era affisso un cartello "vietato l'ingresso dei non addetti ai lavori". Probabilmente lì dietro avrei trovato un bidone della spazzatura, altrimenti potevo anche lasciar perdere la mia ricerca.
Non sapevo scavalcare le recinzioni, perciò provai ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave. Mi chiesi se c'erano telecamere di sorveglianza a spiarmi. Ad ogni modo non aveva importanza: dovevo prendere quel bidone.
Afferrai un grosso vaso con dentro un ficus, usando tutta la forza che avevo, e lo scaraventai contro la porta di rete metallica, deformandola... ma non riuscendo ad aprirla. La colpii di nuovo e non accadde quasi nulla.
«No, no, no, no...».
Mi misi le mani fra i capelli, mentre il vaso di ficus rotolava lontano dai miei piedi e dalla porta.
«Oh, checcavolo... che cosa faccio adesso? Che cosa faccio adesso? Dove trovo un bidone? Pensapensapensapensa...».
Dove si produceva una grande quantità di spazzatura e dunque c'era bisogno di un bidone di grandi dimensioni per evitare di doverne svuotare il contenuto ogni ora? Ma certo, la zona ristorazione!
Galoppai di nuovo dentro l'albergo, lasciandomi alle spalle la porta abozzata da un ignobile atto vandalico. Avrei pagato più tardi per i miei errori, adesso dovevo compiere una missione.
Entrai nella grande sala per la colazione e mi guardai intorno: niente bidoni. Cambiai prospettiva e finalmente ne vidi uno, argenteo e perfetto, alto almeno un metro e venti. Dovevo rubarlo, ma come? Lo feci nel modo più semplice possibile: corsi, lo afferrai e mi allontanai nel modo più discreto possibile. Mi andò di lusso e probabilmente tutti pensarono che stavo andando a svuotarne il contenuto.
In effetti il bidone era pesante, odorava fortemente di banana, di riso e di cereali. Salii le scale in fretta, incurante del dolore lancinante ai polsi e alla schiena, alle piante dei piedi e alla faccia, quest'ultimo colpa del mio sorriso forzatissimo che doveva farmi sembrare normale e a mio agio, ma a ben pensarci probabilmente mi faceva sembrare una psicopatica che aveva rapito un bambino, lo aveva chiuso in un bidone e ora se lo stava portando in camera.
Quando raggiunsi il piano di Bocelli, Undertaker era ancora dove lo avevo lasciato, ma stava cercando disperatamente di trattenere Jasper (o almeno il suo corpo decapitato) che faceva la danza del tarantolato. Era una visione alquanto spaventosa.
«Ho trovato il bidone!» Esclamai, quasi senza fiato, poggiando a terra quell'enorme coso di metallo.
La mia schiena mi ringraziò formalmente.
«Aprilo» Mi disse Undertaker, che chiaramente non poteva farlo da sé, avendo le mani occupate
«Certo» risposi, afferrando il coperchio e buttandolo per terra.
Non ne potevano più, le mie mani. Non ne potevano più.
La prima cosa a finire nel bidone fu la testa di Jasper, che atterrò con un soffice tonfo sulle bucce di banana. Poi il suo corpo roccioso fu tagliato in due pezzi, all'altezza della vita, ed entrambi furono infilati e pigiati nel bidone insieme al capo.
Undertaker si abbassò per prendere da terra il coperchio, poi estrasse un cerino dalla tasca, lo accese sfregandoselo contro i pantaloni e lo buttò dentro al bidone, per poi chiuderlo velocemente.
Nonostante il contenitore fosse stato chiuso, un fumo scuro cominciò immediatamente a filtrarne fuori, insieme ad un odore terribile, pestilenziale, e ad un rumore di membra che si dibattevano.
Stavamo uccidendo Jasper, vero per davvero, finalmente.
Ci guardammo, io e Undertaker, da sopra il bidone puzzolente. Lui continuava a premere le mani contro il coperchio, come se temesse che Jasper potesse saltarne fuori da un momento all'altro, ma pochi istanti dopo si ritrasse.
L'odore di bruciato era sempre più forte, somigliava a dei vecchi calzini di spugna, di quelli spessi che si mettono le vecchie, a cui avevano dato fuoco dopo averli intinti nello sciroppo per la gola.
«Beh» Dissi, mettendomi le mani in tasca «Io, credo che, io... non si alzerà più, giusto?».
Lui annuì.
«Sei una ragazza con i nervi saldi, tutto sommato» Mi complimentò.
Io feci una risata isterica.
«Senti» Mi disse ancora «Non dovrai mai dire a nessuno di questa cosa»
«Giurin giurello» dissi in fretta, come una bambina di cinque anni «Che mi possa cadere un dente se farò questa cosa da perdente!».
Lui rimase in silenzio. Anche io l'avrei fatto al posto suo, era la soluzione più dignitosa.
Il bidone stava iniziando a diffondere, oltre all'odore mefitico, anche un bel calduccio e allungai le mani per riscaldarmi. Ero così felice di poter usufruire in questo modo di un vampiro!
Ce ne restammo così per qualche istante, finché i sensori antincendio non captarono il fumo e l'acqua del sistema iniziò a piovere in tutto il corridoio, inzuppandoci pur senza spegnere il fuoco che era saldamente protetto da un coperchio metallico.
«Che figata» Commentai, con l'acqua che mi scorreva sui capelli.
Lui mi sorrise, anche se forse me l'ero solo immaginato. Forse è più corretto dire "mi rivolse un'espressione lieve da cui trassi un sentore di complicità". Un sorriso è un po' esagerato.
Era tutto surreale, fuori dal mondo. Ero bagnata fradicia, a un paio di stanze di distanza da quella di Andrea Bocelli, a riscaldarmi le mani come una barbona sulla spazzatura (rubata) a cui avevamo dato fuoco (ovviamente Jasper faceva parte della spazzatura). E in tutto questo ero con Undertaker, che aveva una falce, un'autentica falce tagliavampiri (no, probabilmente quella cosa serviva per il grano, però i vampiri li tagliava bene) che era riuscito ad introdurre chissà come dentro un hotel a Phoenix.
All'improvviso comparve qualcuno in fondo al corridoio. Sobbalzai, spaventata dall'idea che Alice fosse venuta per vendicarsi, poi mi tranquillizzai. Era CM Punk, che ci aveva trovati.
Tossì forte, mentre si avvicinava ad ampie falcate, arrabbiato
«Macchecavolostatefacendo?» Domandò «Date fuoco alla spazzatura?»
«Siamo dei vandali» rispose Undertaker, senza fare una piega
«E tu, Belarda! Lo assecondi!»
«Non posso dirgli di no, non posso dire no a niente che dice lui!»
«Aaaaahhhh!» Punk si mise le mani sulle tempie, artigliandosi i capelli «Io corro su e giù come un pazzo per tutto l'albergo e voi siete qui che date fuoco alla spazzatura! Che immensa maturità!» .
Abbassai gli occhi sulle mie scarpe. Cavoli, mi vergognavo. Non volevo deludere CM Punk, ma non potevo certamente dirgli come le cose erano andate davvero.
«Scusa» Mormorai
«Non è colpa tua» fece lui, ringhiando «È questo... degenerato... che... fa fare cose strane alla gente»
«No, è colpa mia» mi misi una mano sul petto «Sono stata io che... è colpa mia...».
Perché mi stavo prendendo la colpa di Undertaker? Non lo so, credo che sia quello che avrebbe fatto chiunque. O forse era un gesto di gratitudine per aver fatto fuori Jasper.
Undertaker alzò il coperchio del bidone e un'immensa bolla di fumo nero e acre, così denso come non ne avevo mai visto, si sprigionò per tutto il corridoio. Punk prese a tossire furiosamente mentre ci pioveva di nuovo acqua addosso.
Quando il fumo si fu dissipato e io pensai di aver tossito fuori i polmoni, Undertaker era sparito.
CM Punk cercò di urlare di frustrazione, ma gli venne fuori un pigolio smorto e poi riprese a tossire. Della gente uscì dalla stanze e io mi sentii avvampare. Avrebbero pensato tutti che eravamo stati io e Punk ad aver messo fuoco alla spazzatura!
«Siete dei maledetti vandali!» Urlò una vecchietta con un vestito a fiori ed un ampio cappello da sole «Come vi permettete! Qui c'è gente con l'asma!»
«Non siamo stati noi!» piagnucolai, anche se in realtà un po' ero stata io
«Signora, ma il cappello in camera?» domandò Punk, sorpreso
«E i capelli lunghi anche se sei maschio?» ribatté prontamente la signora, imbronciata
«Che schifo!» Urlò un signore ben vestito, dai capelli pettinati con almeno una tonnellata di brillantina «C'è un odore che non si respira!»
«Scappiamo» disse Punk, dandomi la mano.
Fuggimmo. Ricorderò per tutta la vita gli improperi che la vecchietta dal cappello ci lanciò dietro, ma non oso ripeterli.
Quando fummo vicini al bar, ci fermammo a riprendere fiato. Mi sentivo stanchissima.
«Undertaker è uno scaricabarile professionista» Commentò Punk, divertito e arrabbiato insieme «Non ho mai, mai, mai visto nella vita un'azione di scaricabarile più efficace di questa. Vandalo e scaricabarile. Ma perché bruciavate la spazzatura?»
«Ehm... io...».

Non riuscii a rispondere, non potevo inventarmi nessuna scusa. Balbettavo, arrossivo, inciampavo nelle mie stesse parole.
Il telefono di CM Punk squillò all'improvviso. Non disse nulla, tranne un "si" alla fine.
«Bene, l'hanno ritrovato e riportato» Disse, quando ebbe chiuso la chiamata «Ce ne andiamo. Allora ciao, Belarda»
«Ciao, CM Punk. Spero di rivederti»
«Io spero che tu ti sia pentita di quello che hai fatto» scherzò lui «Andiamo, mettere fuoco alla spazzatura!»
«Non sono stata io, è stato lui. Ma non potevo fermarlo, no?»
«Questo spiega in parte le cose» Punk annuì, poi alzò una mano in gesto di saluto e si allontanò. Presi un respiro profondissimo.
Jasper era morto. Dentro di me, un fiore di speranza iniziò a sbocciare.
Decisi di ritornare in camera a riposare, ovviamente dopo essermi fatta una doccia nelle docce vicino alla piscina per levarmi di dosso quella puzza di fumo terribile: era stata una giornata lunghissima. 



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