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lunedì 17 dicembre 2018

Sunset 81 - Caccia all'orso vampiro


Tutto era così limpido.
Nitido. Definito.
Nonostante la luce sul soffitto fosse accecante, riuscivo a distinguere le scie luminose dei filamenti all'interno della lampadina. Vedevo i colori dell'arcobaleno nel bianco della luce, ma all'estremità dello spettro vi era una specie di vibrazione intensa, fastidiosa, che il mio cervello si stava sforzando di riconoscere come separata fino a stancarsi sebbene non capissi perché. Un ottavo colore, che non potevo percepire con i miei limitati sensi umani.
Dietro la luce, mi era chiara ogni singola venatura del legno scuro del soffitto. Nell'aria, vedevo distinti e separati i granelli di polvere sia nella zona illuminata che in quella in ombra. Giravano come piccoli pianeti, vorticando uno attorno all'altro in una danza celestiale.
La polvere era così bella. Inspirai forte, meravigliata; l'aria mi fischiò in gola e la sentii passarmi dentro veloce, ma i granelli non furono disturbati affatto dalla mia interferenza, lasciandomi delusa. Mi parve un gesto innaturale, e cercai di sforzarmi di ricordare che, si, lo era, e perché lo fosse.
Mi voltai quando sentii una mano gelida sfiorarmi la spalla, ma sebbene lo scatto che avevo fatto sobbalzando avrebbe dovuto trasformare la stanza in una macchia sfocata... non lo fece. Vidi ogni granello di polvere, ogni scheggia del legno nelle pareti, ogni filo scucito con precisione microscopica, mentre il mio sguardo turbinava oltre.
«Cosa vedi?» Mi disse una voce femminile, dall'accento pesante, disincarnata eppure terribilmente vicina
«Tutto» risposi meravigliata, ma aggiunsi in un soffio quella che mi parve anche una risposta più sincera: «Polvere».
Poi avvertii nuovamente le lunghe dita gelide sulla mia spalla ed il mio scudo precipitò pesantemente a riavvolgere la mia mente, accoccolandosi come un gattone acciambellato nella propria cesta preferita.
La mia vista tornò normale, banale e scolorita dopo ciò cui avevo assistito, ed il viso serio di Zafrina riempì la mia visuale.
Feci un sorrisetto imbarazzato, mentre Zafrina ritraeva la mano con uno strano movimento, lento, che mi dava l'impressione che le costasse fatica allontanare il braccio e che sarebbe presto schizzato di nuovo verso di me.
«Se ti perdi con i dettagli, non vedrai ciò che volevo mostrarti» Mi ammonì l'amazzone «Devi concentrarti, giovane umana»
«Certo, si. Devo concentrarmi» annuii, facendo eco alle sue parole.
Concentrarmi era una parola! Era come guardare video in super ultra HD, potevo vedere tutto con una definizione impressionante, come facevo a non farmi prendere dai dettagli?
Mi chiesi se tutti i vampiri vedessero il mondo circostante in quel modo oppure fosse una cosa che era in grado di fare solo Zafrina, collegata in qualche modo al suo potere di infilare le visioni che immaginava nella mente altrui. Perché, se fosse stata una cosa comune a tutti i vampiri, potevo parzialmente cominciare a capire perché Edward fissasse i muri con tanta passione, se i succhiasangue ci vedevano gli arcobaleni e i segreti della vita.
Zafrina aveva un viso non particolarmente espressivo a meno che lei stessa non lo desiderasse, ma nella neutralità dei suoi lunghi lineamenti vidi qualcosa di simile allo scetticismo.
«Giurin giurello, mi concentro» Dissi velocemente «Mi piacerebbe che tu riprendessi».
Zafrina assottigliò le labbra, ma annuì. «Solleva lo scudo» Mi ordinò, pacatamente.
Io ubbidii, e nuovamente i miei occhi furono inondati dalla visione generata da Zafrina. Mi sforzai di passare oltre la magia del pulviscolo brillante e ballerino e cercai di concentrarmi sul resto della scena.
L'amazzone aveva deciso di mostrarmi, servendosi del suo potere, ciò che mi ero persa in quelle ore. Avrebbe potuto raccontarmelo a voce, ma aveva deciso di non farlo per diversi motivi. Anzitutto, stava approfittando dell'occasione perché io mi allenassi con il mio scudo e le mostrassi che cosa ero in grado di fare dopo l'aiuto ricevuto alla riserva, dato che dovevo tenerlo sollevato da me per un tempo impressionante per avere il racconto completo. In secondo luogo, se davvero volevo partecipare alla battaglia finale, era necessario che vivessi, anche indirettamente, com'era affrontare un vero mostro e come agiva il gruppo misto di vampiri e licantropi quando lottava insieme.
Apparentemente Zafrina aveva una memoria di ferro, ma, proprio perché ciò che mi mostrava attingeva direttamente dai suoi ricordi, mi ritrovavo a vedere tutto dagli occhi di Zafrina. Fu proprio per questo completo cambio di prospettiva non riconobbi subito il luogo in cui si svolgeva la visione, che in realtà mi era familiare. Probabilmente la colpa era non solo della vista incredibile dei vampiri, ma anche del punto di vista molto più in alto rispetto a quello a cui ero abituata. Mamma quanto mi sentivo alta, adesso!
Nella visione, eravamo nel negozio di articoli sportivi dei Newton, con la mamma di Mike diligentemente dietro il bancone, sporta in avanti ad ascoltare due clienti barbuti e massicci con vestiti pesanti.
Mi resi presto conto che assistere alle visioni di Zafrina era un'esperienza che aveva molto in comune con il guardare cinema muto: non importava quanto potessi girare la testa, la visuale ovviamente non mi assecondava, e sebbene la qualità del “video” fosse altissima, Zafrina non poteva farmi sentire nessun suono immaginario.
Mi abituai presto ad immergermi nella visione; dopotutto, tenendo a mente che era come un cinema sparato direttamente nel cervello, era un meccanismo che non mi era del tutto nuovo.
La mia visuale – cioè quella di Zafrina – si spostò appena facendo entrare nel mio campo visivo la figura quasi immobile di Senna, che mi rivolse uno sguardo tranquillo.
I due avventori barbuti continuavano a parlare e gesticolare: sembrava essere un argomento che li coinvolgeva molto. Zafrina e Senna non parlarono affatto tra loro, e presto entrarono altri due avventori all'interno del negozio.
Rimasi senza respiro: erano chiaramente vampiri, con la loro pelle pallida e gli occhi rossi corredati di occhiaie da paura, ed anche familiari, ma, esattamente come era accaduto al negozio dei Newton, non li riconobbi di primo acchito, filtrati dai ricordi altrui. Poi altri vampiri entrarono dall'ingresso e tutto mi fu più chiaro.
Edward e Rosalie. Carmen ed Eleazar. Kate e Garrett. Tia e Benjamin. E continuavano ad arrivare: dal colore chiaro, vivido ed intenso degli occhi di tutti immaginai che avessero scelto il negozio dei Newton come quartier generale per radunarsi tutti dopo delle cacce. Sarebbe stato strategicamente furbo: subito dopo essersi nutriti, tutti i vampiri sono più forti, calmi e controllati.
Nello stato mentale perfetto per una caccia all'orso-vampiro, insomma.
Strizzai gli occhi ma nulla cambiò nel mio modo di percepire l'ambiente, come c'era da aspettarsi.
Era così che si vedevano i vampiri tra loro? Per qualche motivo vederli attraverso gli occhi di Zafrina mi confondeva, come se una mano gigante avesse pasticciato con i loro lineamenti rendendoli mortalmente belli o mortalmente brutti. Intendo, le due definizioni sembravano applicarsi alle stesse persone. Ero molto confusa dalle loro facce. Comunque la loro pelle emanava sempre una sorta di brillio adamantino soffuso non appena un filo di luce in più rispetto al quasi buio li sfiorava, il che era un particolare assieme ridicolo e davvero affascinante per me.
I vampiri si mobilitarono una volta che furono tutti riuniti, e solo dopo aver preso sufficienti occhiatacce dalla signora Newton che probabilmente si stava chiedendo perché questi stramboidi le affollassero il negozio senza comprare nulla.
Si spostarono verso il bosco, parlando velocemente tra loro. Come al solito, muovevano le labbra talmente veloce da impedirmi di anche solo provare a leggere il loro labiale, ma non mi era difficile immaginare l'argomento di conversazione. Edward era quello che parlava più di tutti. Mi chiesi se stesse rispondendo ai pensieri degli altri, oppure fosse come al solito molto propenso a dare aria alla bocca.
Senna mi guardò – guardò Zafrina – ed entrambe annuimmo come se ci fosse bastato quello a dirci tutto quanto.
Il bosco era assolutamente magnifico anche sotto la lente vampirica. Non avevano scelto un giorno soleggiato per la caccia, però la poca luce naturale che filtrava tra le foglie dava l'impressione di vivere in un quadro un po' surreale, di galleggiare senza peso in quei colori densi e cristallini. La luce era affilata, bagnando i contorni delle foglie e i rami e rendendoli aguzzi e metallici.
Appena erano arrivati abbastanza lontani dalla civiltà umana, il modo di fare dei vampiri era mutato. Il loro passo si era fatto più cauto, le loro movenze più sciolte, gli occhi attenti. Tutto in loro strillava “predatore!” con chiarezza, ma una parte di me rimase comunque ammaliata nel vedere il cambiamento.
Garrett, il più vicino alle amazzoni, si muoveva così basso da far pensare che si sarebbe messo a quattro zampe da un momento all'altro e credo che, se lo avesse fatto, sarebbe riuscito a sembrare comunque ferino ed aggraziato anziché una qualche rara scimmia anemica.
I predatori si divisero: piccoli gruppi compatti, creati da membri dello stesso clan o da vampiri che riuscivano a lavorare in sintonia. Gruppi più difficili da individuare, ma più facili da gestire, che avrebbero trovato l'orso in molto meno tempo rispetto agli altri.
Zafrina e Senna lavoravano da sole. Nessun altro avrebbe potuto cercare di eguagliare la sintonia che c'era tra le due, e avrebbe inevitabilmente finito per essere lasciato indietro.
In effetti, c'era la possibilità che avessero qualche difficoltà a seguirle anche fisicamente: le vampire divoravano il terreno sotto di loro con falcate ampie e sicure, muovendosi come se fossero state le padrone di quel bosco estraneo.
Vidi Senna smuovere delle foglie, annusare rapidamente l'aria e mi fermai bruscamente al suo fianco. Alla velocità a cui ci spostavamo anche un solo secondo in più e sarei finita per stare una decina di metri più avanti rispetto a lei. Virammo entrambe bruscamente, senza alcun preavviso, mi trovai davanti agli occhi un corpo umano, vestito di stracci inzuppati di cremisi, che erano stati abiti sportivi, intriso di sangue. La sua sagoma aveva dei contorni sbagliati, ma non mi fermai ad osservarlo abbastanza a lungo da capire come mai.
Emisi un rantolo strozzato e tirai attivamente lo scudo verso di me per far svanire l'immagine, ma non bastò a cancellarla subito dalle mie retine.
«Perché?» Esclamai scossa «Ma fammi almeno un trigger warning
«Perdonami» disse Zafrina. Batté le palpebre sovrappensiero, e mosse le spalle in un'emulazione esagerata del respiro «Non ho pensato che potesse farti stare male. Avrei dovuto essere più sensibile, mi dispiace. A noi non fa più effetto».
La guardai da sotto in su, ad occhi sgranati.
I suoi occhi si addolcirono: «Se vuoi partecipare alla battaglia con noi, devi prepararti all'idea che potresti vedere molto peggio di un uomo già morto. Sei pronta all'idea?».
Avevo visto un bel po' di cose schifose, ma un umano smembrato mi mancava ancora, e ci tenevo che le cose rimanessero così. Però Zafrina aveva ragione: dovevo essere psicologicamente pronta anche a questo, a possibili ferite o morti di creature ancora vive. Non che fosse un buon motivo per schiaffarmi in faccia cadaveri orrendamente mutilati.
«Riprendiamo» Esortai, e aggiunsi «Per favore. Ma saltiamo la parte del morto, magari, si».
Zafrina esaudì la mia richiesta: quando la visione riprese, vidi un gigantesco lupo dalla pelliccia color cioccolato compiere un balzo sul sottobosco con agilità, contraendo e rilanciando gli arti con fluidità impressionante. Si voltò solo per un attimo verso di noi, e vidi nei suoi occhi e nella contrazione delle labbra, che snudarono zanne come pugnali lucide di un sottile velo di saliva, ondate di furia e rimprovero. Svanì dalla nostra visuale con una mossa brusca che lo proiettò più a fondo tra la macchia, evitando il sentiero boscoso che stavamo percorrendo a velocità folle.
La strada terminò e si trasformò in un sentiero stretto, indicato soltanto da un piccolo ceppo da cui spuntavano famigliole di funghi di un colore giallo-verde acido. Una figura pallida apparve accanto a noi come un fantasma: era Carlisle, con occhi tristi e stralunati e la bocca aperta come per riprendere fiato dopo una lunga corsa. Non aveva senso. Ci disse qualcosa nervosamente; riuscii a comprenderlo solo qualche attimo dopo che ebbe formulato quelle parole, leggendogli le labbra pallide.
Da questa parte.
Ci eravamo allontanati dal folto, riuscendo a scorgere spicchi di cielo di un azzurro smorto tra il verde, ma ci tuffammo di nuovo nella foresta fitta ed ombrosa seguendo il cammino disegnato da Carlisle. Girammo attorno ad un'auto abbandonata vicino all'inizio del sentiero; Carlisle si voltò a dirci qualcos'altro, riuscendo per miracolo a non sbattere di faccia contro i tronchi che si materializzavano verso di noi. Indossava una camicia candida con i primi bottoni aperti, e la pelle bianca e liscia del collo scendeva tesa sul profilo marmoreo del petto, ma il colore chiaro di capelli, pelle ed abiti lo faceva sembrare un'unica figura sbozzata dallo stesso materiale duro e brillante.
Zafrina doveva avergli detto qualcosa, perché lui parve stupito e si voltò, giusto in tempo per non sbattere contro il tronco di un grosso abete.
Persino con le sue capacità non sarebbe riuscito ad evitare di schiantarcisi sopra alla velocità a cui si stava spostando, ma rimediò spiccando un salto ed atterrando sul ramo più basso a piedi uniti invece di frenare, portato ad accucciarcisi come un grosso predatore dalla forza di gravità. Non capii se fosse il salto successivo ed armonioso che spiccò che spezzò il ramo sotto di lui o se balzò per evitare di cadere insieme al legno, ma quello atterrò sul sottobosco con un tonfo attutito e Carlisle riapparve più avanti con tutta la calma e la grazia di cui disponeva.
La mia visione era chiara e limpida, il terreno regolare. Schivavamo felci umide e brillanti, grovigli di muschio, rami bassi accarezzati dall'abbraccio di lichene o dalla ragnatela brillante di luce e goccioline. Quando ci imbattevamo lungo il nostro percorso in alberi caduti o massi il corpo sapeva in automatico qual era il modo migliore per aggirarlo e non fummo rallentati, scavalcandolo o saltandolo con facilità.
Quell'accelerazione era un batticuore assicurato, ma non per la paura.
La foresta si spandeva in un labirinto sconfinato di alberi secolari; la luce che filtrava dal tetto di foglie cambiò, da un tono oliva scuro ad un giada luminoso che mi incantò. Era uscito il sole.
Cercai di non lasciarmi distrarre ancora da tanta perfezione, e mi ci volle moltissima concentrazione per farcela.
Dopo un altro centinaio di metri – praticamente percorsi in uno schiocco di dita – notai tra gli alberi un chiarore, una chiazza di luce che non aveva i classici toni del verde che avevano permeato il nostro viaggio, ma giallo-oro. Accelerai, superando Carlisle che lasciò in silenzio che io – Zafrina – lo precedessi.
Raggiunsi i confini della chiazza di luce e, oltrepassate le foglie delle ultime felci che ne abbracciavano i bordi, entrai di qualche passo nel posto più grazioso che avessi mai visto.
Era una radura, piccola, perfettamente circolare, piena di piccoli fiori di campo viola, gialli e bianchi che non avrei saputo identificare, che dondolavano la testolina tra l'erba soffice al soffio di una brezza gentile che non potevo sentire sulla pelle, illuminati da un sole alto ed inaccessibile che riempiva lo spiazzo di luce morbida.
Mi voltai appena, ma mentre Senna mi era rimasta fedelmente al fianco, Carlisle non c'era più. Per una volta, quando nella vita reale voltai la testa per cercarlo, anche la visione mi assecondò.
Infine lo notai ai margini del prato, nascosto nel fitto della foresta; mi guardava con aria circospetta. Non era solo. I miei occhi acuti individuarono altri occhi rossi e dorati e volti pallidi, musi determinati o che scoprivano i denti per l'impazienza, e li videro in cerchio tutto attorno a noi. Solo in quell'istante ricordai davvero ciò che la bellezza di quel posto aveva momentaneamente cancellato.
Carlisle sembrava incerto, riluttante. Al suo fianco apparve la piccola Esme, rivolgendogli un sorriso di incoraggiamento. Feci per avanzare, ma ad un cenno del capo clan dei Cullen mi arrestai dov'ero, i piedi ben piantati per terra.
Fece quel che mi sembrò un respiro profondo. Qualcosa uscì nella luce abbagliante del sole di mezzogiorno e, per prima cosa, si avventò senza scomporsi più di tanto sull'albero più vicino a lui e ne estrasse Randall con una zampata, scaraventandolo a terra senza che riuscisse a reagire.
Non ebbe il tempo di urlare.
Alla luce del sole i vampiri erano sconvolgenti, soprattutto dagli occhi di un altro vampiro. Non riuscii ad abituarmici. La pelle di Randall, bianca nonostante il debolissimo colorito acquistato dopo la battuta di caccia delle ore passate, era scintillante e appariva gelida come neve. Se ne stava perfettamente immobile nell'erba, con la camicia aperta sul petto iridescente e scolpito, le braccia nude e sfavillanti. Era stato una statua perfetta, sbozzata in una pietra sconosciuta, liscia come il marmo, lucente come il cristallo. Il vento era delicato, scompigliando l'erba attorno alla sua figura immobile.
L'orso vampiro gli aveva sfracellato la testa, affondando una delle zampe anteriori sul suo cranio con tutta la forza e il peso che il suo grosso corpo immortale gli conferiva, con brutalità calcolata. Il primo vampiro di quella caccia era morto.
Sapevo che il mio corpo al di fuori della visione si era rannicchiato con il mento sulle ginocchia, gli occhi fissi a guardare nel vuoto. Ero incapace di levarglieli di dosso.
L'orso sembrava una statua, ma invece di essere marmoreo come gli altri vampiri aveva l'aspetto di qualcosa che era stato sbozzato nel legno con colpi selvaggi di scalpello. Sotto la pelliccia i suoi muscoli possenti erano contratti, pronti ad uno scatto fulmineo, le narici dilatate nella percezione dell'odore dei suoi nemici. I grossi denti scoperti, sebbene l'orso non stesse ringhiando, erano lucidi di una saliva dalla consistenza strana che sapevo essere imbevuta del veleno vampirico, capace di immobilizzare, di uccidere, di trasformare.
Il prato, che prima mi era sembrato così spettacolare, impallidiva di fronte a tanta forza grezza e vibrante, a quella maestà selvaggia.
Non udii urlare, ma sapevo che i vampiri lo stavano facendo: Garrett aveva la bocca spalancata mentre si lanciava verso l'orso, seguito da Kate che lo superò a metà della corsa e allungò una mano per toccare l'orso e scatenare su di lui il suo potere. Ci voleva un coraggio davvero spaventoso per farlo, ma lei ci riuscì e l'orso fu scosso da un brivido di dolore.
In un attimo, approfittando della situazione, tutti gli altri vampiri si scagliarono sulla creatura e presero a morderlo ferocemente. Zafrina e Senna erano tra questi: fu come trovarselo improvvisamente davanti agli occhi, poter osservare da vicino la trama della sua pelliccia. Zafrina alzò lo sguardo e trovai i suoi occhi, aperti: erano di un cremisi sanguigno, ombreggiato dal dolore e dalla confusione. Roteavano nelle orbite, senza fermarsi su nessuno in particolare dei suoi aguzzini.
Nessuno dei licantropi si era ancora unito alla lotta: attendevano nel folto.
L'orso spalancò le fauci e si rizzò sulle zampe posteriori con irresistibile impeto, muovendo i suoi aguzzini come la risacca trascina sassolini di sabbia e conchiglie. Tirò un morso alla cieca, senza riuscire ad andare a segno, e cercò di staccarsi di dosso i vampiri con colpi poderosi delle zampe anteriori. Un'enorme zampa passò sopra la testa di Senna, che si scansò agevolmente per evitarla, ma scaraventò lontano da sé Siobhan con una furia tale che un essere umano non sarebbe sopravvissuto all'impatto, ribaltandola sul posto e facendole battere violentemente la testa a terra.
Da dove Siobhan era stata strappata via iniziò a colare sangue fresco per due secondi netti prima che la ferita si rimarginasse: lei lo stava ancora mordendo quando era stata colpita. L'orso aveva mangiato da poco, visto che riusciva a sanguinare.
Però c'era qualcosa che non andava.
Per un attimo non capii cosa stesse accadendo: com'era possibile che prima avesse agito con tanta deliberata precisione nel finire Randall, e adesso stesse annaspando in questo modo? Certo, riusciva a colpire i vampiri, ma sarebbe stato più stupefacente se non ci fosse riuscito, ammassati com'erano.
I suoi occhi continuavano a roteare, le narici si dilatavano spasmodicamente: cercava di identificare disperatamente qualcosa. Era praticamente cieco. Zafrina stava usando il suo potere per accecarlo, mentre Kate lo indeboliva e stordiva con le sue scariche.
Vidi Edward arrivare con un balzo a cavalcioni del collo del mostro da dietro e urlare qualcosa agli altri, avvertendoli delle intenzioni del mostro. Tutti i vampiri si fecero indietro velocemente, evitando di venire schiacciati quando l'orso si ributtò su tutte e quattro le zampe. E in quel momento le cose iniziarono ad andare storte.
Kate, che aveva attaccato l'orso frontalmente, era stata costretta a smettere per un attimo il contatto con l'orso lasciandolo libero dalla morsa del dolore. Il mostro sgroppò selvaggiamente e si agitò per staccarsi di dosso Edward, che gli aveva affondato i denti nella nuca, poi iniziò a correre alla cieca in avanti travolgendo Kate e Garrett e buttando a terra Zafrina stessa con una spallata, mentre Senna riuscì a scansarsi abbastanza in fretta. Terra e cielo si rimescolarono nella visuale di Zafrina prima che l'amazzone riuscisse a rimettersi in piedi velocemente, abbassata in posizione di guardia.
I vampiri si erano messi ad inseguire il mostro in corsa. Sorprendentemente era la piccola Esme che precedeva gli altri, cercando di raggiungere il figlio che non poteva fare altro che reggersi all'enorme schiena del nemico e cercare di dilaniarlo con i denti. L'orso non uscì neppure dalla piccola radura prima di capire che non si sarebbe liberato del suo fastidioso assalitore semplicemente fuggendo e rotolò sulla schiena, cercando di schiacciarlo sotto la sua immensa mole.
Se fosse stato un altro vampiro, la velocità d'azione dell'orso gli avrebbe reso difficile fare alcunché, incastrato com'era tra il tronco spesso di un vecchio abete e la schiena dell'animale stesso. Però Edward sapeva leggere nel pensiero, e si arrampicò sul legno anticipando le mosse della bestia e salvandosi agevolmente.
Esme, invece, era troppo vicina. L'orso non poteva vederla, però aveva ancora olfatto ed udito iper sviluppati dalla sua, che gli avrebbero consentito di individuare con facilità sconcertante la vampiretta che si avvicinava. Rotolò nuovamente sul ventre e si scrollò, il manto che ondeggiava intriso di sangue dove i denti di Edward aveva bucato la carne.
Era scoraggiante, davvero, con quanta velocità si rigenerò.
Capelli Pazzi urlò qualcosa, facendo un gesto ampio alla madre che le chiedeva di allontanarsi. I muscoli delle spalle dell'orso si contrassero, pronti a proiettarlo in avanti e spappolare la testa di Esme con un morso.
Fu in quel momento, mentre la bestia era ancora a terra, che i Quileute entrarono in azione.
Leah sfrecciò davanti al naso dell'orso, facendosi seguire con lo sguardo: il mostro fu distratto e provò ad allungare una zampa per prenderla, e fu allora che gli altri lupi lo assalirono tutti insieme.
Probabilmente doveva esserci un rumore terrificante, lacerante, nell'aria. Jacob, il più vicino alla visuale di Zafrina, afferrò il muso dell'orso con le fauci e iniziò a scuotere con violenza il capo a destra e a sinistra, come un coccodrillo che cerca di strappare la carne dalla propria preda. Gli altri lupi si ammassavano sull'orso, schiacciandolo al suolo con il loro peso e la loro ferocia, assalendolo ai fianchi e sulla schiena, strappandogli brandelli di carne dalle zampe.
L'orso, mutilato e dolorante, aveva comunque la forza di reagire, ma i lupi erano troppi perché potesse avere la meglio. Vidi Seth volare via dal mucchio, probabilmente colpito da una zampata, e schiantarsi al suolo a quattro metri di distanza, ma rialzarsi subito e ritornare all'attacco.
Jacob strappò via il muso all'orso. Letteralmente.
I lupi si strinsero ancora di più finché non fu tutto un brulichio di immense schiene e code che coprirono completamente il mostro, nascondendolo dalla vista.
Alcuni vampiri indietreggiarono. Kate rabbrividì, stringendosi da sola in un abbraccio. Fino ad ora gli immortali avevano creduto che i licantropi fossero poco più che infanti capaci di trasformarsi in grossi cani, adesso stavano vedendo con i propri occhi quanto erano letali e temibili, stavano vedendo con i propri occhi la fine che loro stessi avrebbero potuto fare: seppelliti da una massa di grossi, pesanti corpi vibranti e fatti a pezzi da zanne terrificanti.
Se potevano uccidere un orso vampiro, allora un vampiro normale era uno scherzetto per loro.
Quando i licantropi si ritirarono, le bocche sporche di sangue, terreno e brandelli di pelliccia strappata, l'orso vampiro erano stato smembrato in pezzi che ancora pulsavano e cercavano di ricomporsi.
Ayita, immensa e nera come la notte, sollevò la testa per lanciare un ululato di vittoria, subito seguita da Sam e dagli altri lupi. Il branco appariva come un'unica entità dotata di innumerevoli zampe e bocche, di cuori palpitanti e di artigli saldi, un'entità fiera e invitta.
I vampiri si lanciavano occhiate da una parte all'altra della radura e solo dopo qualche istante Carlisle avanzò con un accendino per dare fuoco ai resti del mostro.
Le fiamme divamparono immediatamente, alte e regolari, divorando le carni marmoree del mostro, accartocciando l'erba che lambivano. Un fumo denso si sollevò dal mucchio. Jacob gettò nel fuoco il muso dell'orso che ancora stava serrando fra le fauci e anche quello fu immediatamente scalato dalle fiamme e da esse distrutto.
E fu così che venne ucciso il mostro più potente e terribile che avesse mai probabilmente popolato l'America del nord.
Zafrina mi ridiede la vista. Deglutii. Era stato davvero impressionante.
«I cuccioli sono forti» Disse lei con il suo accento strano e io annuii.
Una piccola parte di me si chiedeva se l'allenamento speciale che Undertaker stava facendo fare ai due branchi li avesse avvantaggiati, ma ebbi l'impressione che non avessero usato un granché di tecnica per sconfiggere l'orso, piuttosto che invece una ferocia primordiale di cui erano naturalmente dotati.
Forse avevamo più chance di quante credessi contro i Volturi... forse grazie al mio scudo i gemelli vampiri sarebbero stati annientati e i licantropi avrebbero avuto abbastanza tempo per fare a pezzi tutta la guardia dei vampiri reali.
«Ma non abbastanza forti» Continuò Zafrina «Sono serviti tutti quanti per abbattere l'orso»
«E allora voi?» sollevai un sopracciglio «Voi vampiri lo avete solo scombussolato all'inizio, non sembravate tanto capaci di ammazzarlo»
«Infatti. Nessuno di noi è forte abbastanza per i Volturi. Loro hanno l'intelligenza» si batté un lungo dito su una tempia «L'orso non ha l'intelligenza».
Oh oh.
«I Volturi...» Dissi «Non li ho mai visti. Tu li hai visti?»
«Si» lei annuii «Una volta sola. Molti anni fa, per poco tempo»
«Come sono?»
«Vecchi»
«E...»
«Deboli»
«Ma hai detto che nessuno di noi è abbastanza forte per loro!»
«Hanno questa» si batté di nuovo un dito sulla tempia «E la loro guardia è addestrata e forte»
«Ah. Intendevi che sono deboli proprio i Volturi capi, quindi»
«Si».
Lei si allontanò agile e mi lasciò lì, più spaventata di prima e senza neanche avermi salutata. Dunque i Volturi erano anche intelligenti, non solo dotati di poteri incredibili. C'era ancora da aver paura.




venerdì 4 maggio 2018

Sunset 40 - Una giornata lunghissima (parte 2)


L'hotel era molto silenzioso: per forza, la strana invasione di ragazzini era tutta orientata verso i wrestler! Però non mi dispiaceva cercare Undertaker in tranquillità e, beh, se avessi dovuto scommettere su dove trovare un uomo che si fa chiamare "Il becchino" e che entra sul ring con una musica da mortorio, probabilmente sarebbe stato in qualche posto tranquillo.
Era improbabile che un omone oltre due metri passasse inosservato, o avessi avuto bisogno di piccoli indizi per trovarlo, ma il mio cervello non ne voleva sapere ed era passato ad analizzare tutti i piccoli movimenti che mi pareva di scorgere e ad analizzare tutti i piccoli suoni.
Dalla parete un ritratto mi sorrideva, seguendomi con gli occhi. La scena ritratta era allegra, una donna con un cappello cinto di fiori che sorrideva guardando l'osservatore, tenendosi con un braccio il cappello, ma l'artista aveva scelto di usare solo colori freddi per il suo quadro, e la sua pelle pallidissima mi rendeva nervosa. Lo sfondo era una parete, ma dietro di lei c'era un bancone con una tavolozza di colori usati.
A dire la verità non mi aspettavo minimamente di trovare Undertaker, con tutti i suoi colleghi che lo cercavano era statisticamente improbabile che fossi proprio io a beccarlo, ma mi sembrava comunque giusto fare la mia parte. Allo stesso tempo, sarebbe stato fico se, in modo statisticamente improbabile, fossi stata proprio io a trovarlo. Magari avrei potuto ringraziarlo per gli autografi.
Continuai a camminare, ascoltando il bisbigliare che venivano dalle camere, e più avanti, anche il suono nasale di un asciugacapelli.
Quello che accadde dopo nella realtà accadde molto velocemente, ma la mia mente elaborò tutto eliminando ogni concitazione e frenesia, attenta ai piccoli dettagli, forse perché era successo tutto silenziosamente.
In quel momento mi sentii invadere da una tranquillità sonnolenta, e quando mi voltai mollemente Jasper era dietro di me. Inutile dire che non lo avevo sentito arrivare.
I suoi occhi – dalle iridi di un ocra poco vivace – erano spalancati a guardare di fronte a sé, e la visione di lui che tremava anziché essere perfettamente immobile mi sembrò così naturale e umana da spaventarmi. Perché Jasper non era umano e non era una cosa naturale.
La mia paura fu subito soffocata da ondate gentili di calma, mentre Jasper mi guardava stringendo i denti e i pugni. «Jasper?» Sussurrai. Si portò lentamente un dito tremante alle labbra, intimandomi di rimanere in silenzio.
Sentii una voce canticchiare sotto voce, un tono virile e bellissimo, basso e virtuoso, e un uomo dai capelli brizzolati di grigio, vestito di nero e bianco, apparve nel corridoio tastando la parete. "Vivo per lei da quando sai, la prima volta l'ho incontrata..."
«Mi dispiace, Belarda» Mormorò Jasper implorante, e nella sua voce e nei suoi occhi c'era un tormento autentico, tanto intenso da farmi venire i brividi facendo breccia per un secondo oltre la coltre di tranquillità che mi aveva imposto «Mi dispiace, ma non posso fermarmi»
«Di che stai parlando, Jasper?» mormorai ferma al mio posto.
Conoscevo quell'uomo, quello brizzolato. Lo conoscevo bene, veniva dalla mia terra, mi piaceva. Vidi rilassare anche lui sotto l'effetto del potere di Jasper.
«Belarda...» Ansimò il vampiro, e si batté i pugni contro le tempie, stringendo gli occhi e smettendo di respirare del tutto, tremando convulsamente. Quando riaprì gli occhi aveva smesso di tremare e si era abbassato, il corpo scultoreo morbido ed elastico in posa predatoria. Mi ricordava un puma, seppure spiritato e freddo come il ghiaccio.
«Solo quest'ultimo e poi smetterò, ma nessuno può negarmelo. Non possono, capiranno. Mi dispiace, Belarda. Ma lui è il mio... lui è il mio cantante».
Jasper cedette, inspirò forte l'odore del corridoio sembrandone inebriato. Ed iniziò a strisciare velocissimo come un ragno proprio incontro ad Andrea Bocelli, il cantante lirico preferito di mio papà. Che era cieco, e non poteva vedere la mostruosità del corpo freddo di Jasper che gli si stava avvicinando velocissimo, senza produrre un sol suono.
"... Non mi ricordo come ma mi è entrata dentro e c'è restata...".
Jasper era ad un soffio dal signor Bocelli ormai, quando una sagoma umana gigantesca si allungò sul vampiro, con la testa coperta dal cappuccio della felpa scura a teschi e la mano destra stretta attorno a... ad una falce.
Battei le palpebre. La morte era venuta a reclamare il corpo già morto di Jasper.
In un attimo l'ombra aveva bloccato l'avanzata velocissima del freddo che mi era parsa inarrestabile; una mano gli afferrò il mento alzandolo di scatto, mentre la schiena di Jasper veniva bloccata con una ginocchiata al suolo con un rumore corposo e sinistro che fece bloccare Bocelli sul posto. Che razza di forza aveva per fermarlo in quel modo? Per fermare un vampiro?
Jasper voltò la testa verso il suo aggressore e snudò le zanne, pronto a provare a morderlo o sibilarlo, ma non ne ebbe il tempo. La lama non fece alcun rumore sulla pelle bianca e tesa del collo del vampiro, e nessuno schizzo di sangue teatrale segnò la separazione del corpo dalla testa ancora ghignante di Jasper. Sentii ogni tranquillità forzata svanire mentre l'alta figura incappucciata si aggiustava tranquillamente la testa mozzata del vampiro sotto l'ascella come una baguette e poggiava a terra la falce, bloccando sul terreno il corpo con entrambe le mani.
Trattenni il fiato, mentre Andrea Bocelli entrava nella sua camera, ignaro dell'enorme pericolo che aveva corso.
«Avrei bisogno di una mano» Mi disse Undertaker, scrutando proprio me da sotto il cappuccio nero. Il corpo decapitato di Jasper cercava ancora di opporre resistenza, ma lui lo teneva a bada con un po' di sforzo, lasciandomi disarmata.
"Che cosa sei tu?" Avrei voluto chiedergli.
O "Che ci facevi in giro con una falce in un hotel?".
Invece sorrisi, e dissi: «Certo».
Lui mi guardò serio
«Ho bisogno di un bidone della spazzatura. Di metallo, non di plastica»
«Un bidone di metallo, non di plastica» ripetei, per segnarmelo bene in mente
«Esatto. Al più presto, per favore».
Non me lo feci ripetere, ovviamente. Corsi al piano di sotto e per poco non ruzzolai lungo quattro rampe di scale, salvandomi all'ultimo secondo grazie al corrimano, a cui mi aggrappai con forza. Al piano di sotto iniziai a cercare freneticamente un bidone della spazzatura, ma riuscii a trovare solo quei piccoli bidoncini colorati fissati a dei paletti che servivano per buttarci dentro gli involucri della patatine o gli scontrini o tutte quelle piccole cose che i turisti si portano nelle tasche.
Anche fuori sembrava che non ci fossero bidoni grandi. Dannazione!
Iniziai a girare intorno all'albergo, finché non trovai un recinto metallico a cui era affisso un cartello "vietato l'ingresso dei non addetti ai lavori". Probabilmente lì dietro avrei trovato un bidone della spazzatura, altrimenti potevo anche lasciar perdere la mia ricerca.
Non sapevo scavalcare le recinzioni, perciò provai ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave. Mi chiesi se c'erano telecamere di sorveglianza a spiarmi. Ad ogni modo non aveva importanza: dovevo prendere quel bidone.
Afferrai un grosso vaso con dentro un ficus, usando tutta la forza che avevo, e lo scaraventai contro la porta di rete metallica, deformandola... ma non riuscendo ad aprirla. La colpii di nuovo e non accadde quasi nulla.
«No, no, no, no...».
Mi misi le mani fra i capelli, mentre il vaso di ficus rotolava lontano dai miei piedi e dalla porta.
«Oh, checcavolo... che cosa faccio adesso? Che cosa faccio adesso? Dove trovo un bidone? Pensapensapensapensa...».
Dove si produceva una grande quantità di spazzatura e dunque c'era bisogno di un bidone di grandi dimensioni per evitare di doverne svuotare il contenuto ogni ora? Ma certo, la zona ristorazione!
Galoppai di nuovo dentro l'albergo, lasciandomi alle spalle la porta abozzata da un ignobile atto vandalico. Avrei pagato più tardi per i miei errori, adesso dovevo compiere una missione.
Entrai nella grande sala per la colazione e mi guardai intorno: niente bidoni. Cambiai prospettiva e finalmente ne vidi uno, argenteo e perfetto, alto almeno un metro e venti. Dovevo rubarlo, ma come? Lo feci nel modo più semplice possibile: corsi, lo afferrai e mi allontanai nel modo più discreto possibile. Mi andò di lusso e probabilmente tutti pensarono che stavo andando a svuotarne il contenuto.
In effetti il bidone era pesante, odorava fortemente di banana, di riso e di cereali. Salii le scale in fretta, incurante del dolore lancinante ai polsi e alla schiena, alle piante dei piedi e alla faccia, quest'ultimo colpa del mio sorriso forzatissimo che doveva farmi sembrare normale e a mio agio, ma a ben pensarci probabilmente mi faceva sembrare una psicopatica che aveva rapito un bambino, lo aveva chiuso in un bidone e ora se lo stava portando in camera.
Quando raggiunsi il piano di Bocelli, Undertaker era ancora dove lo avevo lasciato, ma stava cercando disperatamente di trattenere Jasper (o almeno il suo corpo decapitato) che faceva la danza del tarantolato. Era una visione alquanto spaventosa.
«Ho trovato il bidone!» Esclamai, quasi senza fiato, poggiando a terra quell'enorme coso di metallo.
La mia schiena mi ringraziò formalmente.
«Aprilo» Mi disse Undertaker, che chiaramente non poteva farlo da sé, avendo le mani occupate
«Certo» risposi, afferrando il coperchio e buttandolo per terra.
Non ne potevano più, le mie mani. Non ne potevano più.
La prima cosa a finire nel bidone fu la testa di Jasper, che atterrò con un soffice tonfo sulle bucce di banana. Poi il suo corpo roccioso fu tagliato in due pezzi, all'altezza della vita, ed entrambi furono infilati e pigiati nel bidone insieme al capo.
Undertaker si abbassò per prendere da terra il coperchio, poi estrasse un cerino dalla tasca, lo accese sfregandoselo contro i pantaloni e lo buttò dentro al bidone, per poi chiuderlo velocemente.
Nonostante il contenitore fosse stato chiuso, un fumo scuro cominciò immediatamente a filtrarne fuori, insieme ad un odore terribile, pestilenziale, e ad un rumore di membra che si dibattevano.
Stavamo uccidendo Jasper, vero per davvero, finalmente.
Ci guardammo, io e Undertaker, da sopra il bidone puzzolente. Lui continuava a premere le mani contro il coperchio, come se temesse che Jasper potesse saltarne fuori da un momento all'altro, ma pochi istanti dopo si ritrasse.
L'odore di bruciato era sempre più forte, somigliava a dei vecchi calzini di spugna, di quelli spessi che si mettono le vecchie, a cui avevano dato fuoco dopo averli intinti nello sciroppo per la gola.
«Beh» Dissi, mettendomi le mani in tasca «Io, credo che, io... non si alzerà più, giusto?».
Lui annuì.
«Sei una ragazza con i nervi saldi, tutto sommato» Mi complimentò.
Io feci una risata isterica.
«Senti» Mi disse ancora «Non dovrai mai dire a nessuno di questa cosa»
«Giurin giurello» dissi in fretta, come una bambina di cinque anni «Che mi possa cadere un dente se farò questa cosa da perdente!».
Lui rimase in silenzio. Anche io l'avrei fatto al posto suo, era la soluzione più dignitosa.
Il bidone stava iniziando a diffondere, oltre all'odore mefitico, anche un bel calduccio e allungai le mani per riscaldarmi. Ero così felice di poter usufruire in questo modo di un vampiro!
Ce ne restammo così per qualche istante, finché i sensori antincendio non captarono il fumo e l'acqua del sistema iniziò a piovere in tutto il corridoio, inzuppandoci pur senza spegnere il fuoco che era saldamente protetto da un coperchio metallico.
«Che figata» Commentai, con l'acqua che mi scorreva sui capelli.
Lui mi sorrise, anche se forse me l'ero solo immaginato. Forse è più corretto dire "mi rivolse un'espressione lieve da cui trassi un sentore di complicità". Un sorriso è un po' esagerato.
Era tutto surreale, fuori dal mondo. Ero bagnata fradicia, a un paio di stanze di distanza da quella di Andrea Bocelli, a riscaldarmi le mani come una barbona sulla spazzatura (rubata) a cui avevamo dato fuoco (ovviamente Jasper faceva parte della spazzatura). E in tutto questo ero con Undertaker, che aveva una falce, un'autentica falce tagliavampiri (no, probabilmente quella cosa serviva per il grano, però i vampiri li tagliava bene) che era riuscito ad introdurre chissà come dentro un hotel a Phoenix.
All'improvviso comparve qualcuno in fondo al corridoio. Sobbalzai, spaventata dall'idea che Alice fosse venuta per vendicarsi, poi mi tranquillizzai. Era CM Punk, che ci aveva trovati.
Tossì forte, mentre si avvicinava ad ampie falcate, arrabbiato
«Macchecavolostatefacendo?» Domandò «Date fuoco alla spazzatura?»
«Siamo dei vandali» rispose Undertaker, senza fare una piega
«E tu, Belarda! Lo assecondi!»
«Non posso dirgli di no, non posso dire no a niente che dice lui!»
«Aaaaahhhh!» Punk si mise le mani sulle tempie, artigliandosi i capelli «Io corro su e giù come un pazzo per tutto l'albergo e voi siete qui che date fuoco alla spazzatura! Che immensa maturità!» .
Abbassai gli occhi sulle mie scarpe. Cavoli, mi vergognavo. Non volevo deludere CM Punk, ma non potevo certamente dirgli come le cose erano andate davvero.
«Scusa» Mormorai
«Non è colpa tua» fece lui, ringhiando «È questo... degenerato... che... fa fare cose strane alla gente»
«No, è colpa mia» mi misi una mano sul petto «Sono stata io che... è colpa mia...».
Perché mi stavo prendendo la colpa di Undertaker? Non lo so, credo che sia quello che avrebbe fatto chiunque. O forse era un gesto di gratitudine per aver fatto fuori Jasper.
Undertaker alzò il coperchio del bidone e un'immensa bolla di fumo nero e acre, così denso come non ne avevo mai visto, si sprigionò per tutto il corridoio. Punk prese a tossire furiosamente mentre ci pioveva di nuovo acqua addosso.
Quando il fumo si fu dissipato e io pensai di aver tossito fuori i polmoni, Undertaker era sparito.
CM Punk cercò di urlare di frustrazione, ma gli venne fuori un pigolio smorto e poi riprese a tossire. Della gente uscì dalla stanze e io mi sentii avvampare. Avrebbero pensato tutti che eravamo stati io e Punk ad aver messo fuoco alla spazzatura!
«Siete dei maledetti vandali!» Urlò una vecchietta con un vestito a fiori ed un ampio cappello da sole «Come vi permettete! Qui c'è gente con l'asma!»
«Non siamo stati noi!» piagnucolai, anche se in realtà un po' ero stata io
«Signora, ma il cappello in camera?» domandò Punk, sorpreso
«E i capelli lunghi anche se sei maschio?» ribatté prontamente la signora, imbronciata
«Che schifo!» Urlò un signore ben vestito, dai capelli pettinati con almeno una tonnellata di brillantina «C'è un odore che non si respira!»
«Scappiamo» disse Punk, dandomi la mano.
Fuggimmo. Ricorderò per tutta la vita gli improperi che la vecchietta dal cappello ci lanciò dietro, ma non oso ripeterli.
Quando fummo vicini al bar, ci fermammo a riprendere fiato. Mi sentivo stanchissima.
«Undertaker è uno scaricabarile professionista» Commentò Punk, divertito e arrabbiato insieme «Non ho mai, mai, mai visto nella vita un'azione di scaricabarile più efficace di questa. Vandalo e scaricabarile. Ma perché bruciavate la spazzatura?»
«Ehm... io...».

Non riuscii a rispondere, non potevo inventarmi nessuna scusa. Balbettavo, arrossivo, inciampavo nelle mie stesse parole.
Il telefono di CM Punk squillò all'improvviso. Non disse nulla, tranne un "si" alla fine.
«Bene, l'hanno ritrovato e riportato» Disse, quando ebbe chiuso la chiamata «Ce ne andiamo. Allora ciao, Belarda»
«Ciao, CM Punk. Spero di rivederti»
«Io spero che tu ti sia pentita di quello che hai fatto» scherzò lui «Andiamo, mettere fuoco alla spazzatura!»
«Non sono stata io, è stato lui. Ma non potevo fermarlo, no?»
«Questo spiega in parte le cose» Punk annuì, poi alzò una mano in gesto di saluto e si allontanò. Presi un respiro profondissimo.
Jasper era morto. Dentro di me, un fiore di speranza iniziò a sbocciare.
Decisi di ritornare in camera a riposare, ovviamente dopo essermi fatta una doccia nelle docce vicino alla piscina per levarmi di dosso quella puzza di fumo terribile: era stata una giornata lunghissima. 



giovedì 3 maggio 2018

Sunset 39 - Una giornata lunghissima (parte 1)


Loro restarono nella stanza. Alice chiese alla reception di non preoccuparsi delle pulizie in camera. Le finestre erano sempre chiuse, la TV sempre accesa, benché nessuno la guardasse. La colazione arrivò in camera regolarmente, ma mi era difficile mangiare con il modo in cui loro si facevano sempre più immobili, due statue i cui occhi mi seguivano con spostamenti impercettibili.
Erano bruttissimi, sembravano la versione "bambola assassina" di due statue di marmo.
Mi avvicinai alla statua con i googly eyes più bassa e le dissi «Voglio fare colazione»
«È lì, è arrivata»
«Un'altra colazione».
Alice mi sganciò altri cinquanta dollari, visto che sembrava non avere cartamoneta di taglio più piccolo. Così, per evitare di rimanere in camera e di non godermi un soggiorno pagato in un albergo di lusso, alle sette in punto di quella giornata lunghissima uscii dalla camera.
Per prima cosa mi recai a procurarmi un cappellino. Si, prima della colazione. Era un cappellino viola, con sopra scritto, a grandi lettere fiammeggianti rosse "Phoenix", e lo indossai con il pigiama prima di rendermi conto che ero ancora in pigiama.
Non andai a cambiarmi: volevo fare la bella vita, mangiare cornetti in pigiama e cappello e quelle cose lì. Il bar pullulava di ragazzini, che però non mi infastidirono, attirati come una falena da una candela dalla presenza di John Cena che dispensava autografi e consigli di vita ad un tavolino diverso da quello di ieri, mostrando di quando in quando i bicipiti.
Buttando alle ortiche ogni prudenza mi avvicinai al wrestler: volevo toccare quei bicipiti. All'ultimo secondo mi ricordai di essere una persona timida, e così mi abbassai sulle ginocchia e lo toccai comunque confondendomi con i ragazzini, prima di sgattaiolare via in tutta fretta e ordinare un cornetto al pistacchio.
Attirai qualche occhiata stranita dei giovani fans, ma per fortuna non ero interessante quanto il loro idolo. Scelsi un tavolino tranquillo e mi accomodai.
I tavoli erano metallici, perfettamente rotondi e poggiati su un solo piede, disposti lontani l'uno dall'altro davanti al bancone chiaro, dietro cui figuravano tutta una serie di espositori di chewing-gum, caramelle e dolcetti commerciali dai cioccolatini alle barrette di cereali.
Ripensai ai dolci del mio paese, alle susumelle, e notai quanto povera fosse la scelta americana. Gli americani potranno essere bravi in tante cose (no, non è vero, non sono bravi in quasi niente) ma di certo non sono bravi a fare i dolci. L'unica cosa che fanno, quando li preparano, è metterci dentro zucchero e poi colorarlo. Tutti quei dolciumi erano praticamente fatti di zucchero colorato con aromi e un pizzico di roba a caso che dava il nome al dolce (se per esempio c'era un pizzico di riso soffiato, dicevano che era una barretta di riso soffiato).
Ero persa nelle mie elucubrazioni sull'industria dolciaria del nuovo continente quando intravidi una mutanda familiare. In un lampo di giallo notai che CM Punk era entrato nel bar e che stava cercando di camminare raso-muro per evitare la folla di ragazzini vocianti, che per fortuna erano molto presi da John Cena, che ora gli stava facendo vedere i polpacci.
Se non voleva farsi notare, però, gli avrei consigliato di mettersi un paio di pantaloni.
«Psttt!» Esclamai, sventolando una mano per farmi vedere «Ehi! Ehi!»
«Ah!» lui parve sorpreso di vedermi e si infilò le mani nella felpa grigia «Belarda?»
«Vieni qui! Presto!» sussurrai, con aria di cospirazione.
Lui mi sgattaiolò accanto. Eravamo seduti nel tavolino più discosto e seminascosto del bar, perciò le possibilità che i bimbi lo notassero calavano di almeno il... facciamo una percentuale a caso... ventisette percento.
«Belarda Cigna!» Disse, indicandomi con il doppio segno della pistola prima di sedersi
«Ehi, CM Punk! Il campione di...»
«SHHHH!» mi fece lui «Chiamami con un altro nome»
«Pensavo che i bambini ti piacessero» replicai, sorpresa
«Beh, non a colazione. A colazione l'unico che può sopportare venti bambini ottenni è John Cena. Ma lui non è umano, è una specie di trademark a forma di persona che sponsorizza scarpe e cereali»
«Ho toccato i suoi bicipiti» rivelai «Fingendomi un'ottenne»
«Wow» mi guardò come si guarda la ciambella più grande del mondo «La cosa che mi stupisce di più è che tu ci sia riuscita»
«Sono piena di risorse. Mi sorprendo da sola a volte. Soprattutto negli ultimi mesi»
«E ne è valsa la pena?»
«Sono bicipiti... ben fatti»
«E i miei?» disse lui, flettendo un braccio
«Non lo so» risposi «Sono sotto la manica. Fammi toccare!».
Allungai una mano coraggiosamente per tastare il muscolo e lo trovai duro, ma...
«Non è come quello di John Cena» dissi «È un po' più cedevole»
«Ehi!» fece lui, aggrottando le sopracciglia e abbassando il braccio «Io sono un essere umano, John Cena no»
«Come braccio di essere umano è fantastico»
«Grazie»
«No, davvero, a parte...» stavo per dire "a parte Edward Cullen, è il braccio più duro che abbia mai toccato, in un essere umano", poi mi ricordai che quel coso era un vampiro e scossi la testa
«A parte?»
«Ehm...» feci un gesto con la mano come ad anticipare un discorso complesso, cercando di prendere tempo «... la costellazione dell'Auriga...»
«Non l'ho capita»
«Neanch'io. Me la devono ancora spiegare. È una cosa che mi ha detto Cullen, quel ragazzo che ha comprato tutti i biglietti dell'arena»
«Oh, me lo ricordo, si» lui annuì brevemente «Senti, devo darti una cosa»
«Che cosa?» domandai, curiosissima
«Una cosa che vuoi proprio...»
«Oddio, aspetta che devo trovare la penna per segnarmelo...»
«Che cosa devi segnarti?» fece lui, cercando di trattenere le risate
«Niente» dissi guardinga, arrossendo «Cosa mi dai?».
Lui scoppiò a ridere questa volta e si frugò nelle tasche della felpa, da cui trasse due opuscoli dell'albergo.
«Oh, i libretti dell'albergo!» Esclamai «Grazie!»
«Erano o non erano ciò che volevi?» domandò lui, con aria complice
«Ehm...» non potevo dire di no a CM Punk, uno dei miei eroi «... Sono tanto carini! Grazie!»
«Belarda! Aprili almeno!».
Io feci come mi veniva ordinato, srotolai la prima brochure informativa e vidi che c'era una macchia sul cielo della fotografia in mezzo. Misi a fuoco la macchia: era la firma di The Undertaker.
«COSA?!» Feci, il tono di voce altissimo
«Shhh!» ingiunse lui «Non attirare l'attenzione! Ti ho fatto firmare degli autografi!»
«Tu sei bellissimo, i tuoi bicipiti sono molto meglio di quelli di John Cena! È proprio quello che volevo!»
«Se ti stai chiedendo perché proprio gli opuscoli... sappi che è perché ci era fermo davanti e non avevo altra carta. Dovevo agire in fretta» disse, in tono professionale «Sai, gli Undertaker sono animali schivi. Gli ho lanciato la penna e gli ho detto "firma!". Ho rischiato la vita, sai?»
«E lui ha firmato così? Al tuo ordine?» chiesi, cercando di figurarmelo
«Ehm... non proprio. Prima mi ha guardato strano. Poi gli ho indicato cosa doveva firmare. E poi gli ho dato tutta la mia colazione e ho detto "per favore". Ed ecco perché ora sono qui: perché ho fame e la mia colazione in camera se l'è mangiata lui».
Volevo ridere, ma anche abbracciarlo e dirgli "poverino!". Non feci nessuna delle due cose, ma chinai la testa e dissi piano «Grazie»
«Oh, di niente» si strinse nelle spalle «Ora mi compro una colazione migliore»
«No, no, offro io!» dissi, tirando fuori una banconota (anzi, la banconota) da cinquanta dollari «Prenditi quello che vuoi!»
«Grazie!».
Ordinammo zucchero ricoperto di zucchero con ripieno di zucchero che pretendevano di essere ciambelle. Erano dolci. Squisite proprio no, ma dolci si.
«Dovremmo smaltirle» Disse Punk, quando ebbe finito la sua, con tutti i baffi spolverati di zucchero a velo «Che facciamo?»
«Ehm... ma tu non devi ripartire con la WWE?»
«No» lui scosse la testa, affranto
«Cosa? Perché? Che è successo? Ti hanno licenziato? Sono stupidi, non ti meritano!».
Lui rise di gusto
«No, è che partiamo più tardi. Sono stato l'ultimo ad avvistare Undertaker»
«In che senso?» feci, scettica
«Nel senso che sono animali schivi, gli Undertaker» mi illustrò lui, appoggiandosi allo schienale della sedia «E dopo che si è procacciato la mia colazione, è scomparso. Quindi non possiamo partire finché non lo abbiamo ritrovato. E non lo abbiamo ritrovato. Mi mandano un messaggio quando succede, anche se il modo migliore per sapere se stiamo per partire è vedere John Cena che scolla le chiappe dalla sedia del bar».
Adesso ero preoccupata. Undertaker era scomparso (dopo avermi firmato due brochure, evviva!) e nell'albergo c'erano due vampiri che non lo amavano proprio di cuore probabilmente.
«Non possiamo cercarlo?» Domandai
«Scherzi?» lui sghignazzò «Mica è la prima volta che capita! Andiamo a divertirci! Smaltiamo le ciambelle! Ti va di venire in piscina?»
«Non ho un costume...»
«Ti va di andare a fare shopping e poi andare in piscina? Ti presento altri wrestler!»
«Assolutamente si!» quasi saltai sulla sedia, il che significa che caddi a terra rovinosamente dopo essere sobbalzata e aver intrappolato i piedi fra quelli della sedia stessa.
«Ti sei fatta male?» Domandò Punk
«Se è successo» risposi, alzandomi in fretta come se nulla fosse accaduto «Non l'ho sentito. Quindi no!»
«Ma non ti aveva investita un orso?»
«Si!» esclamai, lanciando in aria le braccia «Ma oggi mi sento benissimo!».

Era vero, mi sentivo una favola, ma credo che fosse tutta colpa degli ormoni. Oppure aver toccato il bicipite di John Cena mi aveva sanata da tutti i mali. Chi lo sa!
Andammo a comprare un costume per me. Acquistai il bikini più coprente del negozio, un coso viola e blu a strisce diagonali zigzaganti.
Quando lo indossai, Punk fece finta di essere diventato cieco, poi mi sbirciò fra le dita di una mano e disse
«Oh porca miseria, sei ricoperta di lividi!».
Mi guardai nello specchio del negozio: ero viola a blu a strisce diagonali zigzaganti, perciò ero un tutt'uno con il mio costume. Avevo un aspetto orribile.
«È perché ho investito un orso» Gli ricordai «Sono solo superficiali, si riassorbiranno»
«Mi sento male per te»
«Io sto bene»
«È perché sto assorbendo io il tuo dolore, evidentemente. Oh mamma, ora mi fanno male le ginocchia!».
Ci recammo a bordo piscina, dove alcune divas (wrestler della WWE femmine, che per qualche motivo si chiamano così) prendevano il sole con bikini molto più alla moda del mio. In acqua, Bobby Lashley schizzava un gruppo di ragazzini.
C'erano troppi ragazzini. Da dove erano usciti? Chi li aveva fatti entrare nell'albergo?
«Wow!» Dissi, tenendomi per me le considerazioni sui giovincelli «Piscina!»
«Proprio quella» confermò Punk, togliendosi la felpa «Facciamo un tuffo?»
«Ma tu... non devi cambiarti?»
«No!» esclamò lui, tutto fiero «Il costume da wrestling fa da pantalone, biancheria e anche da costume da bagno! YAY!» e poi si tuffò a bomba, schizzandomi.
CM Punk, era evidente, non si cambiava molto spesso.
Entrai in acqua, un po' titubante, temendo di scivolare e dare una testata al bordo che mi sarebbe risultata fatale. Scivolai comunque, ma almeno caddi in acqua.
Quando risalii mi scontrai con i piedi di un ragazzino, ma quello non ci fece molto caso.
Punk mi schizzò con l'acqua
«Lenisco le tue ferite! Lenisco le tue ferite!» esclamò
«Muoio!» replicai, andando a fondo in un turbinio di bolle.
Fui contenta di sentire che anche altra gente, oltre a noi, rideva di quello stupido siparietto. Eravamo in acqua a rilassarci da una ventina di minuti (e le mie dita stavano iniziando a cambiare forma) quando spuntò un tizio immenso e pelato, con un costume da bagno che somigliava a quello di un cavernicolo, con una bretella sola.
«È Big Show!» Urlò CM Punk, con aria terrorizzata «Presto, usciamo dall'acqua!»
«Perché?» chiesi io, vagamente affascinata da cotanta immensità.
Big Show era il wrestler vivente più pesante della WWE, un bestione immenso, più alto di Undertaker (anche se non altrettanto spaventoso), ma con l'aria da gigante gentile, che veniva avanti salutando tutti per nome. Salutò anche Punk, sorridendogli.
E poi salutò me, anche se non conosceva il mio nome. Mi disse «Ciao ragazza con il costume blu e viola»
«Ciao Big Show!» dissi incantata di rimando, mentre qualcuno cercava di trascinarmi per un braccio fuori dalla piscina.
CM Punk smise all'improvviso di tirarmi
«Se non esci dalla piscina ti farai male» disse, mentre si arrampicava come un ragno sulla scaletta «Fuori! Presto!».
Mi disincantai giusto il tempo per riuscire a seguirlo (ma con calma). Appena fui fuori capii perché mai Punk mi avesse fatto quella strana richiesta.
Big Show prese la rincorsa, e vedere quel bestione cicciottoso che correva era assolutamente una cosa fuori dal mondo. Poi saltò e vederlo saltare fu anche meglio. Ma la cosa migliore fu quando, come una palla di cannone, fendette l'acqua della piscina, causando onde anomale che sbatacchiarono tutti quelli che erano nell'acqua, dispersero i bambini a destra e a manca e fecero andare persino la testa di Bobby Lashley sotto.
«Wow» Dissi
«Si» replicò Punk «Ma fidati, non ti piacerebbe trovarti sulla traiettoria. Non piacerebbe a nessuno».
Annuii guardando ancora meravigliata gli effetti di un semplice tuffo. Non faceva per niente freddo, però iniziavo a sentirmi a disagio fuori dalla piscina in costume, perché la gente si fermava a guardarmi i lividi.
«Io vado a rivestirmi, sono a posto con la piscina» Dissi a CM Punk.
Quando mi fui rimessa il pigiama e il mio cappellino di Phoenix, mi sentii di nuovo più a mio agio. Non proprio completamente a posto, ma più umana di prima e meno un kebab ambulante con uno strano incarto.
Quando io e Punk ci rincontrammo, nella reception, lui si era finalmente infilato un paio di pantaloni.
«Non credo di averti mai visto così» Dissi piano
«Sei sicura di essere una mia fan?»
«Si»
«E non hai mai cercato foto di me fuori dal ring su internet?»
«Non sono interessata alle paparazzate» dichiarai, seria «Mi piace il wrestling, non spiare nelle vite di persone che rispetto»
«Wow» Punk batté le palpebre «Mi fai sentire a disagio. Io ho cercato un sacco di foto di wrestler fuori dal ring»
«Peggio per te» replicai, facendogli una linguaccia e facendolo ridere.
Chiacchierando delle nostre personalità preferite della WWE, uscimmo per fare una passeggiata e sperai vivamente che Alice non si arrabbiasse per questo e venisse a prendermi dalle orecchie. Ma comunque dubitavo che James, il segugio vampiro, volesse venire a rapirmi di fronte a tutta quella gente che passeggiava per le vie di Phoenix, in pieno giorno, quindi ero probabilmente al sicuro.
«Tu invece non ti sei cambiata» Mi fece notare Punk «Io mi sono messo i pantaloni, ma tu sei con il pigiama»
«Ah, si» mi sfregai la testa «Ehm, non voglio tornare in stanza. Preferisco... mi vengono gli attacchi di panico»
«Oh, scusa. Va bene, stai fuori. Hai detto che sei venuta con degli amici, chi sono?»
«I fratelli di Edward Cullen, quello che...»
«Quello che ha comprato tutti i biglietti per l'arena, lo so» mi interruppe lui «E perché mai sei con loro?»
«Lunga storia» mi strinsi nelle spalle «Sono solo... niente, è una lunga storia. Mi annoio da sola a raccontarla».
Non era vero, volevo gridarlo a tutti, volevo che lo sapesse il mondo intero: ero stata rapita dai Cullen, rapita dai maledetti vampiri, ed ero inseguita da un mostro succhiasangue che voleva uccidermi per una stupida sfida contro sé stesso. Sorrisi debolmente. Punk non se la bevve, ma non fece altre domande.
Passeggiammo all'ombra dell'albero quando iniziò a fare troppo caldo, poi Punk mi presentò un paio di manager e un cameraman della WWE. I due manager erano signori di mezz'età che riuscivano a portare giacca e cravatta anche con quel sole, ma il cameraman, in maglietta e pantaloncini siglati con la W di WWE, era uno dei ragazzi più belli che avessi mai visto in vita mia, con la pelle bronzea e folti capelli neri riccissimi tenuti insieme in un cespuglioso codino. Aveva le ciglia così scure che sembrava si fosse messo l'eyeliner e si chiamava Bandele.
«Molto piacere» Mi disse, porgendomi la mano. Aveva un accento leggero, ma non capivo da dove venisse.
«Molto pia» risposi, dimenticandomi il "cere", troppo affascinata.
La sua stretta di mano era asciutta e forte e virile e durò poco meno di due secondi.
«Cere» Completò per me CM Punk, sghignazzando «Belarda ha avuto un incidente con un orso, non sta troppo bene»
«Oh, mi dispiace» disse Bandele «Anch'io una volta ho incontrato un orso. Era una femmina, ma aveva i piccoli e mi ha minacciato ed è stato davvero orribile».
Batté le palpebre. Sembrava una statua di bronzo che aveva preso vita.
«Già» Risposi, laconica.
Che mi prendeva? Ero riuscita a parlare con CM Punk, persino con Undertaker, e ora mi bloccavo con questo cameraman solo perché era carino? Non appena ripensai ad Undertaker e al fatto che ero riuscita a rivolgergli la parola senza morirne, mi rilassai immediatamente.
«Comunque non sono stata attaccata da un orso» Precisai «L'ho investito con la macchina, è diverso»
«Hai investito un orso?» Bandele strinse gli occhi «Come è successo?»
«Oh beh, è spuntato all'improvviso ed era troppo veloce, quindi l'ho investito. È stato uno sbaglio. Ma non preoccuparti» strinsi i pugni «L'orso è sopravvissuto»
«Vieni, Belarda» fece Punk, tirandomi delicatamente per la manica del pigiama «Ti presento John Morrison».
Bandele era bello, ma John Morrison era un dio in terra. Seguii immediatamente Punk, dopo aver salutato il cameraman con un cenno della mano. Ero in un posto dove erano tutti belli e tutti nel mondo del wrestling.
John Morrison, con una maglietta aderente al torace scolpito, se ne stava al sole in piedi, guardando il cielo. Aveva, come al solito, un paio di occhiali da sole decorati da croci bianche nel mezzo delle lenti.
«Ehi, Jo Mo!» Lo salutò Punk «Che fai?»
«Prendo la tintarella alla faccia» rispose l'altro, aggiustandosi i lunghi capelli castani con una mano
«Con gli occhiali poi sembrerai un panda reverse»
«Fatti gli affari tuoi» disse piano Morrison, ma si tolse gli occhiali e mi guardò «E chi è questa signorina?»
«È Belarda Cigna. Ti ricordi, ti ho parlato di lei»
«Certo» John Morrison mi allungò una mano per farsela stringere «È la ragazza con cui hai inseguito Undertaker al ristorante»
«Molto piacere» dissi, sentendomi arrossire «Belarda»
«Piacere, John» rispose, sfoggiando un sorriso affascinante «Non andare troppo in giro con Punk»
«Oh, andiamo!» esclamò l'altro wrestler «Non fare così!»
«L'ultima volta che sono andato in giro da solo con lui» mi raccontò Morrison, in tono confidenziale «Ci siamo persi e siamo finiti nello studio di una tatuatrice pesante duecento chili che ha preteso di fargli un tatuaggio. Sono riuscito a scappare dalla finestra prima che finisse male anche per me»
«Davvero?» mi coprii la bocca per smorzare una risatina che sembrava isterica
«Davvero» John si rimise gli occhiali «Non farti portare in posti strani. Non ha idea di niente».
Punk, offeso, prese a fargli la ramanzina, ma Morrison si allontanò con le braccia incrociate e il passo elegante di qualcuno che ha preso spesso lezioni di postura.
«Non sono il più amato negli spogliatoi» Confessò CM Punk «Ma in realtà fanno così solo di fronte alle altre persone, mi vogliono bene. Kane mi vuole bene di sicuro! Se lo trovo te lo presento... Cioè, per la seconda volta...».
Non riuscimmo a trovare Kane da nessuna parte.
«Deve essere sparito insieme ad Undertaker» Scherzai
«Noooo» Punk scosse la testa «Hanno interessi troppo diversi per sparire insieme. Kane sarà da qualche parte a sperimentare la cucina tipica e a parlare della società con la gente locale. Undertaker sarà infilato nel più vicino canile a cercare di rubare tutti i rottweiler e di usarli per terrorizzare i volontari».
Risi nervosamente. Avevo proprio il timore che Undertaker fosse da tutt'altra parte: morto, ucciso dai vampiri, oppure trasformato in un orso mannaro che stava mangiando la gente in autostrada.
D'improvviso il telefono di CM Punk squillò, con la sua canzone di entrata in arena come suoneria.
«Pronto?» Rispose «Si? Come... no... dai... ma che c'entro io? In che senso?» fece una lunga pausa, ascoltando concentrato «Questo non c'è sul mio contratto, Sean. Si? E va bene. No. Ciao».
Chiuse premendo un pulsante e si rimise l'apparecchio in tasca, poi mi guardò con un'espressione strana
«Allora...» esordì «...Mi vuoi aiutare a fare una cosa?»
«Che cosa?» indagai, sperando che non fosse andare alla ricerca di una tatuatrice di trecento chili che voleva forzarmi a fare tatuaggi
«Taker non si trova proprio da nessuna parte, così stanno dicendo a tutti i wrestler di cercarlo» sbuffò «Non fa parte dei nostri compiti, ma proprio non si può partire senza di lui e, francamente, è quasi meglio così, possiamo restare un altro po' qui, anche se poi in effetti dovremo fare tutto di fretta quando arriveremo al prossimo albergo, ma vabbè, non importa... mi aiuti a cercarlo?»
«Certo!» esclamai
«Allora dobbiamo dividerci. Tu vai di là» indicò una direzione in modo vago, con la mano che oscillava «E io vado dall'altra parte. Cerchiamo dentro l'albergo, mi hanno detto che mi hanno assegnato qui, anche se non capisco perché ci hanno assegnati a dei posti specifici, ma vabbé».
Stavo per chiedergli se probabilmente non avevano affibbiato anche alla mia direzione un wrestler per cercare Undertaker, ma aveva già iniziato ad allontanarsi e non volevo rallentarlo chiacchierando.
«A dopo» Dissi soltanto, e mi infilai nel primo corridoio del "mio" settore, camminando a passo veloce. 


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