Ancora calda dopo il bagno rilassante
che mi ero fatta prima di andare a dormire, scesi in pigiama le scale.
Era gratificante non puzzare più di sudore: evviva i prodotti per
l'igiene alla fragola!
Camminai in punta di piedi, con Dracula che zampettava sui gradini, naturalmente silenzioso.
La
casa era buia salvo per il salotto, che era illuminato dalla luce della
televisione sintonizzata su un canale sportivo. In quel momento non
c'era nessun programma in onda, solo la pubblicità di proteine che, da
come la mettevano loro, ti avrebbero fatto diventare le braccia grosse
quanto due piccoli rinoceronti non appena avessi alzato un peso da due
chili.
Cercai e trovai papà che sonnecchiava mezzo
addormentato sul divano, scivolato un po' di lato, con Lillo
acciambellato in braccio e profondamente addormentato. Sorrisi e gli
sfiorai una spalle, mentre Dracula si strusciava tra le mie caviglie,
per poi salire con un balzo agile e silenzioso sul divano.
«Pa'?»
«Hnn». Lui aprì un occhio
«È
tardi. Forse è meglio che cominci ad andare a dormire di sopra?». In
realtà era un'affermazione, ma la formulai come una domanda per incitare
il suo cervello ad uscire dal dormiveglia per capire qual era la
risposta. «Vai? O vuoi rimanere qui? Però qui fa freddo»
«No
no» biascicò, prima di sbadigliare, e mi regalò un sorriso assonnato «È
ora, hai ragione. Grazie Bells. Che diligente che sei»
«Grazie papà. Anche tu sei diligente»
«Io non faccio niente tutto il giorno»
«Tu fai più pulizie di me, e ci guadagni il cibo. Io faccio solo la lavatrice e cucino. Mi hai persino riordinato la libreria».
Lui negò nel mezzo di uno sbadiglio: «Gno»
«Come no?»
«Sarai
stata tu e poi ti sei scordata. Succede. Mica la gente ti entra in casa
per ordinarti le cose, solo per rubarle». Una scintilla di intuizione
balenò nella mia mente, anche se ancora non riuscivo a capir bene di
cosa si trattasse. Perlomeno, papà sembrava decisamente più articolato.
«Ti posso lasciare o ti riaddormenti?»
«No,
vai, vai». Papà si stiracchiò verso l'alto, cercando di muovere le
braccia ma non la parte inferiore del corpo per non svegliare Lillo di
soprassalto.
Risalii al piano di sopra, squittendo
per richiamare l'attenzione di Dracula e farlo salire con me. Lui si
girò; al buio sembrava una sagoma di nero solido con due occhioni, e la
punta dei dentoni bianchi, e francamente era una delle cose più
adorabili su cui avessi posati gli occhi.
No, la più adorabile.
La
sagoma di papà si rilassò nuovamente e annaspò per il telecomando sui
cuscini, mentre Dracula mi si affiancò con un «Mruu» sommesso e mi
superò, arrivando in stanza prima di me.
La mia
camera era illuminata dalla luce lunare: ormai avevo smesso di
preoccuparmi di possibili vampiri appiccicati ai vetri. Li conoscevo
tutti, e avevano tutti affari più pressanti di cui preoccuparsi che non
fossero stalkerarmi. Certo, se ci fosse stato Garrett alla mia finestra
avrei avuto una paura del diavolo, ma adesso preferivo godermi la luce
bluastra della notte piuttosto che preoccuparmi.
Probabilmente lui era a farsi taserare a morte o qualcosa del genere.
Dracula
si acciambellò sul letto e mi guardò, gli occhi rossi espressivi.
Adoravo come la sua pelliccia sembrasse inargentata di notte, e come
invece si tingesse di marrone-rossiccio sotto il sole intenso. Era una
peculiarità delle pellicce scure. Mi chiesi se fosse lo stesso anche per
Sam Uley.
Mi misi davanti alla collezione di libri
di Shakespeare incriminata, osservandoli con occhio critico. Un'altra
scintilla di intuizione sprizzò quando vidi che il nuovo ordine in
realtà non seguiva un ordine: non era alfabetico, né cronologico, né di
popolarità. Il primo libro era Il Mercante di Venezia, l'ultimo Romeo e
Giulietta.
Un'altra scintilla di ispirazione, ma
ancora non capivo. Passai il dito sul dorso blu del primo libro. E
finalmente capii, mentre il mio dito era sulla “Ve” dorata di Venezia. Ne ero sicura!
Il
mio caro papà si sbagliava. C'era gente che ti entrava in casa,
apparentemente, per riordinare le cose anziché prendersele. E forse
anche per lasciare degli indizi.
Alice avrebbe
potuto scrivere il messaggio su un masso, o sul tronco di un albero, se
non aveva carta o penna a disposizione. Avrebbe potuto rubare un
blocchetto di post-it da una qualunque delle case lungo la strada.
Perché proprio un libro? Perché proprio il Mercante di Venezia? Perché
il mio Mercante di Venezia? Quando l'aveva strappata, quella pagina, e che diamine di comportamento villano era?
Sentivo
che voleva dirmi qualcosa, ma perché proprio quest'opera? Non mi veniva
il nesso con la nostra situazione, non capivo cosa volesse dirmi. Ma se
aveva usato come carta uno dei miei libri, che in casa mia sarebbe
potuto essere sfogliato soltanto dalla sua proprietario, aveva voluto
mandare un messaggio indirizzato a me solamente; avevo uno scudo per cui
neppure Edward avrebbe potuto carpirmi alcuna informazione dalla mente,
qualunque cosa avesse voluto comunicarmi era al sicuro con me. Insomma,
se avesse voluto mandarlo ad Edward avrebbe preso uno dei suoi libri,
no?
Sfilai Il Mercante di Venezia e lo aprii al frontespizio, alla luce della luna.
Accanto allo strappo pulito della pagina mancante, sotto la dicitura “Il Mercante di Venezia di William Shakespeare”, trovai un appunto vergato a mano:
Poi distruggilo.
Seguivano
un nome, J. Jenks, ed un indirizzo di Seattle. Portai il libro con me
mentre mi sedevo di fronte al mio lentissimo computer, e lo collocai
accanto alla tastiera. Ci passai sopra le mani, mentre il monitor si
illuminava, avviandosi lentamente. Tamburellai le dita silenziosamente
sul ripiano di legno della scrivania e ripassai ai testi.
Ci volle un'infinità perché il computer riuscisse a caricare i risultati della mia ricerca, ed aggrottai le sopracciglia.
Nessun J. Jenks, però c'era un Jason Jenks. Avvocato.
Dracula
mi balzò in braccio e lo accarezzai lungo tutta la schiena morbida di
pelo fitto e soffice, attendendo che caricasse il link su cui avevo
cliccato, e il micio mi ripagò con sonore fusa.
Il
sito dello studio di Jason Jenks era ben fatto, ma l'indirizzo sulla
homepage era sbagliato, o quantomeno diverso da quello che mi aveva dato
Alice. A Seattle, si, ma con un codice postale diverso da quanto mi
risultava. Presi nota del numero di telefono e cercai a cosa
corrispondesse l'indirizzo, approfittando delle lunghe pause per
coccolare Dracula, ma non trovai nulla: come se non esistesse. Diedi
un'ultima passata sui tasti, a cancellare tutto...
Non
volevo che in qualche modo mi rimanesse in cronologia un avvocato
collegato ad un indirizzo che non esisteva. A questo proposito, Alice mi
aveva chiesto di distruggere il messaggio che mi aveva lasciato, ma io
non ci pensavo proprio a distruggere il mio libro. Per di più, non mi
sarei mai ricordata nulla se avessi cancellato tutto.
Mi ripromisi di passare un pennarello nero sul frontespizio appena avessi finito.
Ma
poi appena avessi finito cosa? Ci sarei davvero andata, da un avvocato
losco che mi aveva consigliato Alice? Continuava a non avere senso. Un
avvocato, il Mercante di Venezia, la fuga di Alice. Da cosa erano unite
tutte queste cose? Cosa voleva Alice da me?
Spensi il
computer e mi infilai sotto le coperte, con Dracula acciambellato sui
piedi. Non sapevo se sarei dovuta andare all'indirizzo, se avessi dovuto
raccontarlo a qualcuno...
La curiosità aveva quasi vinto, quando, troppo spossata, accantonai ogni cospirazione e mi addormentai.
Alla
fine avevamo radunato diciassette testimoni: gli irlandesi Siobhan,
Liam e Maggie; gli egizi Amuni, Kebi, Benjamin e Tia; le amazzoni
Zafrina e Senna; i rumeni Vladimir e Stefan; e i nomadi Charlotte e
Peter, Garrett, Alistair, gli immemorabili Mary e Randall, oltre agli
otto membri dei Cullen. Tanya, Kate, Eleazar e Carmen insistevano perché
le considerassimo tali.
A parte i Volturi, si trattava probabilmente della più grande adunata amichevole di vampiri adulti nella storia degli immortali.
Stavamo cominciando a nutrire speranza, determinazione.
Gli
ultimi due rumeni superstiti, tutti concentrati sull'acre risentimento
per coloro che avevano rovesciato il loro impero millecinquecento anni
prima, se la presero con molta calma. Non mi toccarono né parvero
particolarmente interessati a me, mentre sembravano misteriosamente
deliziati dalla nostra alleanza con i licantropi. Mi guardavano
esercitare il mio scudo con Zafrina e Kate, osservavano Edward
rispondere a domande silenziose, vedevano Benjamin scatenare geyser nel
fiume e folate di vento dall'aria immobile con la sola forza del
pensiero, e ad entrambi brillavano gli occhi per la violenta speranza
che i Volturi avessero finalmente trovato pane per i loro denti.
Non speravamo tutti le stesse cose, ma speravamo tutti.
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