martedì 27 novembre 2018

Sunset 76 - Leggi questo messaggio, poi distruggilo




Ancora calda dopo il bagno rilassante che mi ero fatta prima di andare a dormire, scesi in pigiama le scale. Era gratificante non puzzare più di sudore: evviva i prodotti per l'igiene alla fragola!
Camminai in punta di piedi, con Dracula che zampettava sui gradini, naturalmente silenzioso.
La casa era buia salvo per il salotto, che era illuminato dalla luce della televisione sintonizzata su un canale sportivo. In quel momento non c'era nessun programma in onda, solo la pubblicità di proteine che, da come la mettevano loro, ti avrebbero fatto diventare le braccia grosse quanto due piccoli rinoceronti non appena avessi alzato un peso da due chili.
Cercai e trovai papà che sonnecchiava mezzo addormentato sul divano, scivolato un po' di lato, con Lillo acciambellato in braccio e profondamente addormentato. Sorrisi e gli sfiorai una spalle, mentre Dracula si strusciava tra le mie caviglie, per poi salire con un balzo agile e silenzioso sul divano.
«Pa'?»
«Hnn». Lui aprì un occhio
«È tardi. Forse è meglio che cominci ad andare a dormire di sopra?». In realtà era un'affermazione, ma la formulai come una domanda per incitare il suo cervello ad uscire dal dormiveglia per capire qual era la risposta. «Vai? O vuoi rimanere qui? Però qui fa freddo»
«No no» biascicò, prima di sbadigliare, e mi regalò un sorriso assonnato «È ora, hai ragione. Grazie Bells. Che diligente che sei»
«Grazie papà. Anche tu sei diligente»
«Io non faccio niente tutto il giorno»
«Tu fai più pulizie di me, e ci guadagni il cibo. Io faccio solo la lavatrice e cucino. Mi hai persino riordinato la libreria».
Lui negò nel mezzo di uno sbadiglio: «Gno»
«Come no?»
«Sarai stata tu e poi ti sei scordata. Succede. Mica la gente ti entra in casa per ordinarti le cose, solo per rubarle». Una scintilla di intuizione balenò nella mia mente, anche se ancora non riuscivo a capir bene di cosa si trattasse. Perlomeno, papà sembrava decisamente più articolato.
«Ti posso lasciare o ti riaddormenti?»
«No, vai, vai». Papà si stiracchiò verso l'alto, cercando di muovere le braccia ma non la parte inferiore del corpo per non svegliare Lillo di soprassalto.
Risalii al piano di sopra, squittendo per richiamare l'attenzione di Dracula e farlo salire con me. Lui si girò; al buio sembrava una sagoma di nero solido con due occhioni, e la punta dei dentoni bianchi, e francamente era una delle cose più adorabili su cui avessi posati gli occhi.
No, la più adorabile.
La sagoma di papà si rilassò nuovamente e annaspò per il telecomando sui cuscini, mentre Dracula mi si affiancò con un «Mruu» sommesso e mi superò, arrivando in stanza prima di me.
La mia camera era illuminata dalla luce lunare: ormai avevo smesso di preoccuparmi di possibili vampiri appiccicati ai vetri. Li conoscevo tutti, e avevano tutti affari più pressanti di cui preoccuparsi che non fossero stalkerarmi. Certo, se ci fosse stato Garrett alla mia finestra avrei avuto una paura del diavolo, ma adesso preferivo godermi la luce bluastra della notte piuttosto che preoccuparmi.
Probabilmente lui era a farsi taserare a morte o qualcosa del genere.
Dracula si acciambellò sul letto e mi guardò, gli occhi rossi espressivi. Adoravo come la sua pelliccia sembrasse inargentata di notte, e come invece si tingesse di marrone-rossiccio sotto il sole intenso. Era una peculiarità delle pellicce scure. Mi chiesi se fosse lo stesso anche per Sam Uley.
Mi misi davanti alla collezione di libri di Shakespeare incriminata, osservandoli con occhio critico. Un'altra scintilla di intuizione sprizzò quando vidi che il nuovo ordine in realtà non seguiva un ordine: non era alfabetico, né cronologico, né di popolarità. Il primo libro era Il Mercante di Venezia, l'ultimo Romeo e Giulietta.
Un'altra scintilla di ispirazione, ma ancora non capivo. Passai il dito sul dorso blu del primo libro. E finalmente capii, mentre il mio dito era sulla “Ve” dorata di Venezia. Ne ero sicura!
Il mio caro papà si sbagliava. C'era gente che ti entrava in casa, apparentemente, per riordinare le cose anziché prendersele. E forse anche per lasciare degli indizi.
Alice avrebbe potuto scrivere il messaggio su un masso, o sul tronco di un albero, se non aveva carta o penna a disposizione. Avrebbe potuto rubare un blocchetto di post-it da una qualunque delle case lungo la strada. Perché proprio un libro? Perché proprio il Mercante di Venezia? Perché il mio Mercante di Venezia? Quando l'aveva strappata, quella pagina, e che diamine di comportamento villano era?
Sentivo che voleva dirmi qualcosa, ma perché proprio quest'opera? Non mi veniva il nesso con la nostra situazione, non capivo cosa volesse dirmi. Ma se aveva usato come carta uno dei miei libri, che in casa mia sarebbe potuto essere sfogliato soltanto dalla sua proprietario, aveva voluto mandare un messaggio indirizzato a me solamente; avevo uno scudo per cui neppure Edward avrebbe potuto carpirmi alcuna informazione dalla mente, qualunque cosa avesse voluto comunicarmi era al sicuro con me. Insomma, se avesse voluto mandarlo ad Edward avrebbe preso uno dei suoi libri, no?
Sfilai Il Mercante di Venezia e lo aprii al frontespizio, alla luce della luna.
Accanto allo strappo pulito della pagina mancante, sotto la dicitura “Il Mercante di Venezia di William Shakespeare”, trovai un appunto vergato a mano:
Poi distruggilo.
Seguivano un nome, J. Jenks, ed un indirizzo di Seattle. Portai il libro con me mentre mi sedevo di fronte al mio lentissimo computer, e lo collocai accanto alla tastiera. Ci passai sopra le mani, mentre il monitor si illuminava, avviandosi lentamente. Tamburellai le dita silenziosamente sul ripiano di legno della scrivania e ripassai ai testi.
Ci volle un'infinità perché il computer riuscisse a caricare i risultati della mia ricerca, ed aggrottai le sopracciglia.
Nessun J. Jenks, però c'era un Jason Jenks. Avvocato.
Dracula mi balzò in braccio e lo accarezzai lungo tutta la schiena morbida di pelo fitto e soffice, attendendo che caricasse il link su cui avevo cliccato, e il micio mi ripagò con sonore fusa.
Il sito dello studio di Jason Jenks era ben fatto, ma l'indirizzo sulla homepage era sbagliato, o quantomeno diverso da quello che mi aveva dato Alice. A Seattle, si, ma con un codice postale diverso da quanto mi risultava. Presi nota del numero di telefono e cercai a cosa corrispondesse l'indirizzo, approfittando delle lunghe pause per coccolare Dracula, ma non trovai nulla: come se non esistesse. Diedi un'ultima passata sui tasti, a cancellare tutto...
Non volevo che in qualche modo mi rimanesse in cronologia un avvocato collegato ad un indirizzo che non esisteva. A questo proposito, Alice mi aveva chiesto di distruggere il messaggio che mi aveva lasciato, ma io non ci pensavo proprio a distruggere il mio libro. Per di più, non mi sarei mai ricordata nulla se avessi cancellato tutto.
Mi ripromisi di passare un pennarello nero sul frontespizio appena avessi finito.
Ma poi appena avessi finito cosa? Ci sarei davvero andata, da un avvocato losco che mi aveva consigliato Alice? Continuava a non avere senso. Un avvocato, il Mercante di Venezia, la fuga di Alice. Da cosa erano unite tutte queste cose? Cosa voleva Alice da me?
Spensi il computer e mi infilai sotto le coperte, con Dracula acciambellato sui piedi. Non sapevo se sarei dovuta andare all'indirizzo, se avessi dovuto raccontarlo a qualcuno...
La curiosità aveva quasi vinto, quando, troppo spossata, accantonai ogni cospirazione e mi addormentai.
Alla fine avevamo radunato diciassette testimoni: gli irlandesi Siobhan, Liam e Maggie; gli egizi Amuni, Kebi, Benjamin e Tia; le amazzoni Zafrina e Senna; i rumeni Vladimir e Stefan; e i nomadi Charlotte e Peter, Garrett, Alistair, gli immemorabili Mary e Randall, oltre agli otto membri dei Cullen. Tanya, Kate, Eleazar e Carmen insistevano perché le considerassimo tali.
A parte i Volturi, si trattava probabilmente della più grande adunata amichevole di vampiri adulti nella storia degli immortali.
Stavamo cominciando a nutrire speranza, determinazione.
Gli ultimi due rumeni superstiti, tutti concentrati sull'acre risentimento per coloro che avevano rovesciato il loro impero millecinquecento anni prima, se la presero con molta calma. Non mi toccarono né parvero particolarmente interessati a me, mentre sembravano misteriosamente deliziati dalla nostra alleanza con i licantropi. Mi guardavano esercitare il mio scudo con Zafrina e Kate, osservavano Edward rispondere a domande silenziose, vedevano Benjamin scatenare geyser nel fiume e folate di vento dall'aria immobile con la sola forza del pensiero, e ad entrambi brillavano gli occhi per la violenta speranza che i Volturi avessero finalmente trovato pane per i loro denti.
Non speravamo tutti le stesse cose, ma speravamo tutti.



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