C'era una volta una giovane principessa che aveva un nome bello ed
elegante, ma era da tutti conosciuta come la Principessa Starnutina a
causa di un suo certo problema: era sempre afflitta da una pioggia di
starnuti, tanti che la gente poteva trovarla anche solo sentendo il
suono dei suoi etcí etcí.
«Starnutina,
sei nella tua stanza?»
Chiedeva il Re.
E da dentro Etcí.
«Ah, allora sei
lì».
Etcí nei corridoi, Etcí nella sala da pranzo, Etcí
pure in bagno e durante le passeggiate nella meraviglia del suo
giardino.
Il Re, che la amava moltissimo, si dispiaceva nel
vederla ridotta sempre in questo stato, con la povera Principessa che
dal grande starnutire aveva sempre mal di testa, gli occhi che
piangevano e non riusciva a finire una frase che subito uno
starnutone la interrompeva.
«Papà» Disse un giorno Starnutina
«Vorrei provare ad allontanarmi dal castello, che» e qui la
poverina fu interrotta da un sonoro etcí! «Sniff,
sniff, che ogni volta che sono nei giardini mi pare, etcí!,
di soffrire un po' meno del mio male. Forse, se cambiassi aria un
pochetto... etcí!».
La Principessa fece segno al Re di
continuare lui, che lei si era stancata di fare un lungo discorso e
interrompersi sempre; per fortuna il Re aveva capito e dispose di
mandare la figliola in campagna per tre giorni, nella speranza che
l'intuizione di lei fosse felice. La Regina si oppose, obiettando che
non era il caso di fare allontanare una ragazza così cagionevole, ma
il viaggio infine si organizzò, e il Re mandò con la ragazza una
servitrice fidata, che era come una zia per la principessa e le
avrebbe fatto compagnia.
Ci voleva mezza giornata di viaggio per arrivare in campagna, e la
servitrice notò che la Principessa non era poi così Starnutina
durante il cammino: piuttosto che un'allergia pesante, di quelle che
fanno piangere gli occhi e starnutire a profusione, sembrava avere
solo un raffreddorino, ed anche la principessa se ne rallegrò.
I
giorni in campagna furono meravigliosi per la nostra Principessa: si
alzava col canto del gallo e faceva colazione con la servitrice (che
lei chiamava sempre "Zia"), poi esplorava i campi e il
boschetto vicino e bastava la vista di un grillo, dell'erba
illuminata dal sole, di un paio di cornacchie in volo, per renderla
felice come una bimba. Per pranzo mangiava fuori sull'erba e
preparava dei piatti semplici (ma squisiti, perché la nostra
Starnutina sempre principessa era), e stava fuori finché non
arrivava la sera e tornava a fare compagnia alla cara Zia.
Era
sempre rispettosa del bosco, e mai si era divertita tanto! Pareva che
fosse cresciuta sotto un pino invece che dentro una culla
sfarzosa.
Il secondo giorno vide un grosso serpente nero che
prendeva il sole su un sasso, tutto srotolato e rilassato come chi
non ha un pensiero al mondo, che pareva un gioiello per come brillava
alla luce del giorno.
Alla Principessa parve così bello e placido che avrebbe avuto
dispiacere a disturbarlo, perciò augurò:
«Tante belle cose,
compare milordo», e in punta di piedi lo aggirò e continuò la sua
passeggiata.
«E belle altrettante te ne vengano, principessa»
Le parve di udire, ma era una voce così sottile e gentile, e poi lei
era tutta sola, che si persuase di averla solo immaginata. Piuttosto,
l'essere riuscita a non disturbare il serpente le fece realizzare che
era stata silenziosa: da quando era arrivata, i suoi brutti starnuti
erano spariti del tutto!
Tutta eccitata della scoperta (se n'era
accorta anche prima, ma il primo giorno non aveva sperato osare che
gli starnuti che l'avevano perseguitata sin dalla sua prima
adolescenza fossero davvero spariti per sempre), tornò a casa per
festeggiare con la sua accompagnatrice.
«Zia!» Esclamò «Mi
sento quasi che quel caro serpente debba festeggiare con noi. Cosa
posso lasciargli?»
«Ho sentito dire» Disse la servitrice «Che
i serpenti vanno matti per il latte»
«Non mangiano animaletti?
Davvero gli piace il latte?» Ripeté la principessa dubbiosa
«Così
ho sempre sentito dire. Dicono che ne siano così ghiotti che entrino
anche nelle stalle per bere il latte direttamente dalle bestie che lo
producono».
La principessa non era convintissima, ma si fidò della cara zia e
si procurò una scodellina del miglior latte di capra che trovò, lo
scaldò un poco (che ai serpenti piacciono le prede calde) e andò a
portarlo alla roccia a cui aveva visto il serpente. Quello non c'era
per il momento, ma la principessa lo lasciò comunque lì.
«Buon
pro vi faccia» Disse, e se ne tornò a casa sua.
I serpenti di
latte non ne bevono in realtà, ma, nonostante l'errore della
servitrice, la generosità della principessa non andò comunque
sprecata perché il serpente nero non era un animale comune, ma un
membro di quel popolo magico che noi umani a volte chiamiamo fate.
S'era fatto rettile perché, a parer suo, non c'era nessuna forma in
cui fosse più bello farsi riscaldare la pelle dal sole che da
serpente; se aveva apprezzato che la principessa non lo avesse
disturbato durante il suo bagno di sole, in quanto fata e non
serpente gradì ancora di più quell'offerta di latte, che condivise
con le altre fate sue sorelle che vivevano nel bosco con lui.
Mentre
sorseggiavano ognuna un po' di latte dentro certi graziosi
bicchierini decorati, chiacchieravano tra loro, e le fate decisero
infine di fare a loro volta qualcosa per la principessa gentile.
Nel
frattempo erano finiti i tre giorni di viaggio e la Principessa
non-tanto-Starnutina se n'era tornata al castello insieme alla
servitrice.
Lei riabbracciò prima il padre e poi la madre,
tutta felice di essere guarita, ma non appena ebbe finito di
abbracciare la Regina ebbe solo il tempo di dire:
«Papà
Maestà, finalmente ho smesso di...!» e subito uno starnuto troncò
la sua frase a metà.
La principessa era sbalordita e frustrata,
ma ancora più era disperata la corte: un giorno la principessa
avrebbe ereditato il regno, ma come si può avere una regina che è
allergica al castello?
«Maestà» Disse uno dei consiglieri del re, aggiustandosi gli
occhiali «Il Nano Muto forse potrà dirci la ragione del male della
principessa».
Infatti proprio in quei giorni stava arrivando in
città un artista molto particolare, un nano che era in grado di
raccontare storie bellissime senza dire mai una parola grazie
all'ausilio di un teatrino che aveva costruito tutto lui, solo con la
carta, e di un misero lume. Si diceva anche che fosse un grande
saggio, e che le storie narrate dai suoi pupazzi di carta fossero in
grado di rivelare grandi verità a chi assistesse a questi
spettacoli.
Il nano fu mandato a chiamare per esibirsi a corte,
sotto la promessa di una lauta ricompensa, e in soli due giorni (in
cui la povera Principessa Starnutina era stata tormentata peggio di
prima dal suo solito problema) era pronto ad imbastire il suo
spettacolo per i reali.
Anche stavolta il nano non disse una
parola, ma aprì il suo teatrino di carta pieghevole, che da chiuso
pareva proprio un libro, ed iniziò a muovere i cavalieri e le
amazzoni di carta, gli animaletti e i draghi bianchi, ognuno così
bello che sarebbero stati un piacere da guardare anche senza storia
alcuna, e il lume proiettava le loro figure grandi sulla parete per
permettere di vedere la storia anche alle persone distanti.
Il Re e la Principessa guardavano con uguale entusiasmo la storia,
sorridendo felici, bisbigliando ogni tanto e inspirando rumorosamente
ai colpi di scena, ma la Regina ad ogni secondo si rabbuiava di
più.
Alla fine si alzò dal trono e sbottò:
«Tutte
falsità, non è vero! Come osi accusarmi di fronte alla mia Corte?
Continua così e vedrai se non ti farò impiccare!».
Il nano
non rispose nulla, fermando le sue umili marionette di carta.
Lui
raccontava solo attraverso le proiezioni, e in assenza di parola, era
facile che ognuno vedesse dunque una storia diversa: così come i
pupazzi proiettavano le ombre sul muro, gli spettatori proiettavano
una storia sui pupazzi e ci vedevano dei dettagli diversi.
Il Re e la Principessa Starnutina, che erano buoni e gentili,
vedevano una storia che li interessava e sapeva anche farli ridere,
mentre la Regina si era tradita nel vedere le proprie malefatte in
quella carta e le sue ombre e si era così sentita accusata dal
nano.
«Come ti permetti! Io non farei mai niente del genere
alla principessa! E poi com'è che lo sapresti tu, dove sono le tue
prove?».
Conoscendo la madre ed insospettita da queste parole,
la Principessa Starnutina chiese subito alla servitù di controllare
le stanze della regina, e la sua fedele Zia le portò una strana
boccetta rinvenuta tra i profumi: una polverina inodore fine fine
fine, giallo pallido, apparentemente innocua, ma bastava aprire la
boccetta in cui stava e... Subito anche la povera servitrice iniziò
a starnutire!
A quel punto era chiaro che qualcosa di losco era
avvenuto, e dopo molte pressioni, la Regina confessò: erano anni che
somministrava quella polvere, che veniva creata macinando i semi
essiccati del Fior Pizzicore, alla principessa, mettendola sul suo
pettine, sulle sue posate, sul suo cuscino, sui suoi abiti, persino
spargendola sulle proprie mani per farla stare male quando la
abbracciava, come aveva fatto al suo ritorno qualche giorno prima.
La
Regina e il Re ne erano immuni, perché la Regina, che nella vita non
aveva niente da fare, aveva cosparso dell'olio essenziale del Fior
Pizzicore il pettine che Sua Maestà usava per i baffi e lo aveva
impastato nel proprio rossetto, così che quell'aroma, l'unico capace
di farlo, neutralizzasse gli effetti della polvere ricavata dai
semi.
La Regina sperava che così solo la figlia sembrasse
fragile e che, vedendo la Principessa cagionevole, il Re non avrebbe
abdicato in suo favore e lei avrebbe potuto tenere il suo potere di
regina un po' più a lungo, e ancora insisteva che la principessa
fosse comunque troppo debole per quel ruolo.
Ecco da dove veniva il male della Principessa!
Il mistero era
finalmente svelato.
Nonostante il Re fosse triste di questo,
perché le aveva voluto molto bene, la Regina fu punita aspramente:
tutti i suoi gioielli e i suoi beni preziosi furono dati in
ricompensa al Nano Muto, compresa la corona reale, e da quel momento
ella non fu più Regina.
Una volta che la Principessa era
guarita e poteva benissimo dedicarsi ai doveri a cui si preparava da
tutta la vita, il Re abdicò quel giorno stesso in favore della
figlia, e poté godersi il resto dei suoi giorni in pace, senza
regine cattive che mettevano cose strane sul suo pettinino per baffi
e senza più la responsabilità della corona.
Quanto alla
Principessa Starnutina, lei prese volentieri il posto del padre e
negli anni a venire starnutí solo qualche volta, e regnò con grande
intelligenza e bontà; in più, ora che non era più né Principessa
né Starnutina la gente prese a chiamarla col suo vero nome: Regina
Aureliana.
Ma c'è da rivelarvi un'altra cosa: il giorno in cui
Aureliana aveva scoperto la verità, prima che il Nano se ne andasse
carico e contento dei gioielli della madre, questi era andato a
parlare alla principessa, e a gesti le aveva fatto capire che gli era
stato proprio chiesto di venire qui da qualcuno.
«Di chi si
tratta, caro mio? Chiunque sia stato è ora un grande amico per me,
poiché ha fatto la mia fortuna».
Il Nano a questo punto
sorrise sotto la barbona e con un gesto sinuoso del braccio imitò un
serpente.
Poi rise senza voce, prese il suo teatrino e se ne
andò, e dicono che ancora oggi non si sia fermato e si possa avere
la fortuna di incontrarlo... Ogni volta che immaginiamo una grande
storia guardando della semplice carta.
Larga la
foglia,
Stretta la via,
Dite la vostra che ho detto la mia!
Nessun commento:
Posta un commento