Terzo episodio del Diario (o delle cronache, fate un po' voi) della Capitana Mimma: viaggi (veri!) raccontati in modo difficilmente comprensibile al di fuori della nostra cerchia, ma che speriamo vi faranno ridere lo stesso.
Il ritorno delle Cronache di viaggio della Capitana Mimma
Parte prima: Andata
Si parte alle nove! Ci sono quattro gradi ma tanto sole, Oscar che mordicchia con i suoi quattro denti (usati per il male) i lacci delle mie scarpe da trekking e Lucha che scodinzola.
Lasciata la casa bella, la sorella riposante e i cani scodinzoloni, ci mettiamo in viaggio. Fino a Palermo si chiacchiera del più e del meno, poi incontriamo un piccolo ingorgo che richiede la concentrazione di papà. Lì, io inizio a mettere musica. La radio passa solo o canzoni bruttissime in Burundiese o canzoni belle che mi fanno partire gli animatic, così cerco di conciliare il dover ogni tanto rispondere a papà con i filmati (molti sono in stile League of Legends perché sì) che mi si srotolano nel cervello per le canzoni belle.
A un certo punto metto musica dal telefono e urliamo sulle note sgranate della versione di "Alexanderplatz" di Gianmaria che ho sul telefono. Io ho un orgoglio da difendere, e anche se mi sono raschiata una corda vocale per tutta la sua lunghezza, continuo sommessamente a cantare per non dare nulla a vedere.
Quando arriviamo a Messina, molto prima del previsto, un ragazzo sorridente e abbronzato (o olivastro di pelle, visto che siamo in inverno e aveva capelli e occhi come carbone) e in tuta rossa controlla il Green Pass di papà e il mio Craculo Pass, che evidentemente nonostante le pieghe attesta ancora che io, il mio siero e il 5G, nel dubbio, me li sono accaparrata. La radio nel frattempo era rimasta accesa su direttiva del mio cellulare, e la Galiazzo e Mika si dichiarano la loro imperitura amicizia con voce melodiosa. Il ragazzo con gli occhi neri s'illumina
«È Chiara, vero? La passano alla radio?»
«No, è dal mio cellulare. È una bella canzone, Chiara è bravissima» Faccio io. Lui concorda.
«La conosco, sai?»
«Come cantante o...?»
«No no, di persona. Sta a M*****o [nome editato fuori così non andate a cercarla, sappiate solo che fa rima con Galiazzo e probabilmente quando avrete capito che città è si sarà già spostata] per ora, se non avrete fretta per il traghetto ve la chiamo ora al cellulare» e ha già tirato fuori lo smartphone. Papà lo guarda, prende e sgomma via. C'imbarchiamo sul traghetto; di fronte a noi si è piazzato un furgoncino diverso rispetto a quello dell'altra volta, ma non meno notevole. Gagliarda la scritta "Mimmosimone Tarzan" mi fissa, e io fisso lei, masticando il mio panino pepato (dentro c'è prosciutto cotto e pecorino primo sale coi grani di pepe nero interi) e riflettendo sui bivi nella vita e il senso del quarantadue e tutto. Mi è finita dell'Amuchina in un occhio, ahia. Papà ha stipato il condimento di tre panini dentro una singola mafaldina. Sul traghetto, avviene una stranezza, forse ad opera delle arcane scritte sul furgoncino (Mimmosimone Tarzan), per cui la nave è immobile anche dopo che hanno chiuso il portellone dietro e il carico massimo sia stato raggiunto. Guardiamo le nuvole, e sono lì, ferme. Non ci stiano muovendo. Chiedendoci se c'è un guasto, dopo dieci minuti usciamo dalla macchina e saliamo su per vedere quanto è lontana la terraferma e cosa sta succedendo. Con nostro stupore, vediamo che evidentemente ci siamo teletrasportati, perché la nave è a toccare le coste sicule. Abbiamo preso il nostro freddo e constatato un mistero della vita, quindi possiamo riscendere e salire in macchina, pieni di dubbi. Una volta sbarcati, la differenza è paradossale. Fa freddo (due gradi in meno, i dieci calabresi contro i dodici siciliani!) e la palette di colori del mondo è composta di un principale e due comprimari: grigio, bluino e gialletto. Ormai il più della strada è fatto, perciò, in poco tempo, siamo già quasi arrivati! Tempo record, ci abbiamo impiegato solo quattro ore e quarantotto minuti! Per festeggiare mi metto dei sacchetti sui piedi (per non sporcarli, perché c'è fango ovunque e io non ho le scarpe adatte) e andiamo a nutrire Mami, che per accoglierci salta e strappa il sacchetto dell'immondizia per buttare tutto a terra, poi cerca di mangiare la potatura della passiflora invece dei croccantini. Quando finalmente individua la ciotola, io e papà facciamo da sentinelle perché l'Aronne non cerchi di derubare Mamicchia del suo pranzo, ma evidentemente in nostra assenza i cani hanno scordato cosa sia questo misterioso "cibo" perché Aronne cerca di mangiarsi una delle mie gonfie ghette di plastica e la scioglie pure. Papà salta come uno Zulu e fa strani suoni e gesti scaramantici e Aron si allontana. Io vado ad abbracciare un ulivo. Sono arrivata! Fine viaggio. Oh no. Ho ricordato la parola broccia.
«Come cantante o...?»
«No no, di persona. Sta a M*****o [nome editato fuori così non andate a cercarla, sappiate solo che fa rima con Galiazzo e probabilmente quando avrete capito che città è si sarà già spostata] per ora, se non avrete fretta per il traghetto ve la chiamo ora al cellulare» e ha già tirato fuori lo smartphone. Papà lo guarda, prende e sgomma via. C'imbarchiamo sul traghetto; di fronte a noi si è piazzato un furgoncino diverso rispetto a quello dell'altra volta, ma non meno notevole. Gagliarda la scritta "Mimmosimone Tarzan" mi fissa, e io fisso lei, masticando il mio panino pepato (dentro c'è prosciutto cotto e pecorino primo sale coi grani di pepe nero interi) e riflettendo sui bivi nella vita e il senso del quarantadue e tutto. Mi è finita dell'Amuchina in un occhio, ahia. Papà ha stipato il condimento di tre panini dentro una singola mafaldina. Sul traghetto, avviene una stranezza, forse ad opera delle arcane scritte sul furgoncino (Mimmosimone Tarzan), per cui la nave è immobile anche dopo che hanno chiuso il portellone dietro e il carico massimo sia stato raggiunto. Guardiamo le nuvole, e sono lì, ferme. Non ci stiano muovendo. Chiedendoci se c'è un guasto, dopo dieci minuti usciamo dalla macchina e saliamo su per vedere quanto è lontana la terraferma e cosa sta succedendo. Con nostro stupore, vediamo che evidentemente ci siamo teletrasportati, perché la nave è a toccare le coste sicule. Abbiamo preso il nostro freddo e constatato un mistero della vita, quindi possiamo riscendere e salire in macchina, pieni di dubbi. Una volta sbarcati, la differenza è paradossale. Fa freddo (due gradi in meno, i dieci calabresi contro i dodici siciliani!) e la palette di colori del mondo è composta di un principale e due comprimari: grigio, bluino e gialletto. Ormai il più della strada è fatto, perciò, in poco tempo, siamo già quasi arrivati! Tempo record, ci abbiamo impiegato solo quattro ore e quarantotto minuti! Per festeggiare mi metto dei sacchetti sui piedi (per non sporcarli, perché c'è fango ovunque e io non ho le scarpe adatte) e andiamo a nutrire Mami, che per accoglierci salta e strappa il sacchetto dell'immondizia per buttare tutto a terra, poi cerca di mangiare la potatura della passiflora invece dei croccantini. Quando finalmente individua la ciotola, io e papà facciamo da sentinelle perché l'Aronne non cerchi di derubare Mamicchia del suo pranzo, ma evidentemente in nostra assenza i cani hanno scordato cosa sia questo misterioso "cibo" perché Aronne cerca di mangiarsi una delle mie gonfie ghette di plastica e la scioglie pure. Papà salta come uno Zulu e fa strani suoni e gesti scaramantici e Aron si allontana. Io vado ad abbracciare un ulivo. Sono arrivata! Fine viaggio. Oh no. Ho ricordato la parola broccia.
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