Cronache di viaggio della Capitana Mimma
Quarto episodio del Diario (o delle cronache, fate un po' voi) della Capitana Mimma: viaggi (veri!) raccontati in modo difficilmente comprensibile al di fuori della nostra cerchia, ma che speriamo vi faranno ridere lo stesso.
Andata
• 23/03/2022
Giorno di sole, non si parte troppo presto.
Si saluta la famiglia e nel partire, sento lo sguardo di rimprovero di
Lucha, pwincipessa dei maremmani, che per protestare il nostro
"abbandono" si spetascia a terra e fa lo sciopero dell'immobilità.
Solo quando io e papà ci saremo già allontanati da casa mi renderò conto
di aver saltato la colazione nella fretta di partire, e che l'unico
nutrimento che mi sostenterà per sei ore di viaggio (più quelle
aggiuntive attendendo cena) sarà una mafaldina farcita con affettato di
tacchino in scadenza e formaggio spalmabile, che mangeremo all'una
passata.
Lucha, il tuo rimprovero era giustificato.
La temperatura è piacevole, circa quattordici gradi dentro l'abitacolo. Le prime volte alla Clio, l'auto di papà, era concesso di cianciare continuamente perché papà era timoroso di perdersi, ma dopo un paio di
fuoristrada e tentati omicidi da parte del navigatore satellitare è
stata condannata al silenzio.
A proposito di incidenti e fuoristrada, è proprio mentre io e papà
attraversiamo Pale' chiacchierando di skincare (ho molto da imparare da
lui, che si applica maschere all'aloe e oleolito di iperico, mentre io
mi dimentico di lavarmi la faccia) che udiamo uno skreeeee degno
dell'effetto sonoro con cui fanno ruggire qualunque mostro dei cartoni.
C'è una piccola auto che sembra uno scarabeo verde impaninata tra il
muso di un macchinone antracite e la fiancata di un'auto bianca svelta
come una gazzella; ha sterzato di botta e perché nessuno dei tre
guidatori sia finito male ci devono essere stati angeli custodi pieni di
bicipiti, ali e occhi muscolosi che hanno bloccato le auto a mani nude,
sennò lo scarabeo verde sarebbe finito spiaccicato.
Oltrepassando tale spettacolo ci assale la voglia di parlare con amici e parenti finché siamo vivi e lo facciamo
accedendo al "telefono delle spie", che sarebbe semplicemente chiamare
dallo schermino con la Clio attaccata col Denteblú ad un telefono, però
ci fa sentire tanto fighi e avant-garde.
Passiamo anche da una galleria che ha i fari nuovi, fari fuori posto,
sembrano un mix tra grossi abat-jour e faretti da palco che sparano luci
arancio-calendula verso l'alto.
La nave su cui ci imbarchiamo sembra nuova, di forma gradevole, e i
gabbiani, che evidentemente non hanno perduto la compagna, ci circondano
in stormi incredibilmente nutriti, giusto un po' più piccoli di nugoli
di bibliche cavallette.
I gabbiani sono molto belli a vedersi, e quando si posano
sul mare piatto sembrano una strana chiazza di spuma in mezzo al mare,
tutti bianchi e grigi come sono.
Ci sono anche dei piccoli, con il
piumaggio più bruno, non hanno ancora l'aspetto da omicida con l'occhio
sanguigno dei grandi.
Ed è su questo speciale congegno che, lesti, ci avviciniamo alla terra
dei tiraturi.
Curiosità: poco dopo l'uscita da Villa San Giovanni ci sono dei cartelli che indicano una forse città forse contrada,
che portano il nome Santa Trada. Stilizzato S.Trada. Strada.
Io non ho mai sentito della santa Trada, probabile patrona delle
autostrade statali, ma ho come il sospetto che sia stata inventata al
solo scopo di fare il gioco di parole della Strada S.Trada.
Gli ultimi chilometri sono fatti in uno strano mix di canzoni di MyDrama
e Sanremo: il Sanremo che avremmo voluto, e ricreiamo qui, fino alla
fine del nostro piccolo viaggio.
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