Ricordavo gli ultimi
minuti di attesa così così, più come fotogrammi intrisi di emozione che
come un'esperienza unica, e Jacob mi aveva fatto notare che stavo
vibrando sempre di più man a mano che ci avvicinavamo all'arena.
«Ci entri in risonanza.
Vrrr!» Aveva scherzato Jacob, senza troppa convinzione perché aveva
paura che mi stesse per venire un collasso o qualcosa del genere. Lo
rassicurai sul fatto che sarebbe andato tutto bene, perché oggi doveva
essere un giorno perfetto.
Lui non sembrò sicuro che fosse un motivo sufficiente.
L'arena mi era sembrata
molto, molto grande e particolarmente bella, in grado di rendere più
vividi i colori attorno a lei. Ad una seconda occhiata mi ero calmata, e
mi ero resa conto che per quanto molto grande e quindi abbastanza
impressionante, aveva un tipo di architettura di cui sul momento mi
sfuggiva il senso.
Era un edificio più
lungo che alto, con numerose finestre, una grande scritta al neon che ci
urlava il fatto di essere la SEATTLE ARENA, ed il tetto che si
sollevava a piramide bassa per congiungersi tutto in una piccola punta.
Con l'abbassarsi della luminosità ambientale, le luci del palazzo dello
sport si facevano vedere più luminose. Era impressionante, ma ancora più
che l'esterno sapevo che a lasciarmi senza fiato sarebbe stato
l'interno.
Io e Jacob ci pigiammo
dentro una fila di fans di tutti i tipi, forme, magliette e dimensioni,
che per fortuna sembravano cedere consciamente o meno il passo al mio
amico gigante e di conseguenza anche a me.
Ci scherzai su con
Jacob, alzando la voce per essere sicura di farmi sentire sopra quel
brusio, e lui mi rispose «No, si spostano per te. Hai la faccia
pericolosa».
Non ero sicura di come
potesse una personcina deliziosa come me avere una faccia pericolosa, ma
mi facevano male le guance a furia di sorridere dall'eccitazione.
Un tizio con una maglia
nera e gli occhiali da sole controllò che i nostri biglietti fossero
autentici senza, con mio grande sollievo, fare alcuna faccia schifata
alla condizione dei tali, ma compiendo il suo lavoro con inespressiva
efficienza.
«Ho fame» Annunciai una volta dentro, guardandomi attorno con la mia faccia pericolosa «E mi voglio prendere i pop corn»
«Ma hai appena finito di mangiare il gelato! Come fai ad avere fame?»
«Vuoi anche tu i pop corn?»
«Vedi che diventi una palla»
«Okay, me li prendo solo io»
«No, per favore! Andiamoceli a prendere assieme».
Eravamo un po' in anticipo, perciò l'idea di fare la fila non mi impensierì poi troppo.
L'aria sapeva di stadio,
e cioè di tanta gente che per fortuna si è data una lavatazza (leggasi
"sessione di igiene corporale approssimativa") per stare in società, di
materiali dall'odore neutro e fresco come il cemento e il vetro e di
spuntini oleati.
Il chiosco degli snack e
delle bibite aveva diversi impiegati al lavoro, e fui felice quando a
servirci con celerità e cortesia fu la donna con il cappellino e la
treccia bionda, la più gentile tra loro. Pagammo due dollari ciascuno i
nostri pacchettoni di pop corn salati, ma io non avevo perso tempo a
fare la fila guardando la nuca del tizio davanti a noi e ballando sul
posto, come invece aveva fatto Jacob.
Avevo anzitutto notato una scia di patatine sbriciolate, ma vabbé, non era l'unica cosa.
Una volta liberi ed
ottenuti i nostri snack avevo già occhieggiato tutte le entrate,
oscurate da pesanti tende nere che non vedevo l'ora di oltrepassare,
accanto a cui vi erano i cartelli che indicavano i settori delle sedute.
E perciò, alla domanda di Jacob «E ora dove si va?» risposi con un vago
seppur imperioso «Di là».
E mi incamminai fiera, cacciandomi in bocca un paio di pop corn.
Non erano troppo oliati,
e il sale era al punto giusto; a prima occhiata tutti erano
"scoppiati", e l'esterno bianco era malleabile controbilanciato
dall'interno croccante e ben abbrustolito contro i denti e la lingua.
Erano buoni pop corn, che non rischiavano di rovinare la mia giornata
perfetta.
Ah, la trepidazione, l'odore della stoffa. Tribuna bassa, settore D, seconda fila!
La stoffa fu scostate e
scesi i pochi gradini al buio, immergendomi nella luce che veniva da
dentro lo stadio fino a noi. E vidi!
Avevo ragione a pensare
che l'arena di Seattle mi sarebbe piaciuta molto di più dentro che
fuori. L'interno dell'arena era immenso, reso di aspetto ancora più
ampio, nitido e luminoso dalle luci bianche; tutte le sedute erano di un
verde bosco intenso sul fondo bianco del resto dell'arena e fitte, che
scalavano gradualmente verso il centro divise ordinatissimamente in
settori.
Alcune cominciavano ad
essere occupate, mentre dei fan che non volevano perdersi neppure un
minuto di spettacolo (oh, il cameratismo che provai verso quegli omini
sconosciuti!) sciamavano ai loro posti come piccoli stormi di uccellini.
Dato che era pur sempre uno show della WWE, presto i teneri
passerottini si trasformarono in sciami di cavallette, ma questa era
un'altra storia.
Era tutto così deliziosamente sportivo, proprio come negli show di qualunque sport trasmesso in televisione dal pattinaggio artistico al tennis, in cui c'è quel je ne sais quois di pulito e dinamico di base nell'atmosfera.
E verso dove i sedili
erano rivolti ed anche io, con la bocca aperta, era stato montato il
ring di wrestling tipico della WWE con le corde tese e blu di Smackdown,
e guardando bene c'era anche lo schermo gigante, il titantron, che
avrebbe accompagnato le entrate dei wrestler all'interno dell'arena.
Con un tuffo al cuore
immaginai come in una visione l'arena diventare un blu-violetto scuro,
con il fumo che si levava dal punto da cui, camminando lentamente,
sarebbe avanzato proprio verso quel ring che sembrava così piccolo da
qui Lui, il vero Phenom, il Dead Man Walking, Undert...
«Bella, dai! A chi
arriva prima!» Jacob mi urtò per sbaglio con una spallata scendendo di
corsa verso i primi posti e disseminando pop corn qui e lì come un
novello Pollicino.
Sospirai e gli
trotterellai dietro, felice. Parte della smania era svanita, ora che ero
qui: non tremavo più anche se la furiosa voglia di vederli non era
affatto svanita. Solo, la incanalavo in modo diverso.
«Se la smettessi di spenzolarti dal mio braccio come una scimmia impazzita sarebbe anche carino» Disse Jacob ridacchiando
«Scusa Jake! Ma da lì passerà Undertaker! Capisci? Cioè, quello vero!»
«Non vedo il nesso tra il mio braccio e un ologramma di Undertaker»
«E poi ci sarà Kane, e i paletti bwoom! Fuoco!»
«Uh... Si?»
«E CM Punk! The cult of personality look in my eyes what do you see the cult of personality!»
«Fa strano se declami la sua musica d'entrata senza virgole, lo sai vero?».
Occupammo i nostri
posti. Io accarezzai la mia poltroncina con affetto prima di
accomodarmi, battendo due volte le mani; sistemai la mia tracolla e
guardai Jacob spaparanzarsi inconsapevolmente nel suo posto a sedere.
«Secondo te Bobby Lashley entrerà volando e farà krakkaboom?» Disse Jacob, in tono tanto spassionato e seguito da un sorriso così monello che era ovvio che stesse scherzando
«Ma che razza di battuta è?»
«Eh, nel caso abbiamo
dei posti bellissimi per vederlo. A parte tutto Belarda, sono contento
anche io che siamo qui. Grazie per avermi portato».
Jacob non era come mio
padre, e non aveva problemi a parlarmi dei suoi sentimenti. Io ero
esattamente come mio papà invece, e quindi mi presi il mio tempo per
abbassare gli occhi, arrossire e dire «Non c'è di che, è un piacere» e
ficcarmi dei pop corn in bocca.
Il mio giovane accompagnatore rise «Che carina che sei, Belarda»
«Sai chi è più carino di me?»
«Chi?» chiese lui, battendo le lunghe ciglia scure con aria speranzosa
«Lo Steve Austin sulla tua maglia. Ha la testa espressiva».
Jacob si mise a ridere.
Mangiai altri pop corn e lui mi osservò con quell'aria innocente da
raggio di sole che ero più che sicura non sapesse di avere.
«Io voglio tenermeli
per lo spettacolo quelli» E indicò vagamente il sacchetto di carta che
tenevo in mano «Però mi stai facendo venire voglia di mangiarmeli tutti
subito»
«Uh? Anche io voglio mangiarli durante lo spettacolo»
«Ma se li hai quasi finiti! Al limite puoi prenderne altri dagli omini degli hot-dog».
«Che bel lavoro, l'omino
dell'hot-dog» alzai lo sguardo per vedere se ce n'era qualcuno che
cominciava a girare tra le gradinate «Nahh, me li tengo per dopo, adesso
li...».
Oh no. I miei occhi
seguirono una figura inconfondibile scendere i gradini, e tremai, perché
quello non era un omino degli hot-dog, la pelle era troppo pallida,
l'andatura troppo deliberata ed elegante, la felpa troppo uguale alla
mia, ed i capelli troppo pazzi.
No.
Non era possibile.
Volevo girare la testa,
non vederlo più, cancellarlo dalla mia giornata perfetta, dimenticare
che esistesse. C'ero anche riuscita per un po', e lui era lì...
Jacob non seguì il mio
sguardo, rilassato com'era, e preferì piuttosto iniziare ad annusare i
suoi pop corn come un cagnolino indisciplinato che ha trovato il pacco
dei croccantini aperti.
«Allora, ce ne sono?»
«Si» mormorai in un
soffio, mettendomi rigida e composta sul mio sedile. E decisi che
neanche questo mi avrebbe rovinato la giornata, anzi! Gli avrei spalmato
in quella bella faccia sghemba la mia giornata perfetta grazie ai
biglietti che lui aveva (blasfemo!) così ignobilmente gettato a terra,
così imparava a buttare tutto in giro! Tanto aveva già lasciato cadere i
pass per la mia felicità e non mi interessava più che si tenesse il
vizio. Sempre ammesso che mi avrebbe visto.
Dopotutto non mi ero
mica lasciata rovinare l'idea dello spettacolo solo perché Edward Cullen
respirava l'aria nel mio stesso continente, stato, neppure paese, prima
d'ora. Probabilmente non avrebbe neanche avuto la possibilità di
vedermi da lontano, cosa me ne importava che se ne stesse da qualche
parte nella stessa arena?
Beh, il cinque a Bobby
Lashley doveva aver messo qualche oscuro meccanismo cosmico sulla troppa
fortuna e rotto verso di noi una bella diga di sfiga, perché Cullen non
si fermò ai posti dietro di me, dove avrei potuto semplicemente far
finta che non esistesse.
No, perché Bobby Lashley aveva dovuto dare a Jacob un batti cinque in modo da far abbattere su di noi la malasorte.
E Capelli-pazzi scese
con quelle lunghe gambe le gradinate verdi, che rendevano il suo
colorito vagamente verde anche lui, come se si stesse perennemente
sentendo male con quelle occhiaie e la faccia verdognola, e dietro di
lui c'era la folletta omertosa di sua sorella (com'era che si chiamava?
Acciuga? No, Alice. Andavo a somiglianza per ricordarmelo) che
chiacchierava non-stop e rideva, rideva a bassa voce.
Tutti i primi posti
erano vuoti, tranne per un signore vestito da cowboy in bianco, tutto
elegante e vestito su misura, che praticamente mandava zaffate di odore
di lacca e di soldi – quest'ultimo un odore che non trovavo certo
ripugnante di per sé – con cui doveva avere ottenuto il suo biglietto in
prima fila.
Io mi sentii superiore.
Certo, avevo ottenuto i miei senza nessuna particolare abilità o
specialità da parte mia, ma li avevo ottenuti gratis. E poi ero io la
protagonista della storia, mica lui.
Come protagonista della
storia, ovviamente dovevo avere i miei mostri da sconfiggere, i miei
draghi sputafuoco da abbattere con impavidi fendenti. O nel mio caso,
maledetti vampiri che erano ricchi proprio come il signor cowboy e
potevano permettersi i posti in prima fila che avevano appena occupato
pochi sedili più in là.
Piuttosto che
accorgersi di noi, per fortuna erano inizialmente troppo impegnati a
parlare tra loro in quel modo strano ed inquietante che adoperavano
anche al tavolo della mensa, senza guardarsi negli occhi o guardandosi
fisso e muovendo le labbra velocissimi senza emettere alcun suono. Ora
che ci pensavo, probabilmente avevano un udito abbastanza fine – tutti i
loro sensi lo erano a quanto ne sapevano, erano predatori – da udirsi
anche parlando a voce bassissima. O magari erano pazzi e avevano tutti e
due strani tic alle labbra.
Erano del tutto fuori
posto nell'arena. Non avevano niente di sportivo, ed erano palesemente
sbagliati nell'ambiente anche con le loro scarse precauzioni per
sembrare comuni umani amanti delle discipline sportive.
Come già detto, Edward
Cullen indossava la mia stessa divisa, che erano i vestiti di un ragazzo
qualunque della mia età. Ma essendo che chiaramente non lo era, era
come mettere una parrucca da leone ad un pinguino imperatore e
pretendere che sia perfettamente in tema nella savana.
Tutto di loro
risaltava in modo esagerato: avevano lineamenti troppo scolpiti e
bellocci per riuscire a confondersi, con pelle liscissima e
bianchissima, troppo in contrasto con i capelli corti e mal pettinati,
con le occhiaie nere e le labbra rosse quel tanto blandi che bastava per
fare capire che probabilmente non era trucco, ma una malattia.
Un vampiro conciato in
quel modo in un'arena di wrestling era... peggio ancora che Edward
Cullen, che era convinto che la WWE fosse una casa cinematografica,
fosse lì in abiti normali era praticamente ridicolo.
Era un maledetto pinguino imperatore nella savana con una parrucca a girasole.
Se il loro odore e la
loro bellezza avrebbero potuto attirare qualcuno, cantavo inni ed
alleluia interiori per l'aspetto malaticcio e il loro carattere orribile
che strillavano "stai alla larga!".
Alice aveva indossato
un golfino color crema che la faceva sembrare asettica e pronta per
l'obitorio – anche se magari io ero un pizzico prevenuta e magari era
effettivamente alla moda, non saprei – con le maniche che le arrivavano a
coprire le mani fino a metà palmo, abbracciando la sua figura minuta,
occhiali da sole scuri, una gonna rosa antico che lasciava troppe gambe
scoperte in relazione al tempo atmosferico ed una borsetta a tracolla in
cui poteva a malapena entrare un tubetto di colla.
Adesso faceva finta di stare male, tenendosi la testa e borbottando come se avesse avuto una brutta emicrania.
Fu in quel momento che Jacob si voltò verso di loro. Probabilmente aveva pensato qualcosa di ingenuo e carino del tipo "Ma cosa starà guardando mai Bella da mezz'ora?" ed il succhiasangue aveva ghermito quel pensiero all'istante come un cane bloodhound sulla pista di sangue.
La mia similitudine mi
sembrò tremenda nel momento in cui Edward annusò l'aria – alzò la testa e
annusò l'aria con gli occhi chiusi, assaporando il bouquet semplice
della mia pelle, e chissà quanto appetitoso gli sembrava – e mi vide,
aprendosi in un sorriso di denti bianchi resi verdolini dal riflesso
delle sedie.
E nessun altro stava prendendo i posti in prima fila.
«Bella?» Disse lentamente Jacob
«Si, Jake?»
«Ma non ce li abbiamo noi i loro biglietti? Non li avevi presi da Cullen?»
«Si, Jake»
«E quanti cavolo di biglietti hanno?».
Guardai tutti i posti
in prima fila, misteriosamente comprati e non occupati mentre lo
spettacolo stava per cominciare, tranne per il cowboy e i vampiri.
Incrociai lo sguardo incredibile di Edward, ma per fortuna non avevo gli
occhi di aquila e non era così incredibile alla giusta distanza.
Il suo sorriso predatorio si spostò da un lato, diventando il suo inconfondibile sorriso da bocca storta.
Perché era venuto lo stesso anche se era chiaro che la WWE non gli interessava? Per rinfacciarmi lo spettacolo a scuola?
Mi guardai intorno e
una deduzione scattò, lasciandomi inorridita. I Cullen avevano
abbastanza soldi, visto che tra l'altro non mangiavano e non facevano la
beneficenza, per comprare tutti i posti che avessero voluto. E dopo
l'entusiasmo che avevo dimostrato durante l'interrogatorio, non c'era
dubbio che avrei raccolto dei biglietti che erano "accidentalmente"
caduti in un posto in cui, anche se ci ero già passata tornando a casa,
non li avevo "accidentalmente" visti prima, per andare ad uno spettacolo
in cui "accidentalmente" nelle prime due file del nostro settore
eravamo praticamente solo in cinque ed incontrare "accidentalmente" i
Cullen che avevano tecnicamente perso i biglietti e rimanere
"accidentalmente" fregata.
Non potevo credere di essere stata così stupida.
«È una trappola» Dissi con orrore.
Ah, era stato bello
finché era durato... come potevo non essermi resa conto del fatto che
trovare dei biglietti per terra poteva essere solo l'esca di una
trappola? Davvero avevo sottovalutato Cullen come una novellina?
«È una... trappola?» Fece Jacob, guardandomi confuso «Cosa è una trappola?»
«Tutto questo, Jake» risposi, vacua
«Tutto questo cosa?»
«Come fai a non
capirlo? Non te ne sei accorto? Ci sono troppi posti vuoti... sono
esattamente dove...». Mi fermai. Se Cullen poteva leggere nella mente di
Jacob, allora era bene che non sapesse che mi ero accorta della sua
trappola.
Non mi importava se ero lì per un diabolico disegno dei pazzi pallidi, doveva essere comunque il mio giorno perfetto.
Stritolai un pop-corn.
«Niente» Dissi «Facevo solo dei ragionamenti ad alta voce»
«Certo che sei proprio strana...».
Ah, Jacob, Jacob... che ragazzo ingenuo, il mio Jacob.
Le luci divennero
bassissime, e l'arena fu illuminata solo dal titantron che aveva preso
vita in un color blu-violetto intenso, e apparvero le scritte scollegate
"Smack" candida e "Down" in blu.
Le mie congetture
furono interrotte da un improvviso suono scoppiettante che mi fece
sobbalzare, mentre il mio accompagnatore batteva le mani entusiasta:
erano i fireworks bianchi che annunciavano l'inizio dello spettacolo,
schizzando via da sopra il grosso pugno chiuso della scenografia come
minuscoli fuochi d'artificio, dandomi l'impressione che quella manona
avesse dei razzetti posteriori e sarebbe potuta partire da un momento
all'altro.
Il buio era illuminato
da quelle luci come lampi durante una tempesta e il pubblico, me
compresa, entrò in visibilio accogliendo l'inizio dello spettacolo. Una
vampata di fumo eruppe dallo stage con un fascio di luce blu ad
illuminarla, ed anche l'arena iniziò a tornare luminosa. Mi voltai a
guardare Jacob che, tutto illuminato di cobalto, mi sorrideva eccitato.
Quando anche delle
enormi luci (blu, ovviamente) vaganti si misero ad illuminare
casualmente il pubblico mi chiesi come fosse possibile che a nessuno
fosse ancora venuta l'epilessia.
Riuscendo
incredibilmente a sovrastare il frastuono della folla la voce del
commentatore storico della WWE, Michael Cole, parlò con grande
entusiasmo dandoci il benvenuto ad un nuovissimo show di Smackdown e
promettendoci una serata incredibile.
«Jacob!» strillai «Sto sentendo la voce del vero Micheal Cole! Quello della tivù, ma vero! Esiste!»
«E io sento gli angeli!» mi gridò lui quasi in un orecchio per farsi sentire
«Ma finiscila!».
Se Cole era sempre
stato commentatore fisso sin dalla nascita di Smackdown nel mitico 29
aprile 1999, il suo collega cambiava quasi ad ogni stagione. Quello
attuale era John Bradshaw Layfield, chiamato solo JBL, ex-wrestler e
riccone col cappello bianco da cowboy. Forse quello in prima fila faceva
il suo cosplay.
Fu proprio la voce di
JBL ad illustrarci la serie di match di cui saremmo stati partecipi in
quella stessa serata, mentre il titantron si animava con le grafiche dei
match accompagnando la sua narrazione. E io li fissavo, sentendomi
partecipe di un evento storico come l'eruzione del Vesuvio.
«Questa sera abbiamo una card incredibile, Cole!».
Ma chissenefregava di
Capelli-pazzi quando c'erano match così! Era un suo piano maligno?
Peggio per lui, che poteva fare oltre guardarmi in un posto tutto pieno
di gente? Il suo piano mi fruttava di riuscire a vedere nella stessa
sera Bobby Lashley contro John Morrison, CM Punk contro Kane, e come
main event The Undertaker contro Kurt Angle.
Cioè... chi se ne poteva importare degli occhi di bragia del vampiro? Perlomeno lui si sarebbe annoiato a morte.
Ora che ci pensavo, mi
faceva un po' rabbia pensare che avrebbe potuto leggere nel pensiero di
Undertaker... No, no, tranquilla Belarda. Undertaker aveva poteri
inspiegabili, Edward non poteva leggergli nel pensiero.
Il primo match vide
antagonisti due wrestler estremamente diversi tra loro: da un lato Bobby
Lashley, dalla pelle scura e sudata e con muscoli che gli uscivano da
tutte le parti, con lucida capoccia rasata, faccia da buono e costumino
nero sobrio e semplice. Dall'altra Morrison, wrestler acrobatico con
fisicaccio da modello, lunghi capelli castani e pelle chiara, faccia da
cattivo bellissimo, e proprio sobrio non si direbbe visti gli stivaloni
di pelliccia con cappottone pelliccioso occhiali da sole e brillantini
inaspettati.
Il primo match vide
antagonisti anche me e Jake, che tifavamo spudoratamente per parti
opposte e ci tiravamo i capelli l'un l'altro come se un nostro confronto
fisico avesse potuto avvantaggiare il nostro beniamino.
Uno dei motivi per cui
Jake era convinto che Bobby meritasse la vittoria, oltre la tecnica e la
forza, era "mi ha dato il cinque!". Lui mi fece notare che il mio "ha i
capelli belli" non era molto più ragionevole.
«Beh, ma almeno ha i capelli belli!» Replicai.
Jacob si spalmò una mano in faccia, poi alzò le braccia e urlò «LAASHLEY!».
Anche il resto del
pubblico aveva gridato la stessa cosa (o cose simili), perché Bobby era
riuscito a mettere all'angolo il suo bellissimo avversario e colpirlo
con una spallata in faccia, facendolo accasciare come un saccottone di
patate.
Ahimé, fu Bobby
Lashley, dopo un lungo e parzialmente acrobatico (perché solo Morrison
faceva le mosse acrobatiche, fra i due) match, ad aggiudicarsi la
vittoria.
«Ah ah!» Esclamò Jacob, facendo un balletto con i fianchi «Hai visto? Hai visto?»
«Non sono mica cieca» borbottai di rimando, incrociando le braccia.
Avevo il timore che
Jacob Black mi avrebbe rinfacciato quella vittoria per tutto il resto
del mese, manco fosse stato lui in persona a battere Morrison.
Il match successivo fu
tra due dei miei preferiti in assoluto, cosa che mi fece sudare più di
quando non stessi già facendo e saltellare sul posto senza accorgermene.
«Calmati» Mi fece Jake, afferrandomi una spalla «Sembri impazzita»
«Cosa?» domandai
«Smetti di saltellare, si?»
«Oh».
Smisi di saltellare. Dovevo contenermi. Dovevo contenermi. Oh, al diavolo! Era la mia serata!
Il primo dei due nuovi
avversari ad entrare fu CM Punk, un ragazzo con i capelli neri e lunghi,
non particolarmente grosso, né impressionante, né acrobatico, né
muscoloso, né con un aspetto appariscente, a parte il fatto di avere, in
mezzo ad altri tatuaggi, il simbolo della Pepsi cola stampato sulla
spalla sinistra. Io adoravo CM Punk e se vi state chiedendo
perché, visto che non era così straordinario a vedersi, era per via
della sua personalità oltre che ad una buona capacità tecnica. Ma
soprattutto per la sua personalità, ok?
Aveva una gran personalità. E aveva il costume giallo e nero.
Il secondo ad entrare sul ring fu Kane.
Al contrario di CM
Punk, Kane era vistosamente e decisamente impressionante, un bestione
massiccio di oltre due metri di altezza, pallido e pelato, con pantaloni
neri decorati dal disegno di filo spinato (o punti di sutura? Non
l'avevo mai capito) rossi. Era così grosso, ma così grosso, che fino a
quel momento neanche sapevo che persone di quella taglia potessero
esistere.
La sua minacciosa
musica d'entrata lo accompagnava insieme a luci rosse e quando salì sul
ring alzò le braccia lentamente, per poi abbassarle di scatto
contemporaneamente all'esplosione di quattro firework agli angoli del
ring che davano l'impressione che i quattro paletti si fossero
scoperchiati.
«Kane» Mormorai
«Che hai detto?» Domandò Jacob
«Kane» ripetei
«Non ho capito, parla più forte»
«Kane» ripetei per la terza volta e per la terza volta Jacob non mi sentì.
«Kane» ripetei per la terza volta e per la terza volta Jacob non mi sentì.
Ne dedussi che non mi
stesse guardando, perché non riusciva a leggere il mio labiale. Entrambi
stavamo fissando il ring, incapaci di guardarci in faccia.
Questo secondo match fu
psicologicamente più duro del primo, ma tecnicamente, beh... molto
meno. CM Punk era piccino piccino se paragonato a Kane ed era quasi una
tortura vederlo colpito ogni volta, anche se il gigante suo avversario
cercava chiaramente di fare del suo meglio per non spezzargli nulla.
Ad un certo punto CM
Punk fu scaraventato fuori dal ring e sbatté con le spalle contro la
barriera che divideva l'esiguo pubblico dall'area in cui i wrestler si
muovevano. Poiché, come ho detto, non c'era quasi nessuno in prima fila,
io e Jake potevamo muoverci come volevamo e quindi ci avvicinammo
repentinamente all'atleta per guardarlo più da vicino. Potevo vedere il
cuoio capelluto di CM Punk fra i capelli sudati. Il suo cuoio capelluto.
Jake allungò una mano per toccargli una spalla
«Forza Punk!» gli disse, dandogli una pacchetta amichevole «Forza, puoi farcela!»
«Grazie amico» rispose
CM Punk, con un po' di fiatone, mentre cercava di rialzarsi e nel
contempo gattonava sghembo verso il ring.
Io fissai Jacob a bocca aperta e lui mi fece l'occhiolino
«L'ho toccato e mi ha risposto» disse, tutto allegro
«L'hai toccato e ti ha risposto» ripetei, come in trance.
Volevo davvero sembrare
normale, ma non ci riuscivo. Era tutto bellissimo. E pensavo che avrei
rimpianto per sempre di non aver toccato CM Punk, ma mi sembrava un
gesto così irrispettoso, allungare le mani sopra qualcuno che non ti ha
mai visto prima...
Come se il tocco di
Jake gli avesse ridato vigore, Punk riuscì a ribaltare le sorti del
match e a vincere non si sa bene come.
«Sarà per la prossima, Kane!» Gridò Jacob, mettendosi le mani a coppa attorno alla bocca «Sei sempre tu il più fico!»
«CM Punk è fico!»
replicai io, poi lanciai un'occhiata a Kane che scendeva i gradini del
ring con aria un po' abbacchiata e anch'io gli strillai «Sarà per la
prossima! Ti amiamo, Kane!».
E allora accadde il
miracolo: il gigantone girò la testa e mi guardò. Guardò proprio verso
di me, con i suoi occhi socchiusi di colore uno leggermente diverso
dall'altro, e fece un sorriso debolissimo perché probabilmente sorridere
apertamente andava contro il suo personaggio.
«Kane mi ha sorriso!» Squittii, afferrando il braccio di Jacob
«No» mi corresse lui «Ha sorriso a me»
«Stai zitto, non mi rovinerai la gloria!».
CM Punk si fermò un po' più a lungo sul ring, ansimando, e prese il microfono
«Che cavolo è successo?» chiese «Manca quasi tutto il pubblico. C'è una festa di paese particolare, oggi?».
Nessuno rispose. Che io sapessi, non c'era nessuna festa di paese.
«Oh, vabbé» Il piccolo
wrestler si strinse nelle spalle «Mi accontento di andare in tv. Arene
vuote... mai vista una cosa del genere...»
«Aspetta» disse una voce chiara.
Edward Cullen si alzò in
piedi, scintillante, con un sorrisetto sghembo. Era irrealmente
perfetto rispetto a CM Punk, che era scompigliato e sudato e ansimante
(e con un costume a mutanda giallo), ma anche diecimila volte più
odioso.
«È perché la mia
famiglia ha acquistato tutti i biglietti» Disse il vampiro, che anche
senza microfono era capace di urlare come un'alce in calore
«E c'è un motivo
speciale per cui hai utilizzato i tuoi privilegi di persona ricca per
impedire a tanta gente che voleva divertirsi di divertirsi?» chiese
Punk, sollevando un sopracciglio «Cioè, perché questa cosa da spocchiosi
ricchi viziati? Non per offendere, sono solo curioso»
«Certo, è comprensibile»
rispose Edward, chinando un pochino il capo in una specie di cenno di
assenso «La colpa è mia, io gli ho chiesto di farlo. L'ho fatto per
Belarda».
Mi sentii avvampare terribilmente, mentre Jacob diceva a raffica «No, dai, no, dai, no, dai...».
Era una trappola, un trappolone da professionisti, e io c'ero cascata con tutte le scarpe.
«Volevo che fosse una
serata speciale per lei, per farmi perdonare» Continuò Edward, con la
sua voce terribilmente sonora «Così ho, diciamo, preso in prestito
l'arena tutta per noi. E per la mia famiglia e poche altre persone. Ma
lei ha rifiutato i miei biglietti, il mio invito a venire a vedere
questo spettacolo di lotta finta»
«Affascinante» commentò Punk, ma non riuscii a capire se fosse ironico o meno
«Tuttavia lei ora è qui stasera, è venuta con un altro ragazzo»
«Ah, davvero? E dov'è?».
Edward indicò nella mia
direzione. Mi sentii raggelare e riscaldare al tempo stesso, tipo
vampata di calore, e desiderai scomparire. Ora tutti avrebbero pensato
che avevo rifiutato un gesto romanticissimo... o no?
«Beh, io...» Urlai, cercando di spiegarmi «... Non posso sopportare Edward e lui ha un ordine restrittivo nei miei confronti!».
CM Punk fece una faccia sorpresa e affascinata al tempo stesso, carezzandosi il pizzetto
«La penso come te» mi disse, facendomi un occhiolino «Continua così. Comunque non mi era mai capitato
di entrare in un'arena così vuota per un motivo simile. Questa è da
raccontare! Purtroppo siamo in pausa pubblicitaria, quindi questa cosa
non si vedrà in televisione, ma vi giuro che è una storia che farà il
giro del mondo! Ragazza... come ti chiamavi? Bella?»
«Belarda» lo corressi, con il cuore che mi saltava nel petto come una cavalletta con il ballo di San Vito
«Vieni qui un attimo
sul ring con me... può venire sul ring con me, vero?» chiese, rivolto ai
commentatori «Siamo in pausa pubblicitaria e le altre superstar si
stanno ancora preparando, non nuociamo nessuno».
Sapevo che CM Punk, con
la sua mania di essere "alternativo" non era visto di buon occhio dalla
direzione, specie quando gli saltavano in testa idee come quelle di
interagire con il pubblico in modi non ortodossi, ma era così popolare
che a volte gli venivano accordati piccoli privilegi. E quel piccolo
privilegio, quello di farmi salire sul ring insieme a lui durante la
pausa pubblicitaria, gli fu accordato.
Salii sul ring. Non mi
tremavano le gambe e non avevo alcuna esitazione, ero l'eroina
protagonista della mia storia, sebbene il cuore mi battesse forte ed
un'esaltazione simile ad un'ubriacatura mi disegnasse un gran sorriso in
faccia.
«Vai Bella!» Esclamò Jacob, alzando il pugno in aria.
Il ring era una
piattaforma scomoda su cui camminare, molleggiata e più soffice di
quanto apparisse. Rischiai di spiaccicarmi ad ogni rumoroso passo. Mi
fermai accanto a CM Punk, che da vicino, e paragonato a me piuttosto che
a un bestione di due metri, sembrava molto più alto e muscoloso del
solito.
Un cameraman mi porse un microfono.
«Come ti chiami, ragazza?» Domandò Punk, gentile
«Belarda Cigna» risposi
«Non ho mai sentito un nome del genere. Di dove sei?»
«Sono di Forks, ma papà è italiano, quindi il mio è un nome italiano»
«E sei qui con il tuo ragazzo?»
«No, Jacob è solo un
amico appassionato di wrestling. Sono venuta con qualcuno che potesse...
apprezzare lo spettacolo. Edward non sapeva neanche della WWE, prima
che gliela nominassi»
«Ma quanto è ricco
esattamente questo... Edward?» Punk fece il segno dei soldi, sfregando
il pollice contro l'indice e sogghignando
«Beh» mi irrigidii «Non abbastanza per comprare me».
Potevo sentire lo
sguardo velenoso del vampiro bucarmi le spalle, ma non mi importava. Io
ero sul ring accanto a CM Punk, così vicina da poter sentire l'odore del
suo sudore, da poter distinguere i peli della sua barba. Ero sul ring.
Punk applaudì sofficemente e mi indicò, invitando quel poco pubblico che c'era a fare lo stesso, poi mi disse
«Combatti sempre Belarda, combatti e non farti comprare mai»
«Lo farò, signore» alzai il mento, guardandolo dritto in faccia, e mi parve l'uomo più disgraziatamente bello del mondo
«Quindi, in pratica, questo... Edmund...»
«Edward» lo corressi
«... Vabbè, quello. È
ricco sfondato se può permettersi di corteggiare una ragazza così! Se
alla sua età fossi stato così ricco, non avrei mai pensato di fare il
wrestler» ridacchiò «Però non lo trovi esagerato? Comprare quasi tutti i
posti di un'arena per corteggiare una ragazza? Voglio dire, con quei
soldi ci avrebbe potuto fare un mucchio altre cose, no?»
«Lo trovo spregevole» commentai, seria «Ma sai cosa è ancora più ridicolo? Che non abbia funzionato».
Sentii qualcuno ridere nel pubblico. Uno di loro era Jacob, lo sapevo, ma gli altri? Erano persone che non conoscevo e io ero contenta di averli fatti ridere, seppure con una battuta così crudele.
CM Punk mi guardò e annuì
«Sei una brava ragazza»
mi disse «E adesso vai, vai, tornatene a posto prima che arrivino
quelli della sicurezza per farmi stare zitto. Non dovremmo prendere in
giro così qualcuno del pubblico, non credi?»
«Io credo che dovremmo, signore» rincarai, ma al contempo iniziai ad indietreggiare
«Magari più tardi,
davanti ad una bella bevanda, visto che mi sembra una storia
interessante» acconsentì lui «Ne possiamo parlare senza nessuno a
guardarci perché siamo al cento di un ring, ti pare? E poi se arriva
Undertaker e ci trova qua non vorrei che dovesse cacciarci
personalmente»
«Neanche io, signore» annuii, diedi il microfono al cameraman che allungava la mano per riprenderselo e tornai a posto.
Cm Punk si allontanò,
non prima però di avermi fatto segno con le mani di vederci dopo, nel
parcheggio. Avevo davvero organizzato un'uscita con CM Punk con così
tanta facilità? Iniziai a pensare di non essere la protagonista di un
libro, ma di una fanfiction.
Jacob mi strizzò in un abbraccio spezzacostole
«Sei pazza e troppo tosta!» esclamò «Che figata assurda! Sei salita sul ring!»
«Si» dissi io, divincolandomi «Ma solo durante la pausa pubblicitaria»
«Sei troppo tosta» rincarò lui «E gliel'hai fatta vedere a Cullen!».
Cullen si era
avvicinato, lanciando alle ortiche ogni cautela. Lo vedevo con la coda
dell'occhio, venire avanti a lunghi passi a malapena controllati,
schiumando rabbia
«Che ti è saltato in mente di dire quelle cose?» mi domandò
«A te che è saltato in
mente di comprare tutti i biglietti dell'arena?» replicai, schiumante
«Torna al tuo posto! L'ordine restrittivo dice che se fai un altro solo
passo verso di me, ti posso fare finire in gattabuia!»
«Sei così sgarbata verso di me! Ma cosa ti ho fatto?».
Prima che potessi
correre verso Edward e chokeslammarlo sulle sedie con la sola forza
della rabbia, Jacob si mise fra noi due, torreggiando con la sua taglia
massiccia e proiettando un'ombra che coprì letteralmente Edward
«Levati di mezzo, Cullen» disse «Non vuole parlarti e la legge sta dalla sua. Non importunarla»
«Altrimenti cosa farai, Jacob?» replicò Edward, gelido «Vuoi batterti con me? Davvero?»
«Davvero» replicò Jake, sollevando i pugni «Non ho paura di spaccarti la faccia»
«FINITELA!» ringhiai, con così tanto vigore da sorprendermi della voce leonina che uscì dalla mia gola.
I due ragazzi si spostarono per guardarmi, allibiti, ma almeno smisero di sfidarsi.
«Se ve le volete dare» Continuai «Fatelo lontano da qui. Se mi distraete durante l'entrata di Undertaker, io vi ammazzo tantissimo. Tutti e due»
«Bella» Edward rise, scuotendo la testa, ma forse non aveva capito.
Coprii in un balzo la
distanza che ci separava, buttando a terra un paio di sedie, lo afferrai
per il colletto e gli piantai il naso contro il suo
«Vattene» dissi «Subito».
Edward non parve
prendermi sul serio, anzi sembrò essere contento di avermi così vicina,
ma doveva aver colto qualcosa della mia minaccia perché iniziò ad
indietreggiare. Lo lasciai e lo vidi ritornare da Alice, che prese a
confabulare con lui immediatamente a bassa voce.
«Ho i brividi pure sui denti» Commentò Jacob «Sembrava che tu lo volessi ammazzare davvero»
«Lo volevo ammazzare davvero» replicai, andando a sedermi di nuovo in prima fila e accavallando le gambe.
Era il mio giorno
perfetto e fino a quel momento lo era stato davvero, costasse quel che
costasse non me lo sarei fatta rovinare da una sanguisuga idiota.
Jacob si sedette accanto a me. Alla fine della pausa pubblicitaria fu annunciato l'ultimo match.
Il primo ad entrare fu
Kurt Angle, un lottatore pelato con occhi cerulei e dalla tutina dotata
di bretelle, con al collo la medaglia d'oro che aveva vinto alle
olimpiadi di Atlanta nel 1995, ovviamente nella categoria lotta libera.
Secondo alcuni, Kurt Angle era il wrestler più tecnico del secolo ed
effettivamente era bravo, bravo, molto bravo. Ma non potevo tifare per
lui, non quando il suo avversario era...
Le luci si spensero.
«Entra il tuo fidanzato» Commentò a bassissima voce Jacob.
Gli tirai una gomitata fra le costole che lo zittì immediatamente.
Un rintocco di campana
si propagò nel buio come il fulmine che preannuncia la tempesta.
Sobbalzai violentemente sulla sedia, rischiando di cadere per terra. Una
soffusa luce blu si sparse, proveniente dall'entrata attraverso cui si
accedeva al backstage. Mi portai le mani al cuore, in silenzio, cercando
di contenere il battito impazzito.
Mancavano ormai
pochissimi istanti e finalmente l'avrei visto. Mi prudevano le mani e mi
sentivo irreale. La musica di entrata di Undertaker, triste e solenne e
bellissima, mi parlava all'anima e le diceva che tutte le sofferenze
del passato e del futuro erano nulla di fronte alla gloria, di fronte
alla felicità, e che tutto ciò a cui dovevo pensare era a quell'adesso,
quel presente, così pieno di gioia che sarebbe stato per sempre con me,
per tutta la mia vita, facendo capolino fra la pesantezza delle
devastazioni del tempo.
Quella musica, così
forte da farmi vibrare i polmoni nel petto, mi parlava dell'ora e del
sempre, dell'istante e dell'infinito, e non mi accorsi di aver afferrato
la mano di Jacob Black e di averla stretta come se avessi bisogno del
calore di un essere umano.
Poi Undertaker
comparve. Era giusto poco più piccolo di Kane, ovvero giusto un filo più
alto del mio frigorifero di casa, ma molto più minaccioso e
probabilmente pericoloso di entrambi. Indossava il suo solito cappello
nero a tesa larga e il suo spolverino di pelle lungo fino alle caviglie.
I capelli lunghi e umidi ricadevano sulle spalle possenti.
Camminava lentamente,
con passo flemmaticamente elegante, verso il ring. Kurt Angle non
sembrava impressionato quanto me, ma quasi, e lo fissava mordendosi un
labbro.
Ci passò davanti senza
degnarci di uno sguardo e per un attimo mi sentii come la prima volta in
cui, da bambina, avevo visto un film horror: morbosamente affascinata e
un pizzico spaventata. Io e Jake rimanemmo in silenzio finché non si
furono riaccese le luci, finché Undertaker non si fu tolto il cappello e
il cappotto, poi mi accorsi di avergli afferrato la mano.
«Wow» Disse Jake, pianissimo «Allora non è lui il fidanzato che vorresti... sono io!»
«Lo preferirei a te, con la passione per le bare e tutto» replicai, ironica, mollandolo immediatamente.
Jacob sghignazzò, ma
non osò dire altro perché entrambi ci concentrammo sul match, di gran
lunga il più bello della serata. Kurt Angle era uno spettacolo a vedersi
dal vivo, aveva prese salde e un'ottima capacità di capovolgere le
manovre, ma Undertaker lo era ancora di più, con ogni mossa impregnata
di una forza e quasi di una teatralità sovrannaturali.
Io e Jake ululammo
quando Taker eseguì una chokeslam e battemmo i piedi quando Kurt riuscì a
intrappolare il suo avversario in una Ankle Lock da cui si liberò però
pochi istanti dopo. Ogni loro colpo era accompagnata da una nostra
esclamazione e più il match durava più noi perdevamo il senso della
misura e finimmo per scuoterci l'uno con l'altra e spintonarci e
gridarci in faccia. Sembravamo due fangirl impazzite e a pensarci bene
forse ce ne siamo date di più fra di noi di quante se ne sono date Kurt
Angle e Undertaker sul ring.
Ad un certo punto Kurt
Angle fu scaraventato come un giocattolo di pezza fuori dal ring e Jacob
per poco non scaraventò fuori anche me, spingendomi. Kurt Angle ci
lanciò un'occhiata allibita, con la faccia ricoperta di sudore, come a
dire "non fatevi male, ragazzi". Anche Undertaker uscì fuori dal ring,
in quel suo modo strano per cui si appoggiava sulle corde e si ribaltava
facendo perno su di esse per atterrare fuori in piedi, e raggiunse Kurt
Angle per afferrarlo dal collo e trascinarlo via.
Lui non ci guardò, ma
ci passò molto vicino. Mi sentii una formichina al cospetto di cotanta
immensità e mi si accapponò la pelle sulle braccia per la sua aura
minacciosa.
«Jake» Dissi,
afferrando un fianco del mio amico, con le dita affondate nella sua
maglietta senza neppure guardarlo «Se muoio di eccitazione per questo
match, fammi seppellire da lui»
«Solo se mi prometti che farai altrettanto se schiatto io. E che la smetti di cercare di sgretolarmi il fianco».
Alla fine il match finì
in una vittoria di Undertaker per sottomissione. Quando la campana
della sua musica di entrata si fece udire di nuovo, mi alzai in piedi,
con le braccia alzate, e Jacob mi afferrò per i fianchi e mi sollevò
ancora più in alto, facendomi poggiare le suole sulla sedia.
The Undertaker guardò per un istante nella nostra direzione. Era ovvio che l'avrebbe fatto: l'arena era mezza vuota e io ero, accidentalmente, in
piedi su una sedia con le braccia alzate e l'aspetto di qualcuno che
aveva vinto sei miliardi alla lotteria. Ero ovvio e tuttavia
completamente inaspettato e mi fece rabbrividire.
Ero abbastanza vicina
da vederlo in faccia e i suoi occhi erano verdi. Non un semplice, e
raro, verde da occhio umano... era più un verde da occhio di gatto,
chiaro e luminoso, inquietante e penetrante. Un verde più verde di
quelli dei protagonisti delle storie di wattpad.
«Verde!» Gridai, incoerentemente e in italiano.
Ovviamente non poteva
aver capito quello che avevo detto. Per fortuna. Lentamente come era
arrivato, lui scese dal ring e prese ad avviarsi verso il backstage.
La serata era finita, i
commentatori stavano dando le loro ultime impressioni sul match che
avevano visto e io ero scossa fin nel profondo da una sobbalzante
felicità. Avevo voglia di fare wrestling, di prendere a pugni le cose e
di gridare.
«Che cavolo gli hai detto?» Mi domandò Jacob, quando mi fui seduta di nuovo composta
«Gli ho detto verde in italiano» risposi, arrossendo un poco
«Lo sai che non ha
alcun senso, vero? Tranne che in italiano verde non significhi qualcosa
di strano...» ridacchiò «... Significa qualcosa di strano, vero?»
«No. Credo. Spero. Non avevo niente in mente quando l'ho detto»
«Aspetta... hai guardato in faccia l'incarnazione umana della morte e gli hai detto "veerdeee!"? Lo sai che sei pazza, vero?»
«Sono consapevole della mia imprevedibilità, se è quello che vuoi dire»
«No, sul serio, ha un senso?»
«No»
«No»
«E allora perché l'hai detto?».
Jacob rideva, poi
smetteva e ricominciava di nuovo a ridere, irritandomi. Alla fine, con
le guance e le punte delle orecchie caldissime, gli spiegai
«Ha gli occhi verdi. Sono la cosa che ho visto e mi è uscito "verde". Sei contento, adesso?»
«Caspita, ti piace proprio»
«Tu non hai guardato la morte negli occhi. Avresti gridato qualcosa di sconclusionato anche tu»
«Io non sono riuscito a vedergli gli occhi da qui. Hai la vista di un'aquila, Belarda».
Continuammo a
rimbeccarci finché non divenne piacevole, poi vedemmo che la gente
iniziava ad uscire. Edward Cullen e la sua famiglia, tutti muniti dei
sacri pass, si diressero verso il backstage.
«Oh no» Dissi, mettendomi le mani in faccia «Ho promesso a papà che gli avrei procurato un autografo di Taker»
«Che razza di promessa» commentò Jacob «E come pensi di fare?»
«Che razza di promessa» commentò Jacob «E come pensi di fare?»
«Non lo so. Bazzicheremo intorno alla federazione finché non lo vedremo uscire, immagino»
«Lo vuoi stalkerare, eh?»
«Finiscila. L'ho promesso a papà, davvero. Non so come devo fare, ma devo farlo»
«Tuo padre te lo perdonerà, stai tranquilla»
«Gliel'ho promesso, Jacob»
«Gliel'ho promesso, Jacob»
«Ma tutti sanno che le promesse fatte ai genitori non valgono. Andiamo a prenderci un gelato?»
«Veramente dobbiamo...» mi illuminai «Bere qualcosa con CM Punk! Forse lui può procurarci un autografo di Taker, tu che dici?»
«Dico che sembra un
piano sconclusionato» fece un grande sorriso luminoso «Ma che come idea
mi piace un casino. Andiamo, Belarda!».
Uscimmo nel parcheggio e
ci mettemmo a girare come anime in pena. Finalmente, dopo una decina di
minuti, vedemmo uscire CM Punk con indosso una felpa e il costume
giallo a mutanda che aveva usato sul ring.
«Se ne va in giro così, con le gambe nude?» Chiese Jacob, grattandosi un'orecchia
«A quanto pare è atermico» commentai ed entrambi ci avvicinammo al wrestler.
CM Punk ci si avvicinò
con un gran sorriso. Aveva in mano un bicchierone di plastica con il
tappo che spandeva un buon odore di caffè caldo.
«Scusate se mi sono
preso da bere senza di voi» Disse, senza mostrare una minima traccia di
rimorso «Avevo davvero bisogno di bere una di queste. Se vi va, invece
del bar potete venire nel backstage, vi ci invito io, dove abbiamo la
macchinetta per il caffè e altra roba da bere e da mangiare...»
«Davvero?!» quasi strillò Jacob, con gli occhi brillanti
«Certo» rispose Punk, palesemente divertito «Pensate che non possa?»
«Puoi invitare gente nel
backstage?» mi intromisi, un po' scettica «Cioè, io avevo un piano di
farci invitare da te nel backstage, ma effettivamente non pensavo che
fosse davvero possibile...»
«Avevi un piano?» CM Punk strizzò gli occhi «In che senso?».
Arrossii violentemente e
mi ritrassi di un passo. Come avevo fatto a farmi scappare che avevo un
piano? E ora che cosa gli dicevo? Mi sentivo davvero stupida.
«Ha promesso a suo padre
di fargli avere degli autografi» Spiegò Jacob, cercando palesemente di
trattenere le risate «Ma non aveva idea di come fare. Dopo che l'hai
invitata a bere qualcosa per parlare di quella storia strana dell'arena
quasi vuota... lei ha pensato che poteva provare a farsi invitare da te
nel backstage. E magari chiederti un autografo, già che c'era».
Ah, Jacob, il mio caro
amico Jacob! Cosa avrei fatto senza di lui? Nella sua ricostruzione
sembravo furba e umile al tempo stesso. CM Punk mi sorrise
«Certo» disse «Si può fare».
Tirai fuori dalla borsa il mio taccuino per gli autografi e, con un briciolo di vergogna, lo tesi in avanti insieme ad una penna
«Posso avere una firmetta?» domandai
«Sicuro. Ma solo se mi spieghi quella cosa che hai fatto sulla sedia quando ha vinto Undertaker».
Il wrestler prese dalle
mie mani la penna e il taccuino e firmò la prima pagina rapidamente, poi
me li riconsegnò. Avevo ufficialmente venduto una porzioncina della mia
dignità per l'autografo di CM Punk, ma forse ne valeva la pena. Mentre
ci incamminavamo di nuovo verso il palazzetto dello sport, questa volta
passando da un'entrata diversa, il wrestler mi esortò a raccontargli
della mia buffa reazione.
«Niente» Cercai di
minimizzare «Ero un sacco contenta della sua vittoria perché, senza
offesa, è il mio wrestler preferito. Così stavo festeggiando e poi
quando mi ha guardato volevo dire qualcosa, qualunque cosa, anche perché
è il suo l'autografo che ho promesso a papà, e invece di una roba
sensata, dalla mia bocca è uscito "verde" in italiano. E lui non deve
averci capito niente, ma meglio così, no? Tutto qui»
«Davvero? Gli hai urlato "verde"?» Punk rise «Devo farglielo sapere»
«No, ti prego» lo implorai e per poco non mi gettai in ginocchio «Non deve saperlo»
«No, ti prego» lo implorai e per poco non mi gettai in ginocchio «Non deve saperlo»
«Va bene, se proprio non vuoi... ma hai detto che tuo padre vuole il suo autografo oppure ho sentito male?»
«Hai sentito bene»
«Pretende tanto, il paparino. Non è facilissimo beccare Taker dopo uno show, si rintana subito, è come un animale selvatico»
«Oh» mi infilai le mani in tasca «Dovevo immaginare qualcosa del genere. Comunque sono contenta lo stesso perché...»
«Frena frena frena» Punk sollevò le mani, con il palmo aperto, davanti alla mia faccia «Ti stai arrendendo?»
«No, io... hai detto che è difficile avere un suo autografo e per me è ok. Non voglio disturbarlo o cose simili, ha il diritto di stare tranquillo»
«Certo che ce l'ha. O almeno ce l'avrebbe se facesse stare tranquilli anche gli altri» un sorrisetto diabolico increspò le labbra del wrestler «E poi mi hai fatto una promessa sul ring, te la ricordi?»
«No, io... hai detto che è difficile avere un suo autografo e per me è ok. Non voglio disturbarlo o cose simili, ha il diritto di stare tranquillo»
«Certo che ce l'ha. O almeno ce l'avrebbe se facesse stare tranquilli anche gli altri» un sorrisetto diabolico increspò le labbra del wrestler «E poi mi hai fatto una promessa sul ring, te la ricordi?»
«Certo che me la ricordo!»
«E che cosa hai detto?»
«Di combattere, combattere sempre, e non farmi comprare mai»
«Esatto. E ora che fai, ti arrendi? Hai promesso a tuo padre quell'autografo! Devi combattere per averlo!»
«Giusto» strinsi il pugno e lo sollevai «Combatterò»
«Oh no» disse Jacob
«Signor Punk, non è bene incoraggiare la sua follia. Belarda è pazza e
quando sente la parola Undertaker diventa proprio irragionevole e fa
cose da pazza furiosa»
«Vorrà dire» rispose il
wrestler, risoluto «Che saremo in due a fare cose da pazzi furiosi. Oggi
non c'è gente e ho voglia di divertirmi! Andiamo a strappare un
autografo ad Undertaker!»
«Oh no» ripeté Jacob, sconsolato «Sento che stiamo per metterci nei guai».
A sei o sette di metri
da noi, illuminati dalle luci bianche del corridoio, Alice e Edward
Cullen ci fissavano. Alice si abbassò gli occhiali da sole con l'indice e
mi guardò con aria truce. Strinsi i pugni.
«Combattiamo» Dissi «Andiamo a strappare autografi»
«Ehi, c'è il tizio che
vuole essere il tuo ragazzo, bimba» Punk mi indicò Edward «Avevi detto
che non gli piace il wrestling o me lo sono sognato? Che ci fa qui?»
«Mi vuole rompere le
scatole» spiegai, dolcemente «Fa tutto quello che fa con il solo scopo
di rompermi le scatole, non c'è un'altra ragione per la sua esistenza»
«Ah. Capisco il tipo di persona».
Passammo di fronte ad
Alice ed Edward e poi di fronte ad un gruppo di ragazzi e ragazze con
magliette della WWE che CM Punk salutò per nome fra un sorso di caffè e
l'altro, infine ci ritrovammo in uno stretto locale circolare dove
c'erano un tavolo, alcune sedie, armadietti ed una macchinetta da caffè.
In piedi accanto al tavolo, immenso e possente, Kane stava leggendo un
giornale.
«Kane» Dissi
«Che hai detto?» domandò Jacob
«Kane» ripetei e finalmente lui mi capì e annuì.
CM Punk si avvicinò al bestione e gli spinse una coscia per farsi notare
«Ciao»
«Ciao, Punk» lo salutò Kane, con voce profonda e gioviale
«Ho portato dei ragazzini»
«Bravo»
«Bravo»
«Vogliono un autografo. Glielo fai?»
«Certo» rispose lui, con
aria tranquilla e per nulla scocciata, mentre ripiegava molto
ordinatamente il giornale e lo posava sul tavolo, accanto alla
macchinetta da caffè.
Tirai fuori dalla borsa il taccuino e fu così che ottenni, con mia somma gioia e stupore, anche l'autografo di Kane.
Tirai fuori dalla borsa il taccuino e fu così che ottenni, con mia somma gioia e stupore, anche l'autografo di Kane.
«Grazie mille, signore!» esclamai, chinando la testa «Per me è un onore fare la tua conoscenza»
«Oh, di niente» sorrise,
mettendo in mostra lo spazietto fra gli incisivi «Spero che vi siate
divertiti. Per qualche motivo l'arena era quasi tutta vuota...» si
strinse nelle spalle e quel gesto parve così strano se eseguito da un
tale leggendario bestione
«È colpa loro» ridacchiò
Punk «Un tizio di nome Edward, che è lo spasimante di Belarda, che è
questa ragazzina qui, si è comprato tutti i biglietti dell'arena per
fare colpo su di lei»
«Davvero?»
«Si, davvero»
«Oh beh, Edward» disse Kane, guardando Jacob «Sarai contento adesso...»
«Non sono Edward,
signore» rispose Jake, scuotendo forte la testa «Io mi chiamo Jacob
Black e non sono il ragazzo di Belarda, solo un amico che l'ha
accompagnata».
Kane parve giustamente
confuso, così CM Punk gli spiegò com'era andata la storia, non lesinando
dettagli. Alla fine Kane sorrise guardandomi e alzò il pollice in segno
di approvazione
«Ben fatto» mi disse
«Grazie, signore» risposi, contentissima.
CM Punk sollevò un braccio e mosse la mano per attirare l'attenzione di Kane
«Un'ultima cosa... dov'è Undertaker?»
«Credo sia nelle docce» rispose molto lentamente Kane «Ma non ti consiglio di disturbarlo se vuoi vivere il resto dei tuoi giorni con tutti gli arti funzionanti»
«Non lo disturbiamo» rispose Punk, afferrando sia me che Jacob per i polsi «Andiamo solo ad aspettarlo in zona»
«Non disturbarlo»
«Non lo disturbo»
«Questo per lui è come essere disturbato»
«E come faccio a fare ottenere ai ragazzi un autografo?».
Kane parve iniziare a pensarci su e ci pensò su molto più a lungo di quanto avessi immaginato essere necessario. Jacob mi guardò
«Mi sembra che stiamo per metterci nei guai, Belarda. Torniamo a casa»
«Non possiamo mollare ora» gli ricordai «Siamo vicinissimi»
«Ma abbiamo già visto lo show e toccato dei wrestler e tu hai gridato "verde" al tuo preferito, non ti basta?».
In quel momento Kane parlò di nuovo
«Ci sarebbe un modo sicuro» disse «Ma, Punk, non devi farti venire in mente le tue idee strampalate»
«Certo che no, vecchio
mio» rispose il piccolo wrestler, con il sorriso di qualcuno che aveva
già in mente un mucchio delle sue idee strampalate «Che dobbiamo fare?»
«Aveva intenzione di
andare a mangiare al Purple Cafe and Wine Bar, sulla Quarta Avenue, dopo
lo spettacolo. Potete andare ad aspettarlo lì e offrirgli da mangiare.
Si sente poco educato quando non accetta da mangiare e comunque poi si
sente in debito con chi gli ha offerto la cena, quindi è un modo quasi
sicuro di fargli fare le cose. Io, almeno, gliele faccio fare così»
«Che manipolatore» Punk ridacchiò «Potresti fare il politico»
«Non dirlo neanche per scherzo» ribatté Kane, con faccia schifata «Politica, brrr....»
«Quindi devo offrirgli da mangiare?»
«Si. Nel ristorante che ha scelto lui, però»
«Andiamo, ragazzi! Su!».
E CM Punk ci trascinò in quella folle avventura che sembrava divertirlo molto più di quanto non divertisse noi.
E CM Punk ci trascinò in quella folle avventura che sembrava divertirlo molto più di quanto non divertisse noi.
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Aggiorneremo la storia su questo blog un pò più lentamente che su
wattpad, quindi se avete la app di wattpad, oppure vi piace leggere
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