Non dovevo fare pensieri
come quello. Tutti sanno che quando qualcuno pensa "cosa può succedere
di peggiore?" qualcosa di peggiore accadrà. Come il ritorno della
cameriera, accompagnata da un buttafuori più alto di CM Punk, barbuto e
vestito di nero, che sembrava un armadio a quattro ante.
«Ommioddio, no, non davvero» Borbottò Jacob, passandosi una mano sulla faccia.
L'omone ci si avvicinò,
poi guardò Punk e disse con voce chiara e sorprendentemente squillante
per un bestione con il suo aspetto
«Signore, venga con me, l'accompagno fuori»
«Ma io sono un wrestler,
amico, un wrestler famoso» CM Punk si alzò e si indicò la faccia con un
gesto rotatorio dell'indice «Andiamo, non mi riconosci?»
«Fuori. Con me».
Punk si strinse nelle spalle e si girò a guardarci
«Dovrete cavarvela da
soli ragazzi, a quanto pare dimenticarsi i pantaloni è stato uno sbaglio
fatale e... aspettate!» la sua voce si fece un tratto più acuta e si
sporse dalla ringhiera, subito afferrato per un gomito dal buttafuori
«Quello là sotto è Taker! Taker! Diglielo tu che sono famoso e che non
sono un vandalo! Ti prego!».
Il buttafuori iniziò a
trascinare via Punk, che non oppose resistenza, ma continuò a chiamare
il suo collega gridandogli cose del tipo «Tu sembri serio! Ti
rispettano! Non sono un vandalo! AMICO!».
Oddio, Undertaker era
entrato nel locale. Mi sentii rimescolarsi lo stomaco. Mi alzai in piedi
e anch'io mi sporsi dalla balconata per guardare di sotto.
Era lui, era lui per
davvero, enorme e vestito con un giubbotto corto di pelle nera decorato a
teschi, con i capelli raccolti in una coda e l'espressione truce.
«C'è davvero?» Domandò Jacob, senza muoversi dal suo posto
«Si» confermai, sottovoce
«Non ho sentito»
«SI»
«Ah. E ora che facciamo? Non dobbiamo permettergli di ordinarsi la cena da solo!»
«Perché altrimenti non
otterreste niente da lui, giusto?» si intromise Edward, che
giocherellava distrattamente con il bordo della tovaglia
«Ma che vuole?» fece Jacob, con voce insolitamente acuta «E tu che ne sai?»
«Oh, è ovvio che volete qualcosa da lui»
«Oh, è ovvio che volete qualcosa da lui»
«Ti piace vincere
facile» ringhiai fra i denti, ricordando che lui poteva leggere nel
pensiero e che dunque doveva aver letto in quello di Jacob la nostra
missione
«Vi posso aiutare, Bella»
«Hai un mandato restrittivo»
«Si, ma vi posso aiutare
a ottenere gli autografi» i suoi occhi brillavano come pezzetti di
carta stagnola bagnata e maligna «Posso offrirgli io la cena. A me i
soldi non mancano»
«Non mi venderò per degli autografi! Andiamo, Jacob, usciamo da qui, allontaniamoci da questo pazzo maniaco»
«Ben detto, Belarda» mi appoggiò Jake, alzandosi «Ce ne andiamo. I soldi non possono comprarci»
«Ben detto, Belarda» mi appoggiò Jake, alzandosi «Ce ne andiamo. I soldi non possono comprarci»
«Vi arrendete così, ragazzi?» Edward fece un sorriso sghembo «Senza combattere?»
«Abbiamo combattuto e
perso, fine del gioco» borbottai, afferrando per la mano il mio amico e
iniziando a trascinarlo giù per le scale, ma così velocemente e con
tanto impeto che Jacob inciampò in uno dei suoi enormi piedoni e ruzzolò
per la scalinata imprecando come un marinaio.
Immediatamente la cameriera si avvicinò per vedere se quel ragazzone goffo si era fatto male.
Jacob si teneva il braccio e sibilava fra i denti, in preda al dolore
«Il braccio... il braccio...».
Oddio, Jacob si era con tutta probabilità rotto un braccio. Mi precipitai al suo fianco
«Va tutto bene» dissi «Ti porto all'ospedale più in fretta che posso»
«No. No, Bella, ho un'assicurazione sanitaria pessima».
Non riuscii a capire se
stesse scherzando perché era fuori di sé oppure se stesse dicendo
davvero, ma il suo viso era contorto in una smorfia di dolore.
La cameriera cercò di
aiutarlo ad alzarsi, ma era così piccina e così debole in confronto al
corpaccione di Jacob Black che non fece molto e alla fine Jake dovette
riuscire a rimettersi in piedi da solo, stringendosi il gomito.
Mi guardai intorno: CM
Punk era scomparso, sicuramente buttato fuori dall'omone barbuto, e un
sacco di sguardi curiosi erano puntati su di noi.
«Jacob, dai vieni, andiamo...»
«Ohhh» Si lamentò lui, reggendosi il braccio «Mi si vede l'osso?»
«No, hai... no, non c'è neanche sangue»
«Sento malissimo»
«Andiamo in ospedale?»
«Non voglio andarci se
non è rotto, prima devo sapere se è rotto, Belarda, non voglio buttare
soldi, non abbiamo abbastanza soldi per... Ah, che te lo dico a fare?»
con la faccia arrossata per la rabbia, per il dolore, per la vergogna,
Jacob abbassò la voce «Siamo poveri, Bella. Mio padre non lavora e non
lavoro neppure io. Non voglio spendere soldi così, va bene?»
«Va bene» risposi io,
che avevo voglia di mettermi a piangere «Allora noi... allora... andremo
in macchina e vedremo se è rotto e se è rotto allora...».
Un'ombra si stagliò su
di noi. Si, anche su Jacob. E Jacob era alto, quindi c'era una sola
persona, dentro quel locale, capace di farci ombra con la sua sola
presenza.
«Posso controllarti il braccio, ragazzo?» Domandò una voce profonda e calma
«Certo» rispose Jacob, fra i denti.
The Undertaker, in tutta
la sua immensità, si era avvicinato a noi e ora stava esaminando il
braccio di Jacob, muovendolo con delicatezza, ma evidentemente
producendogli un gran dolore perché il mio amico continuava a fare delle
facce terribili. Dopo un paio di istanti, guardò Jacob e gli disse
sottovoce, rassicurante
«Farà male, ma solo per un istante»
«Fa già male» rispose Jake, disperato
«Di più. Ma solo per un istante»
«Cosa?»
«Sei caduto con il peso
del corpo sul palmo della mano mentre tenevi il gomito flesso, ti si è
spostata l'articolazione. Il braccio non è rotto, hai una lussazione del
gomito. Leggera, per fortuna»
«Ah. Meno male. Cioè, sempre male, ma meno»
«Te lo aggiusto, va bene ragazzo?»
«Qui?».
Jacob quasi non fece in
tempo a finire di parlare che il wrestler gli afferrò l'avambraccio e il
bicipite e fece qualcosa, che non guardai perché chiusi gli occhi, ma
che sentii con le orecchie. Scrac.
Jacob non gridò come avevo immaginato, non ringhiò e non emise nessun rumore buffo
«Non ha fatto così male» disse «Ne ha fatto di meno che quando sono caduto»
«È perché sei stato
fortunato e non ti si è spostato molto, il gomito. Comunque dovresti
portare un tutore per un po' adesso, ragazzo»
«Se riuscirò a trovarne uno...»
«Non se. Quando»
«Giusto, giusto, quando» balbettò Jacob, inquietato «Io... mi scuso per l'inconveniente e...»
«Non fa niente»
«Volevo dire grazie.
Grazie, davvero grazie per l'aiuto, mi sono risparmiato un bel viaggio
fino all'ospedale e io non so davvero come ringraziare per...»
«Fai così: vai a comprarti un tutore e curati il braccio. Sarà il mio ringraziamento».
E Taker si allontanò
lentamente per raggiungere di nuovo il suo tavolo, senza lanciarci
neppure un'altra occhiata. Era intervenuto con calma e sicurezza, poi si
era ritirato nel suo angolo, come a dire "il mio lavoro qui è finito".
Era davvero il più fico.
«Certo che è fico, eh»
Sussurrò Jacob, come se mi avesse letto nel pensiero «E mi ha fatto al
braccio quella cosa che fanno nei film per aggiustarli. È stato
fichissimo. Anche se stavo per farmela sotto per la paura»
«Già. Il piano autografi è sfumato, ma almeno potrai raccontare ai tuoi amici che Undertaker ti ha aggiustato il braccio»
«Già. Ehi, mi dispiace per il piano autografi, Belarda»
«Va tutto bene, ora è più importante trovarti... un tutore per il gomito. Cerchiamo una farmacia?»
«Certo. No. No» scosse la testa «Aspetta. Non possiamo arrenderci così»
«Jacob, ti sei già fatto male, per favore, basta così. È un segno del cielo, dobbiamo fermarci»
«No, Belarda. Questa è la tua serata. Il tuo magico giorno perfetto. Prenderemo quegli autografi»
«No, Belarda. Questa è la tua serata. Il tuo magico giorno perfetto. Prenderemo quegli autografi»
«Jacob, no, mi
vergognerei a morte se dopo che già ci ha fatto il favore di aggiustarti
il braccio lo importunassimo per strappargli degli autografi. Sarebbe
sbagliato. Si merita il suo tempo libero. Si merita di mangiare in pace e
tranquillo. Non starei mai più in pace con me stessa se sapessi di
essere quel tipo di fan che importuna i propri idoli durante il loro
tempo libero, ok?»
«E se lo importunassi io invece che tu?»
«No, Jacob. No.
Andiamocene. Abbiamo perso, ok? È stata comunque la serata più bella
della mia vita, non devi fare altro per me. È stato tutto bellissimo»
«Ma non puoi arrenderti ora, guarda, è a soli dieci metri da noi»
«E noi stiamo qui a sussurrarci nelle orecchie l'uno con l'altra e sembriamo strani e importuni»
«Ma se neanche ci vede, Belarda! È girato di spalle e...».
Entrambi lanciammo
un'occhiata al tavolo di Undertaker. Edward Cullen stava per sedersi di
fronte a lui. Edward Cullen stava per importunarlo.
Non potevo permetterlo.
«Ehi, deficiente!» Gridai «EHI!».
Mezzo ristorante si girò a guardarmi, ma Edward fece completamente finta di ignorarmi e si sedette.
«Vieni subito qui! Vampiro! VAMPIRO!».
The Undertaker si voltò a guardarmi. Oddio, non gli era sembrato che lo stessi apostrofando vampiro, vero? VERO?
«Non... non...» scossi la testa, poi indicai Edward «...Dicevo a lui, vampiro lo dicevo a lui».
Per un momento fu come
se il tempo, nella sua interezza, si fosse fermato. Non c'erano il mio
respiro o il mio battito cardiaco, non c'era niente di vivo in quella
stanza, eravamo tutti sfortunati pupazzi immobili sistemati in modo
irritante, con Edward Cullen, la mia nemesi, seduto allo stesso tavolo
di The Undertaker, il mio mito, mentre al mio fianco c'era Jacob Black,
il mio amico che pochi secondi prima si era sciaguratamente slogato un
braccio.
Poi il tempo riprese a
scorrere, il mio respiro (stranamente affannoso) a rimbombarmi nelle
orecchie, Edward Cullen a sorridere sghembo.
«Lo so» Disse Taker, a voce bassissima.
Non potevo sentirlo, ma sapevo che aveva detto "lo so". Forse ero molto brava a leggere il labiale. Forse ero molto concentrata.
«Scappa da lui».
Il sorriso sghembo di
Edward non era più un sorriso, era un ringhio. Lui aveva un udito molto
buono e per di più poteva leggere nel pensiero e tutta questa situazione
era surreale.
«Andiamocene, Jacob» Dissi a Jake, prendendolo per la mano buona e prendendo ad indietreggiare «Taker ha detto di scappare»
«Scappare?»
«Scappare».
Scappammo. Io e Jacob
scappammo da Edward Cullen e scendemmo nel parcheggio, dove trovammo
Punk raggomitolato con la schiena contro la macchina.
«Ce l'avete fatta?» Domandò, con un sorriso
«No» rispose Jacob «Però mi sono slogato un braccio e Undertaker me l'ha aggiustato e ora ho bisogno di comprare un tutore»
«Oh, mi dispiace. E il tipo, lì, Edward? Vi ha lasciati in pace?»
«No. E ora è andato a rompere le scatole anche a Taker»
«Già che c'eravate non
potevate rompergliele anche voi e chiedergli quegli autografi?» Punk si
rialzò in piedi e prese un profondo respiro «Tanto, serata rovinata per
serata rovinata...»
«Va contro i miei
principi morali» risposi, aprendo la macchina «Su, tutti a bordo.
Riportiamo i wrestler alla WWE e gli amici alla riserva Quileute».
CM Punk e Jacob salirono
sull'auto e io misi in moto, ma prima che potessi premere il piedino
sull'acceleratore, vidi spuntare Edward nel parcheggio, seguito proprio
da Undertaker.
«Questo parcheggio si sta facendo affollato» Commentò Jacob.
Edward sembrava fuori di
sé per la rabbia e camminava molto velocemente, ma i passi lunghi del
wrestler dietro di lui non lo mollavano. Che cosa stava succedendo?
Abbassai il finestrino e sporsi la testa
«Che succede?» domandai «Avete bisogno di aiuto?».
Ovviamente, se Edward
avesse avuto bisogno di aiuto non glielo avrei dato, ma di fronte ad
Undertaker volevo apparire caritatevole, magnanima e gentile.
«Non ti avevo detto di scappare?» Chiese gentilmente Taker «Su, vai con i tuoi amici»
«EHI!» urlò Punk «Non hai detto al buttafuori che mi conoscevi, mi hanno cacciato come se fossi uno scroccone! Bell'amico!»
«Ti sto facendo un favore. Via tutti»
«No, Bella!» gridò
Edward «Non dargli ascolto. Lui non è quello che sembra. Non hai idea di
quello che è, è anche peggio di me, Bella, anzi è sicuramente peggio di
me».
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
«Addio, Edward» Dissi altera, poi alzai il finestrino e premetti il piede sull'acceleratore.
Quanto mi dispiaceva
lasciarmi alle spalle Undertaker. Mi si spezzava il cuore a saperlo in
quel freddo parcheggio insieme alla persona più irritante che avessi mai
conosciuto, che per giunta era un vampiro.
«Il tuo stalker era con Undertaker nel parcheggio» Disse Punk, come se non lo sapessi
«Già» Jacob annuì
«Cullen era nel parcheggio con Taker. Che ci faceva laggiù? Vuole
sfidarlo in un combattimento underground o qualcosa del genere?».
CM Punk rise, poi si accarezzò la barba
«Se così fosse, sarebbe un ragazzino morto. O perlomeno con qualche osso rotto in più».
Mi morsi le labbra. Non
volevo dire che Edward era un vampiro marmoreo e schizzato e che quindi
aveva qualche possibilità di vincere. Quello che dissi invece fu
«Non credo che combatteranno»
«Neanch'io» mi diede
ragione CM Punk «Credo che Taker non possa picchiare i ragazzini. Devo
dirvi però che non è uno che rispetta le regole come le persone normali e
che quindi c'è, diciamo, un dieci percento di possibilità che il tuo
stalker si prenda la paura più grande della sua vita»
«Ah ah. Lo spero».
Accompagnai Punk di
nuovo in arena, poi trovammo una farmacia e comprammo un tutore per il
braccio di Jacob (il cui gomito, nel frattempo, si stava ricoprendo di
lividi) e con l'aiuto della farmacista glielo applicammo.
Durante il viaggio di
ritorno, Jacob non stette zitto un secondo e mi ri-raccontò tutta la
serata per tre volte. Io sorridevo. Anche se Edward aveva provato a
rovinare tutto non c'era riuscito, avevo avuto la mia gloria, la mia
serata da sogno. Chissene importava se non avevo ottenuto uno stupido
autografo! Avevo visto i miei wrestler preferiti da vicino, da molto
vicino, e non credo che potessi chiedere di più. Era stata una serata
fantastica.
Ritornammo a La Push e parcheggiammo. Proprio in quel momento ricevetti un messaggio sul telefonino.
«Sarà tuo padre» Disse Jacob, aprendo la portiera
«No, mio padre non manda messaggi».
Era Mike. Mi aveva scritto
"Come andata? Ci sono
stati dei bei match? A quest'ora dovrebbe essere finito, no? Qui stiamo
tutti ballando, ma è una noia mortale".
Non risposi subito, ma scesi dalla macchina e abbracciai Jacob.
«Mettiti del ghiaccio sul gomito, se puoi, ok? Evita che ti cada»
«Sissignora signora! E grazie per la serata. È stata favolosa»
«Di niente, Jacob. Grazie a te. E mi spiace per il braccio»
«Non ti preoccupare, mi è capitato di peggio. Ciao, Belarda»
«Ci vediamo, Jake».
Lo guardai allontanarsi verso la sua casetta, poi cambiai auto, rientrando nella mia, e risposi a Mike
"È stata la cosa più bella della mia vita e non puoi capire"
"Avrei voluto essere con te"
"Certo che avresti voluto! Sono uscita con CM Punk!"
"COOOSA?"
"Ti racconto poi tutto quando ci vediamo. Ora vado da papi, si starà preoccupando"
"Tu sei uscita con CM Punk e io sono al ballo di primavera?!!?!"
"Si. Ciao Mike, a domani".
Quando tornai a casa e
allungai la mano per aprire la porta, sentii scattare la serratura
dell'ingresso dall'interno. Papà mi aveva aspettata letteralmente dietro
la porta per tutto questo tempo oppure era una coincidenza?
«Belarda?»
«Si, certo, papà, chi pensavi di trovare?»
«Oh, sei a casa, meno male! È tardissimo. Entra entra entra entra».
Entrai, come potevo rifiutare dopo che me l'aveva detto quattro volte? E comunque era casa mia.
«Ho preparato da mangiare» Disse «Se non hai già mangiato»
«No, non ho mangiato. È una storia strana, a dire il vero papà, sono stata in un ristorante ma non ho mangiato...»
«Che è successo?»
«C'era Edward Cullen. Ce ne siamo andati. Si è comportato da bastardo»
«Hai dei testimoni per questa cosa?» papà assunse un tono decisamente professionale
«C'era Edward Cullen. Ce ne siamo andati. Si è comportato da bastardo»
«Hai dei testimoni per questa cosa?» papà assunse un tono decisamente professionale
«Si, certo. Jacob Black»
«E basta?»
«Tutto il ristorante. CM Punk. E anche Undertaker, ma dubito che possiamo usarli come testimoni»
«Sbatteremo in gattabuia quel ragazzino insolente! Stavolta non mi ferma niente! Aveva un ordine restrittivo!»
«Lo so, papà, ma non mi
pare il caso di dare i numeri. Quando ce ne siamo andati non ci ha
seguiti, va tutto bene, non sono mai stata in pericolo»
«Ah. Sei sicura? Perché se vuoi io posso...»
«Va tutto bene, papà. Che hai preparato da mangiare?».
Quando arrivai in cucina
vidi il microonde acceso. Uhm, il microonde... non doveva essere una
cena particolarmente complessa se stava usando quello. Forse sarebbe
stata mangiabile, anche se non un piatto da gourmet.
«Ho fatto le lasagne al
microonde» Disse fiero papà «Non sono tradizionali, ma ho seguito una
ricetta che mi ha dato la signora Clearwater e dovrebbe venire
benissimo»
«Sono contenta. Assaggiamo!»
«Aspetta un attimo solo e saranno pronte... un attimo... ecco!».
Tolse la cena dal
microonde mentre mi accomodavo a tavola, poi la servì dividendola in due
perfette metà dei nostri piatti di ceramica bianca. L'odore era
delizioso.
«Sicuro che non ti sei fatto aiutare, papà?»
«Sicurissimo. Dai, assaggia assaggia assaggia!».
Con un po' di timore presi una forchettata di lasagne e me la portai alla bocca. Mi scottai la lingua.
«Brucia brucia brucia!».
Papà mi portò un bicchiere di latte, che trangugiai per spegnere l'incendio.
«Prima aspetta un attimo che si raffreddi. Lo so che hai fame, ma aspetta, figliola».
Respirai profondamente,
sentendo il punto che si era scottato sulla lingua raffreddarsi, poi
posai le mani sul tavolo, ai lati del piatto
«Come è andata oggi?» Gli chiesi. Le parole mi uscirono frettolose; morivo dalla voglia di raccontargli come era andata a me.
«Bene. Pesci a frotte... E tu? Hai fatto tutto quello che dovevi?»
«Non proprio» addentai
un'altra forchettata di lasagne, questa volta ben attenta a soffiarci
prima sopra «Ma ci sono state delle difficoltà tecniche»
«Edward?»
«Ah ah. E non solo, ma si. È stata anche colpa di CM Punk che si è dimenticato i pantaloni nel camerino»
«Santo cielo, di che stai parlando?» gli occhi di papà divennero due cerchi perfetti mentre cercava di trattenere le risate
«Non sono riuscita a prenderti l'autografo di Undertaker, anche se ci ho provato davvero. Vedi, quando siamo partiti...».
Gli raccontai tutto fin
dall'inizio, anche se cercai di non far sembrare una catastrofe
l'intervento di Edward Cullen. Papà rise al momento giusto e si
preoccupò al momento giusto e fu molto triste quando seppe che Jacob si
era slogato un gomito, ma sollevato che glielo avessero aggiustato. Alla
fine di tutto il racconto sorrise gentilmente per un istante prima di
dire
«Mi pare che per te sia stata una bella giornata».
Come minimo, pensai tra me e me.
Terminato l'ultimo boccone, svuotai in un sorso ciò che restava del mio bicchiere di latte.
«Vai di fretta?» Chiese Carlo
«Sono stanca, quindi vado a letto»
«Sembri piuttosto su di giri» commentò
«Sembri piuttosto su di giri» commentò
«Davvero?».
Non riuscii a formulare una risposta migliore. Lavai i piatti alla svelta e li misi ad asciugare.
«Non hai programmi per stasera?» Disse all'improvviso
«No, papà, è tardissimo e voglio soltanto dormire un po'»
«Dimmi una cosa... Jacob è il tuo tipo?»
«Cosa?»
«Jacob. Ti piace?»
«Non ho ancora notato nessun ragazzo interessante, papà»
«Pensavo che Mike Newton almeno... me ne avevi parlato»
«Papà, è soltanto un amico. Un buon amico. Un ottimo amico, ma solo quello»
«Beh, tu sei di un altro livello. Ma sembra quasi che tu voglia aspettare l'università prima di iniziare la ricerca...».
Dicono che ogni padre
sogni che sua figlia se ne vada di casa prima di sentire il richiamo
degli ormoni, ma non è così: mio padre voleva che rimanessi a casa per
sempre e che gli presentassi il mio ragazzo al più presto così che lui
potesse abituarcisi e chiamare "figlio" anche lui. Glielo leggevo negli
occhi.
«Mi sembra una buona idea» Scherzai, dirigendomi verso le scale
«'Notte, cara»
«Ci vediamo domattina, papà».
Salii le scale con passo
stanco e trascinato. Chiusi la porta della stanza con forza e mi buttai
sul letto a riposare un attimo. Mentre me ne stavo a faccia in giù,
sprofondata nelle coperte e semisoffocata, mi resi conto di una cosa...
Papà parlava di amore.
Papà voleva che quella sera uscissi con qualcuno, non importava con
quale ragazzo. Papà aveva fatto le lasagne e ci si era pure impegnato,
lui che cucinava solitamente poco e male. Papà era dietro la porta, ma
quando aveva aperto la porta aveva detto "Belarda?" in tono sorpreso,
come se non si aspettasse di vedere me.
Papà aveva un appuntamento con Sue Clearwater, la sua "amichetta del cuore". Era così lampante!
Sorridendo come
un'ebete, entrai in bagno. Papà stava trovando l'amore! Finalmente stava
dimenticando mia madre, la donna tossica che gli aveva avvelenato la
vita. Era ora, era dannatamente ora.
Mi lavai i denti con
energia, scrupolo e velocità, per rimuovere ogni traccia delle lasagne.
Ma non potevo mettere fretta all'acqua calda della doccia, che mi
sciolse la schiena e mi rilassò. Il profumo familiare dello shampoo mi
fece sentire come se fossi ancora la stessa persona che quel mattino era
uscita di casa. Finita la doccia, mi asciugai in fretta e furia.
Infilai una maglietta bucherellata e i pantaloni grigi della tutta, mi
strofinai i capelli con l'asciugamano e li ravviai con una mano,
assaporandone la morbidezza da dopo-lavaggio.
Gettai l'asciugamano umido nella cesta, riposi spazzolino e dentifricio nel beauty case.
Poi scesi di corsa le
scale, affinché Carlo notasse che ero in pigiama e con i capelli ancora
bagnati e capisse che non doveva rimandare il suo appuntamento perché io
sarei stata molto profondamente addormentata in pochi minuti.
«'Notte, papà»
«Notte, Bella».
Sembrò sorpreso di
vedermi comparire così e io ne fui felice. Salii gli scalini due alla
volta, sforzandomi di non fare rumore, e schizzai in camera chiudendo la
porta con cura.
Mi raggomitolai nel
letto, ma non riuscii ad addormentarmi subito. Una parte di me voleva
sentire Sue Clearwater che arrivava, la sua macchina che parcheggiava
fuori da casa nostra, mio padre che le apriva la porta, ma sapevo che
era scortese origliare gli appuntamenti degli altri e inoltre ero
davvero, davvero stanca.
Dracula spuntò da sotto
il letto e si raggomitolò accanto a me, facendo le fusa. Gli passai una
mano sulla testa, fra le orecchie, poi lo strinsi a me con un braccio.
Adesso potevo dormire davvero.
Papà aveva trovato
l'amore, che cosa gliene poteva importare di un autografo che non ero
riuscita a procurargli? La vita era perfetta anche quando non era
perfetta.
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Aggiorneremo la storia su questo blog un pò più lentamente che su
wattpad, quindi se avete la app di wattpad, oppure vi piace leggere
direttamente da quel sito, continuate a leggere la storia da qui
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