Quando arrivammo al campo di allenamento, in un posto all'interno della riserva che non avevo mai visitato fino ad ora, capii che i lupi stavano facendo più sul serio di quanto avessi immaginato... e avevo immaginato che facessero molto sul serio! Considerato che non riprendevano mai fiato, che avevano pochissime vacanze e che arrivavano alla sera davvero stanchi, avevo idee molto precise sul tipo di allenamento che facevano, ma in realtà loro erano andati... oltre.
Avevano costruito palizzate, ostacoli, attrezzature, tutte rigorosamente in legno grezzo. Le avevano costruite con le loro mani, avevano trasportato tronchi pesantissimi e li avevano lavorati per incastrarsi fra loro, li avevano inchiodati, legati, si erano dati da fare davvero tanto.
Per terra c'erano i segni degli artigli dei lupi a formare due lunghe “strade” come se avessero corso quel tragitto, avanti e indietro, centinaia e centinaia di volte. C'erano due buche enormi, larghe cinque metri e chissà quanto profonde con degli spuntoni di legno che uscivano dal fondo e mi chiesi a che servissero in realtà, perché l'unica idea che mi veniva in mente, quella di fare da “motivatore” per fare saltare i lupi senza caderci dentro, sembrava un poco estrema.
Fra due tozzi pali di legno bianco, distanti l'uno dall'altro appena due metri, era teso del filo spinato, una matassa imponente, così in basso che per passarci sotto anch'io avrei dovuto piegare la testa.
«Taker ci fa passare lì sotto a grande velocità» Mi spiegò Seth, allegro «Mentre gareggiamo in forma di lupi. Se non ci abbassiamo abbastanza in fretta ci scortichiamo la schiena, ma visto che abbiamo la super rigenerazione non importa...»
«Ma è inumano» commentai
«Noi siamo inumani, Belarda» Seth mi fece l'occhiolino «E comunque ci riusciamo bene. È successo solo a due di noi per più di una volta».
Ci avvicinammo a un gruppo di persone. Erano alcune ragazze-lupo e un solo maschietto, Quil Ateara, che facevano flessioni vigorose. Alcuni di loro erano così sudati che il sudore gli gocciolava dal naso.
«Belarda!» Mi salutò Omaha, alzandosi con un movimento affannato «Ciao!»
«Ciao! Vi state allenando davvero duro, eh?» feci un cenno con la testa in direzione del filo spinato «Quello non me l'aspettavo»
«Oh, quello» lei sorrise «Non è niente. Io non mi ci sono ferita neanche una volta» mi si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio «Praticamente solo i maschietti ci hanno lasciato il sangue sopra. Non sono abbastanza elastici, pare...»
«Oppure sono troppo giovani» rettificò Seth, che evidentemente aveva sentito
«Anche quello» Omaha fece un gesto vago con la mano, poi mi prese per un polso «Belarda, vuoi vedere gli Alfa? Stanno facendo un allenamento speciale con Undertaker, ma mi è stato detto di portarti lì non appena fossi arrivata al campo»
«Sul serio?» ero scettica «Io? Dai capi?»
«Si, certo. Allora, vuoi? Devi volerlo, sennò non ho il permesso di portarti»
«Si, certo. Allora, vuoi? Devi volerlo, sennò non ho il permesso di portarti»
«Certo che voglio!».
Omaha mi trascinò lontano dagli altri lupacchiotti in allenamento. Seth provò a seguirci, ma Omaha scosse il capo
«Tu no, Seth»
«Ma io ho accompagnato Belarda!»
«Tu no».
Il ragazzo-lupo sbuffò, ma rimase obbedientemente indietro. In lontananza qualcuno ululò e mi parve stranamente... frustrato.
Pensavo che saremmo andate verso la foresta, invece a sorpresa ci dirigemmo alla spiaggia. Dopo una ventina di minuti di cammino, in cui Omaha mi informò di cosa avevano imparato a fare (potevano fare un attacco coordinato per distrarre i vampiri e staccare le loro teste con un attacco a salto incrociato, tanto per dirne una), sbucammo vicino al mare. Le onde si infrangevano lentamente sulla sabbia, ma non potevo sentire il loro sciabordio ritmico perché una sinfonia di tonfi e di ringhi (tonfi pesanti e ringhi rabbiosi, da far accapponare la pelle) coprivano il rumore.
C'era Jacob Black, seduto su un tronco caduto, che guardava intento qualcosa che, se fossi stata in lui (o se fossi stato in qualunque altro) avrei guardato pure io. Ayita e Sam, l'alfa femmina e l'alfa maschio, erano trasformati in lupi e stavano attaccando a turno qualcuno, cercando di ferirlo, ma sembravano non riuscirci perché di volta in volta si ritiravano uggiolando.
Erano mostruosi, enormi e così rapidi che quasi non riuscivo a seguire le loro mosse con gli occhi, ma un semplice umano li stava tenendo a bada entrambi: Undertaker, con una sbarra d'acciaio in mano, era in piedi, in posizione di combattimento, e riusciva a colpirli sul muso sempre un istante prima che loro riuscissero a mordere lui, con movimenti corti, mirati, veloci.
Non avevo mai visto niente del genere e non credevo che niente del genere sarebbe potuto accadere.
Mi avvicinai a Jacob in silenzio, gli occhi puntati su quello scontro rapidissimo.
«Fanno sul serio?» Domandai
«Belarda!» esclamò lui «Ciao! Non ti avevo... ehm... si, fanno sul serio»
«Impressionante»
«Io ho paura»
«Perché tu puoi guardare lo scontro e non sei ad allenarti con gli altri?».
Jacob mi guardò negli occhi e vidi le sue pupille dilatarsi
«Perché sono il prossimo» mi spiegò, cercando vanamente di sembrare calmo «Per via della mia discendenza. In teoria... in teoria sono io il vero alfa del branco, ma non voglio esserlo, quindi... ecco...»
«Lo lasci fare a Sam, che ha le competenze. Ho capito»
«Si, ecco, e quindi devo allenarmi come gli alfa anch'io perché, sai, ho tipo un potenziale speciale».
Sam e Ayita ringhiarono in modo assordante, poi parve che quella coreografia si rompesse per un istante, che qualcosa andasse storto, perché i due lupi riuscirono ad attaccare contemporaneamente e in modo quasi simmetrico. Taker non avrebbe potuto colpire entrambi e non era abbastanza rapido per schivare: uno dei due lupi lo avrebbe morso e forse ucciso. Cristo santissimo, i denti dei licantropi erano più lunghi delle mie dita!
Ma lui, semplicemente, scomparve come se il terreno lo avesse risucchiato e Sam e Ayita si scontrarono rumorosamente l'uno contro l'altra con guaiti di sorpresa e frustrazione.
Jacob balzò in piedi
«Ma che cavolo è successo?!».
Taker ricomparve da dietro un albero. Era sudato, aveva il colletto della maglietta e parte del tessuto sul petto zuppi, ma a parte quello non sembrava particolarmente stanco: non ansimava, i suoi movimenti rimanevano sciolti, seppure flemmatici.
«Ottimo lavoro» Disse «Così lo potete prendere di sicuro. Ricordatevi questo tipo di coordinazione».
Sam e Ayita, scossi, si avvicinarono con le code basse anche se gli erano stati appena fatti dei complimenti. Ero quasi certa che nessuno di noi sapesse esattamente cosa aveva visto.
Omaha se n'era andata: probabilmente lei non aveva neanche il permesso per assistere a questo cose spaventose e sovrannaturali. Mi aveva lasciata lì con gli alfa dei branchi e con Undertaker. L'elite di questa guerra.
Jacob tossicchiò
«Ehm, c'è Belarda!».
Undertaker mi guardò. I suoi occhi verdi, chiarissimi, per la prima volta mi fecero paura: erano freddi come un ghiacciaio.
«Belarda» Disse, avvicinandosi. Aveva quella voce roca che usava per i suoi promo televisivi, nel wrestling, e per un attimo temetti che mi avrebbe acchiappata per la gola e mi avrebbe fatto una chokeslam contro il tronco su cui fino ad un attimo prima era stato seduto Jacob. Ma lui non lo fece: mi salutò con un cenno della testa e poi parlò pacatamente
«Mi hanno riferito che hai uno scudo mentale»
«S-si» risposi «Lo sto allenando in vista dell'arrivo dei Volturi»
«Lo stai allenando?» parve leggermente sorpreso, ma in modo positivo «Cosa puoi fare?»
«Posso bloccare fuori dalla mente di altra gente i poteri dei vampiri, come la lettura del pensiero di Edward Cullen»
«Puoi farmi vedere, se non ti è di troppo disturbo?»
«No, ehm, certo che non è di disturbo»
«Proteggi Jacob».
Cercai l'elastico della mia mente e lo tesi con forza verso Jacob. Fu relativamente facile: avevo paura di quello che Taker avrebbe potuto fare alla sua mente.
«Hai ragione, funziona» Disse lui dopo un attimo. Non ci disse in che modo aveva usato i suoi poteri, non fece domande a Jacob, niente. In quel momento sembrava più forte lui da solo che tutti i vampiri disorganizzati a casa Cullen, anche se razionalmente sapevo che avrebbero potuto farlo a pezzi.
«Comunque il tuo è un talento latente» Aggiunse «È davvero impressionante che tu riesca ad usarlo anche così, da umana. E così bene, senza aver studiato la magia»
«Grazie» resistetti all'impulso di inchinarmi «Grazie davvero».
Non gli chiesi come facesse a saperlo. Sembrava magicamente sapere tutto senza chiedere e forse era proprio così, forse usava la magia. “Forse gliel'hanno detto i morti” Pensai e rabbrividii.
«Quanto è stato difficile?» Mi chiese
«Oh, molto» ridacchiai nervosa «Mi sono allenata con i vampiri. Ci sono volute un mucchio di sessioni per riuscire anche solo a coprire qualcun altro oltre che me stessa e ci riesco solo per pochi minuti»
«Questo perché, come ti ho detto, è un potere latente. Ma sono impressionato» mi si avvicinò di un altro passo, ma non troppo evitandomi di doverlo guardare con il collo all'indietro visto quanto era alto «Davvero molto. Ci vuole intelligenza per visualizzare il proprio talento latente e renderlo un'arma»
«Grazie. Se solo potessi...» mi guardai le mani «... Imparare più velocemente. Di questo passo non servirà proprio a niente, durante la battaglia!»
«Non puoi imparare più velocemente» mi disse lui, bruscamente «Questo è il massimo che il tuo talento latente può fare, così come sei»
«Oh».
Ero stata un'illusa e una sciocca. Avevo un potere magico, si, ed era anche piuttosto fico avere una mente inviolabile, ma non avrei potuto cambiare il corso di una guerra fra immortali pluricentenari. Mi si inumidirono gli occhi, ma abbassai la testa di scatto perché non volevo che il mio wrestler preferito mi vedesse piangere. Che stupida. Che stupida a pensare che avrei potuto salvare i miei amici dal dolore agonizzante o dall'oblio nero dei gemelli, Alec e Jane. Ero solo un'umana e i miei poteri magici, poteri da umana, erano deboli.
«Però» Continuò Taker «Ti ho fatta chiamare perché così posso sbloccare il tuo potenziale, così non hai bisogno di imparare e allenare il tuo scudo, ma lo potrai vedere e quindi manovrare»
«Sul serio?!» esclamai, alzando la testa di scatto.
Lui mi guardò stranito per un attimo, ma fu così gentile da non farmi notare che stavo piangendo e continuò come se niente fosse
«Si. Ho pensato che è uno splendido dono e che è un peccato farlo rimanere latente, no? Anche se ora mi hai detto che sei riuscita persino ad usarlo da sola. Quindi... vuoi che lo faccia o...»
«No, lo voglio, lo voglio!».
E questa, signore e signori, fu quella volta che, con le lacrime agli occhi e il cuore colmo di gioia, dissi “lo voglio” al mio eroe di infanzia. Continuiamo pure la narrazione.
«D'accordo» annuì «Allora siediti sulla sabbia. Prova a incrociare le gambe, tieni il busto ben eretto».
Obbedii, cercando di sembrare una praticante di yoga nonostante avessi la grazia e la flessibilità di un'otaria artritica sulla terraferma. Vidi Undertaker tirare fuori qualcosa da una tasca dei pantaloni, un astuccio, e da quell'astuccio un ago lungo e sottile.
«È un ago?» Domandai. Che domanda stupida.
«Si» Mi rispose, ovviamente «Devo bucare il tuo terzo occhio, così potrai vedere il tuo stesso scudo»
«Bucare il mio terzo occhio?» sorrisi, nervosa «Non intendi fisicamente, vero?»
«Tu non hai davvero un terzo occhio» spiegò lui «Quindi non posso bucarlo fisicamente. Si tratta di un centro di potere importante che permette ai tuoi occhi, sai, quelli veri, di vedere i flussi magici quando ti concentri»
«Ah, quindi non mi bucherai davvero» dissi, sollevata
«No, no, ti bucherò davvero» mi assicurò lui
«Ehm, ma sarà doloroso?»
«Si» rispose in tono neutro, chinandosi un po' verso di me «Intensamente».
Deglutii. Opporcavacca. L'ago che aveva in mano, da vicino, non sembrava tanto sottile. E poi dov'è, esattamente, che voleva infilarmelo?
«Dov'è questo terzo occhio?» Chiesi, controllando la paura meglio che potevo «Al centro della fronte?»
«È più o meno fra le sopracciglia. Poco sopra le sopracciglia. Il tuo è davvero grande, ma è chiuso» lo indicò da una distanza discreta e tutti guardarono verso di me, ma ero certa che nessuno potesse vederlo a parte lui «Ci metto un secondo ad aprirtelo»
«Quindi è tipo, ehm, lo shock che lo apre? Il dolore?»
«No. Altrimenti basterebbe che la gente si ferisse alla fronte per avere la magia, sai? È la magia che chiama magia, piuttosto» lui strinse fra le dita l'ago e quando riaprì la mano e il piccolo oggetto giacque visibile sul suo palmo enorme, il metallo era diventato nero «Basta toccarlo e lo aprirai».
Ecco. Stavo per essere bucata con un ago in mezzo agli occhi e avevo la netta sensazione che, se l'operazione non fosse stata fatta a dovere, ne avrei potuto morire... o magari beccarmi danni neurologici permanenti.
Chiusi gli occhi, inspirando a fondo. Stavo per riaprirli, per dargli il permesso di eseguire l'operazione, quando sentii un pizzico poco sopra le sopracciglia. Zing!
«Fatto» Disse la voce profonda di Undertaker.
Riaprii gli occhi, felice.
«Non mi ha fatto male!» Esclamai, poi fui immediatamente contraddetta da un bruciore intenso, divampante, che parve divorarmi il cranio dall'interno.
Fra le pareti delle mie ossa, tutto intorno al mio cervello, imperversava una tempesta di plasma rovente. Strizzai gli occhi, poi li chiusi, prendendomi la testa fra le mani e serrando i denti con forza. Dietro le palpebre vidi onde colorate e lunghi fili sottili che collegavano figure geometriche il cui senso mi sfuggiva, nelle orecchie mi sciabordò il suono di un mare arrabbiato. E poi tutto finì.
Il dolore se ne andò completamente, come se non fosse mai esistito, ma sentii una goccia di sangue che mi colava sul naso lentamente e me l'asciugai con il pollice.
«Ora è aperto» Disse Undertaker, con una punta di rammarico nella voce «Scusa. Ma è meglio così, no?».
Il mondo non era molto diverso, con questo terzo occhio aperto... mi immaginavo che avrei visto le aure delle persone, tipo in Dragonball, o le presenza spirituali o qualcosa del genere. Invece era tutto assolutamente identico.
«Ora sto bene, almeno, ma non sento niente di diverso» Dissi, rialzandomi con cautela
«Perché non l'hai ancora provato, sai? Proteggi Jacob».
Cercai l'elastico del mio scudo e trovarlo fu facile come trovarsi le dita. Lo allargai verso il mio amico e... lo vidi. Era il mio scudo! Potevo vederlo, con i miei occhi, chiaramente come vedevo le persone intorno a me! Era una specie di copertura di plastica trasparente, come il cellophane che si compra a rotoli al supermercato, solo che era una cupola che si muoveva e tremolava in silenzio, simile ad una strana bolla di sapone. Mi accorsi che potevo spingerla, deformarla, muoverla in ogni direzione senza sforzo.
«Adesso» Mi disse Undertaker, tranquillo «Puoi tranquillamente coprire tutti gli amici vicini dagli attacchi mentali. All'inizio non funzionerà solo per i primi tre o quattro metri intorno a te, ma con l'allenamento, sai, puoi migliorare. Non all'infinito, ma se ti ci metti d'impegno potrai farlo per, diciamo, un centinaio di metri al massimo»
«Mi allenerò fino a farmi venire i crampi al terzo occhio» promisi.
Lui annuì. Dalla sua faccia sembrava che non fossero così gravi i crampi al terzo occhio, perciò avrei mantenuto la promessa. Avrei salvato i miei amici.
Che stupida che ero stata a non credere in me stessa! Il fatto è che, per quanto una persona possa essere forte o per quanto possa allenarsi con dedizione, a volte sono le persone intorno a noi che fanno la differenza: i nostri amici, la nostra famiglia, persino le persone che ammiriamo o i nostri conoscenti.
I vampiri mi avevano detto del mio scudo e mi avevano spinta ad allenarlo, Undertaker mi aveva aperto il terzo occhio, e io non contavo di deluderli.
La forza di un lupo è nel branco. E io avrei combattuto con il branco.
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