Tutto era così limpido.
Nitido. Definito.
Nonostante la luce sul soffitto fosse accecante, riuscivo a distinguere le scie luminose dei filamenti all'interno della lampadina. Vedevo i colori dell'arcobaleno nel bianco della luce, ma all'estremità dello spettro vi era una specie di vibrazione intensa, fastidiosa, che il mio cervello si stava sforzando di riconoscere come separata fino a stancarsi sebbene non capissi perché. Un ottavo colore, che non potevo percepire con i miei limitati sensi umani.
Dietro la luce, mi era chiara ogni singola venatura del legno scuro del soffitto. Nell'aria, vedevo distinti e separati i granelli di polvere sia nella zona illuminata che in quella in ombra. Giravano come piccoli pianeti, vorticando uno attorno all'altro in una danza celestiale.
La polvere era così bella. Inspirai forte, meravigliata; l'aria mi fischiò in gola e la sentii passarmi dentro veloce, ma i granelli non furono disturbati affatto dalla mia interferenza, lasciandomi delusa. Mi parve un gesto innaturale, e cercai di sforzarmi di ricordare che, si, lo era, e perché lo fosse.
Mi voltai quando sentii una mano gelida sfiorarmi la spalla, ma sebbene lo scatto che avevo fatto sobbalzando avrebbe dovuto trasformare la stanza in una macchia sfocata... non lo fece. Vidi ogni granello di polvere, ogni scheggia del legno nelle pareti, ogni filo scucito con precisione microscopica, mentre il mio sguardo turbinava oltre.
«Cosa vedi?» Mi disse una voce femminile, dall'accento pesante, disincarnata eppure terribilmente vicina
«Tutto» risposi meravigliata, ma aggiunsi in un soffio quella che mi parve anche una risposta più sincera: «Polvere».
Poi avvertii nuovamente le lunghe dita gelide sulla mia spalla ed il mio scudo precipitò pesantemente a riavvolgere la mia mente, accoccolandosi come un gattone acciambellato nella propria cesta preferita.
La mia vista tornò normale, banale e scolorita dopo ciò cui avevo assistito, ed il viso serio di Zafrina riempì la mia visuale.
Feci un sorrisetto imbarazzato, mentre Zafrina ritraeva la mano con uno strano movimento, lento, che mi dava l'impressione che le costasse fatica allontanare il braccio e che sarebbe presto schizzato di nuovo verso di me.
«Se ti perdi con i dettagli, non vedrai ciò che volevo mostrarti» Mi ammonì l'amazzone «Devi concentrarti, giovane umana»
«Certo, si. Devo concentrarmi» annuii, facendo eco alle sue parole.
Concentrarmi era una parola! Era come guardare video in super ultra HD, potevo vedere tutto con una definizione impressionante, come facevo a non farmi prendere dai dettagli?
Mi chiesi se tutti i vampiri vedessero il mondo circostante in quel modo oppure fosse una cosa che era in grado di fare solo Zafrina, collegata in qualche modo al suo potere di infilare le visioni che immaginava nella mente altrui. Perché, se fosse stata una cosa comune a tutti i vampiri, potevo parzialmente cominciare a capire perché Edward fissasse i muri con tanta passione, se i succhiasangue ci vedevano gli arcobaleni e i segreti della vita.
Zafrina aveva un viso non particolarmente espressivo a meno che lei stessa non lo desiderasse, ma nella neutralità dei suoi lunghi lineamenti vidi qualcosa di simile allo scetticismo.
«Giurin giurello, mi concentro» Dissi velocemente «Mi piacerebbe che tu riprendessi».
Zafrina assottigliò le labbra, ma annuì. «Solleva lo scudo» Mi ordinò, pacatamente.
Io ubbidii, e nuovamente i miei occhi furono inondati dalla visione generata da Zafrina. Mi sforzai di passare oltre la magia del pulviscolo brillante e ballerino e cercai di concentrarmi sul resto della scena.
L'amazzone aveva deciso di mostrarmi, servendosi del suo potere, ciò che mi ero persa in quelle ore. Avrebbe potuto raccontarmelo a voce, ma aveva deciso di non farlo per diversi motivi. Anzitutto, stava approfittando dell'occasione perché io mi allenassi con il mio scudo e le mostrassi che cosa ero in grado di fare dopo l'aiuto ricevuto alla riserva, dato che dovevo tenerlo sollevato da me per un tempo impressionante per avere il racconto completo. In secondo luogo, se davvero volevo partecipare alla battaglia finale, era necessario che vivessi, anche indirettamente, com'era affrontare un vero mostro e come agiva il gruppo misto di vampiri e licantropi quando lottava insieme.
Apparentemente Zafrina aveva una memoria di ferro, ma, proprio perché ciò che mi mostrava attingeva direttamente dai suoi ricordi, mi ritrovavo a vedere tutto dagli occhi di Zafrina. Fu proprio per questo completo cambio di prospettiva non riconobbi subito il luogo in cui si svolgeva la visione, che in realtà mi era familiare. Probabilmente la colpa era non solo della vista incredibile dei vampiri, ma anche del punto di vista molto più in alto rispetto a quello a cui ero abituata. Mamma quanto mi sentivo alta, adesso!
Nella visione, eravamo nel negozio di articoli sportivi dei Newton, con la mamma di Mike diligentemente dietro il bancone, sporta in avanti ad ascoltare due clienti barbuti e massicci con vestiti pesanti.
Mi resi presto conto che assistere alle visioni di Zafrina era un'esperienza che aveva molto in comune con il guardare cinema muto: non importava quanto potessi girare la testa, la visuale ovviamente non mi assecondava, e sebbene la qualità del “video” fosse altissima, Zafrina non poteva farmi sentire nessun suono immaginario.
Mi abituai presto ad immergermi nella visione; dopotutto, tenendo a mente che era come un cinema sparato direttamente nel cervello, era un meccanismo che non mi era del tutto nuovo.
La mia visuale – cioè quella di Zafrina – si spostò appena facendo entrare nel mio campo visivo la figura quasi immobile di Senna, che mi rivolse uno sguardo tranquillo.
I due avventori barbuti continuavano a parlare e gesticolare: sembrava essere un argomento che li coinvolgeva molto. Zafrina e Senna non parlarono affatto tra loro, e presto entrarono altri due avventori all'interno del negozio.
Rimasi senza respiro: erano chiaramente vampiri, con la loro pelle pallida e gli occhi rossi corredati di occhiaie da paura, ed anche familiari, ma, esattamente come era accaduto al negozio dei Newton, non li riconobbi di primo acchito, filtrati dai ricordi altrui. Poi altri vampiri entrarono dall'ingresso e tutto mi fu più chiaro.
Edward e Rosalie. Carmen ed Eleazar. Kate e Garrett. Tia e Benjamin. E continuavano ad arrivare: dal colore chiaro, vivido ed intenso degli occhi di tutti immaginai che avessero scelto il negozio dei Newton come quartier generale per radunarsi tutti dopo delle cacce. Sarebbe stato strategicamente furbo: subito dopo essersi nutriti, tutti i vampiri sono più forti, calmi e controllati.
Nello stato mentale perfetto per una caccia all'orso-vampiro, insomma.
Strizzai gli occhi ma nulla cambiò nel mio modo di percepire l'ambiente, come c'era da aspettarsi.
Era così che si vedevano i vampiri tra loro? Per qualche motivo vederli attraverso gli occhi di Zafrina mi confondeva, come se una mano gigante avesse pasticciato con i loro lineamenti rendendoli mortalmente belli o mortalmente brutti. Intendo, le due definizioni sembravano applicarsi alle stesse persone. Ero molto confusa dalle loro facce. Comunque la loro pelle emanava sempre una sorta di brillio adamantino soffuso non appena un filo di luce in più rispetto al quasi buio li sfiorava, il che era un particolare assieme ridicolo e davvero affascinante per me.
I vampiri si mobilitarono una volta che furono tutti riuniti, e solo dopo aver preso sufficienti occhiatacce dalla signora Newton che probabilmente si stava chiedendo perché questi stramboidi le affollassero il negozio senza comprare nulla.
Si spostarono verso il bosco, parlando velocemente tra loro. Come al solito, muovevano le labbra talmente veloce da impedirmi di anche solo provare a leggere il loro labiale, ma non mi era difficile immaginare l'argomento di conversazione. Edward era quello che parlava più di tutti. Mi chiesi se stesse rispondendo ai pensieri degli altri, oppure fosse come al solito molto propenso a dare aria alla bocca.
Senna mi guardò – guardò Zafrina – ed entrambe annuimmo come se ci fosse bastato quello a dirci tutto quanto.
Il bosco era assolutamente magnifico anche sotto la lente vampirica. Non avevano scelto un giorno soleggiato per la caccia, però la poca luce naturale che filtrava tra le foglie dava l'impressione di vivere in un quadro un po' surreale, di galleggiare senza peso in quei colori densi e cristallini. La luce era affilata, bagnando i contorni delle foglie e i rami e rendendoli aguzzi e metallici.
Appena erano arrivati abbastanza lontani dalla civiltà umana, il modo di fare dei vampiri era mutato. Il loro passo si era fatto più cauto, le loro movenze più sciolte, gli occhi attenti. Tutto in loro strillava “predatore!” con chiarezza, ma una parte di me rimase comunque ammaliata nel vedere il cambiamento.
Garrett, il più vicino alle amazzoni, si muoveva così basso da far pensare che si sarebbe messo a quattro zampe da un momento all'altro e credo che, se lo avesse fatto, sarebbe riuscito a sembrare comunque ferino ed aggraziato anziché una qualche rara scimmia anemica.
I predatori si divisero: piccoli gruppi compatti, creati da membri dello stesso clan o da vampiri che riuscivano a lavorare in sintonia. Gruppi più difficili da individuare, ma più facili da gestire, che avrebbero trovato l'orso in molto meno tempo rispetto agli altri.
Zafrina e Senna lavoravano da sole. Nessun altro avrebbe potuto cercare di eguagliare la sintonia che c'era tra le due, e avrebbe inevitabilmente finito per essere lasciato indietro.
In effetti, c'era la possibilità che avessero qualche difficoltà a seguirle anche fisicamente: le vampire divoravano il terreno sotto di loro con falcate ampie e sicure, muovendosi come se fossero state le padrone di quel bosco estraneo.
Vidi Senna smuovere delle foglie, annusare rapidamente l'aria e mi fermai bruscamente al suo fianco. Alla velocità a cui ci spostavamo anche un solo secondo in più e sarei finita per stare una decina di metri più avanti rispetto a lei. Virammo entrambe bruscamente, senza alcun preavviso, mi trovai davanti agli occhi un corpo umano, vestito di stracci inzuppati di cremisi, che erano stati abiti sportivi, intriso di sangue. La sua sagoma aveva dei contorni sbagliati, ma non mi fermai ad osservarlo abbastanza a lungo da capire come mai.
Emisi un rantolo strozzato e tirai attivamente lo scudo verso di me per far svanire l'immagine, ma non bastò a cancellarla subito dalle mie retine.
«Perché?» Esclamai scossa «Ma fammi almeno un trigger warning!»
«Perdonami» disse Zafrina. Batté le palpebre sovrappensiero, e mosse le spalle in un'emulazione esagerata del respiro «Non ho pensato che potesse farti stare male. Avrei dovuto essere più sensibile, mi dispiace. A noi non fa più effetto».
La guardai da sotto in su, ad occhi sgranati.
I suoi occhi si addolcirono: «Se vuoi partecipare alla battaglia con noi, devi prepararti all'idea che potresti vedere molto peggio di un uomo già morto. Sei pronta all'idea?».
Avevo visto un bel po' di cose schifose, ma un umano smembrato mi mancava ancora, e ci tenevo che le cose rimanessero così. Però Zafrina aveva ragione: dovevo essere psicologicamente pronta anche a questo, a possibili ferite o morti di creature ancora vive. Non che fosse un buon motivo per schiaffarmi in faccia cadaveri orrendamente mutilati.
«Riprendiamo» Esortai, e aggiunsi «Per favore. Ma saltiamo la parte del morto, magari, si».
Zafrina esaudì la mia richiesta: quando la visione riprese, vidi un gigantesco lupo dalla pelliccia color cioccolato compiere un balzo sul sottobosco con agilità, contraendo e rilanciando gli arti con fluidità impressionante. Si voltò solo per un attimo verso di noi, e vidi nei suoi occhi e nella contrazione delle labbra, che snudarono zanne come pugnali lucide di un sottile velo di saliva, ondate di furia e rimprovero. Svanì dalla nostra visuale con una mossa brusca che lo proiettò più a fondo tra la macchia, evitando il sentiero boscoso che stavamo percorrendo a velocità folle.
La strada terminò e si trasformò in un sentiero stretto, indicato soltanto da un piccolo ceppo da cui spuntavano famigliole di funghi di un colore giallo-verde acido. Una figura pallida apparve accanto a noi come un fantasma: era Carlisle, con occhi tristi e stralunati e la bocca aperta come per riprendere fiato dopo una lunga corsa. Non aveva senso. Ci disse qualcosa nervosamente; riuscii a comprenderlo solo qualche attimo dopo che ebbe formulato quelle parole, leggendogli le labbra pallide.
Da questa parte.
Ci eravamo allontanati dal folto, riuscendo a scorgere spicchi di cielo di un azzurro smorto tra il verde, ma ci tuffammo di nuovo nella foresta fitta ed ombrosa seguendo il cammino disegnato da Carlisle. Girammo attorno ad un'auto abbandonata vicino all'inizio del sentiero; Carlisle si voltò a dirci qualcos'altro, riuscendo per miracolo a non sbattere di faccia contro i tronchi che si materializzavano verso di noi. Indossava una camicia candida con i primi bottoni aperti, e la pelle bianca e liscia del collo scendeva tesa sul profilo marmoreo del petto, ma il colore chiaro di capelli, pelle ed abiti lo faceva sembrare un'unica figura sbozzata dallo stesso materiale duro e brillante.
Zafrina doveva avergli detto qualcosa, perché lui parve stupito e si voltò, giusto in tempo per non sbattere contro il tronco di un grosso abete.
Persino con le sue capacità non sarebbe riuscito ad evitare di schiantarcisi sopra alla velocità a cui si stava spostando, ma rimediò spiccando un salto ed atterrando sul ramo più basso a piedi uniti invece di frenare, portato ad accucciarcisi come un grosso predatore dalla forza di gravità. Non capii se fosse il salto successivo ed armonioso che spiccò che spezzò il ramo sotto di lui o se balzò per evitare di cadere insieme al legno, ma quello atterrò sul sottobosco con un tonfo attutito e Carlisle riapparve più avanti con tutta la calma e la grazia di cui disponeva.
La mia visione era chiara e limpida, il terreno regolare. Schivavamo felci umide e brillanti, grovigli di muschio, rami bassi accarezzati dall'abbraccio di lichene o dalla ragnatela brillante di luce e goccioline. Quando ci imbattevamo lungo il nostro percorso in alberi caduti o massi il corpo sapeva in automatico qual era il modo migliore per aggirarlo e non fummo rallentati, scavalcandolo o saltandolo con facilità.
Quell'accelerazione era un batticuore assicurato, ma non per la paura.
La foresta si spandeva in un labirinto sconfinato di alberi secolari; la luce che filtrava dal tetto di foglie cambiò, da un tono oliva scuro ad un giada luminoso che mi incantò. Era uscito il sole.
Cercai di non lasciarmi distrarre ancora da tanta perfezione, e mi ci volle moltissima concentrazione per farcela.
Dopo un altro centinaio di metri – praticamente percorsi in uno schiocco di dita – notai tra gli alberi un chiarore, una chiazza di luce che non aveva i classici toni del verde che avevano permeato il nostro viaggio, ma giallo-oro. Accelerai, superando Carlisle che lasciò in silenzio che io – Zafrina – lo precedessi.
Raggiunsi i confini della chiazza di luce e, oltrepassate le foglie delle ultime felci che ne abbracciavano i bordi, entrai di qualche passo nel posto più grazioso che avessi mai visto.
Era una radura, piccola, perfettamente circolare, piena di piccoli fiori di campo viola, gialli e bianchi che non avrei saputo identificare, che dondolavano la testolina tra l'erba soffice al soffio di una brezza gentile che non potevo sentire sulla pelle, illuminati da un sole alto ed inaccessibile che riempiva lo spiazzo di luce morbida.
Mi voltai appena, ma mentre Senna mi era rimasta fedelmente al fianco, Carlisle non c'era più. Per una volta, quando nella vita reale voltai la testa per cercarlo, anche la visione mi assecondò.
Infine lo notai ai margini del prato, nascosto nel fitto della foresta; mi guardava con aria circospetta. Non era solo. I miei occhi acuti individuarono altri occhi rossi e dorati e volti pallidi, musi determinati o che scoprivano i denti per l'impazienza, e li videro in cerchio tutto attorno a noi. Solo in quell'istante ricordai davvero ciò che la bellezza di quel posto aveva momentaneamente cancellato.
Carlisle sembrava incerto, riluttante. Al suo fianco apparve la piccola Esme, rivolgendogli un sorriso di incoraggiamento. Feci per avanzare, ma ad un cenno del capo clan dei Cullen mi arrestai dov'ero, i piedi ben piantati per terra.
Fece quel che mi sembrò un respiro profondo. Qualcosa uscì nella luce abbagliante del sole di mezzogiorno e, per prima cosa, si avventò senza scomporsi più di tanto sull'albero più vicino a lui e ne estrasse Randall con una zampata, scaraventandolo a terra senza che riuscisse a reagire.
Non ebbe il tempo di urlare.
Alla luce del sole i vampiri erano sconvolgenti, soprattutto dagli occhi di un altro vampiro. Non riuscii ad abituarmici. La pelle di Randall, bianca nonostante il debolissimo colorito acquistato dopo la battuta di caccia delle ore passate, era scintillante e appariva gelida come neve. Se ne stava perfettamente immobile nell'erba, con la camicia aperta sul petto iridescente e scolpito, le braccia nude e sfavillanti. Era stato una statua perfetta, sbozzata in una pietra sconosciuta, liscia come il marmo, lucente come il cristallo. Il vento era delicato, scompigliando l'erba attorno alla sua figura immobile.
L'orso vampiro gli aveva sfracellato la testa, affondando una delle zampe anteriori sul suo cranio con tutta la forza e il peso che il suo grosso corpo immortale gli conferiva, con brutalità calcolata. Il primo vampiro di quella caccia era morto.
Sapevo che il mio corpo al di fuori della visione si era rannicchiato con il mento sulle ginocchia, gli occhi fissi a guardare nel vuoto. Ero incapace di levarglieli di dosso.
L'orso sembrava una statua, ma invece di essere marmoreo come gli altri vampiri aveva l'aspetto di qualcosa che era stato sbozzato nel legno con colpi selvaggi di scalpello. Sotto la pelliccia i suoi muscoli possenti erano contratti, pronti ad uno scatto fulmineo, le narici dilatate nella percezione dell'odore dei suoi nemici. I grossi denti scoperti, sebbene l'orso non stesse ringhiando, erano lucidi di una saliva dalla consistenza strana che sapevo essere imbevuta del veleno vampirico, capace di immobilizzare, di uccidere, di trasformare.
Il prato, che prima mi era sembrato così spettacolare, impallidiva di fronte a tanta forza grezza e vibrante, a quella maestà selvaggia.
Non udii urlare, ma sapevo che i vampiri lo stavano facendo: Garrett aveva la bocca spalancata mentre si lanciava verso l'orso, seguito da Kate che lo superò a metà della corsa e allungò una mano per toccare l'orso e scatenare su di lui il suo potere. Ci voleva un coraggio davvero spaventoso per farlo, ma lei ci riuscì e l'orso fu scosso da un brivido di dolore.
In un attimo, approfittando della situazione, tutti gli altri vampiri si scagliarono sulla creatura e presero a morderlo ferocemente. Zafrina e Senna erano tra questi: fu come trovarselo improvvisamente davanti agli occhi, poter osservare da vicino la trama della sua pelliccia. Zafrina alzò lo sguardo e trovai i suoi occhi, aperti: erano di un cremisi sanguigno, ombreggiato dal dolore e dalla confusione. Roteavano nelle orbite, senza fermarsi su nessuno in particolare dei suoi aguzzini.
Nessuno dei licantropi si era ancora unito alla lotta: attendevano nel folto.
L'orso spalancò le fauci e si rizzò sulle zampe posteriori con irresistibile impeto, muovendo i suoi aguzzini come la risacca trascina sassolini di sabbia e conchiglie. Tirò un morso alla cieca, senza riuscire ad andare a segno, e cercò di staccarsi di dosso i vampiri con colpi poderosi delle zampe anteriori. Un'enorme zampa passò sopra la testa di Senna, che si scansò agevolmente per evitarla, ma scaraventò lontano da sé Siobhan con una furia tale che un essere umano non sarebbe sopravvissuto all'impatto, ribaltandola sul posto e facendole battere violentemente la testa a terra.
Da dove Siobhan era stata strappata via iniziò a colare sangue fresco per due secondi netti prima che la ferita si rimarginasse: lei lo stava ancora mordendo quando era stata colpita. L'orso aveva mangiato da poco, visto che riusciva a sanguinare.
Però c'era qualcosa che non andava.
Per un attimo non capii cosa stesse accadendo: com'era possibile che prima avesse agito con tanta deliberata precisione nel finire Randall, e adesso stesse annaspando in questo modo? Certo, riusciva a colpire i vampiri, ma sarebbe stato più stupefacente se non ci fosse riuscito, ammassati com'erano.
I suoi occhi continuavano a roteare, le narici si dilatavano spasmodicamente: cercava di identificare disperatamente qualcosa. Era praticamente cieco. Zafrina stava usando il suo potere per accecarlo, mentre Kate lo indeboliva e stordiva con le sue scariche.
Vidi Edward arrivare con un balzo a cavalcioni del collo del mostro da dietro e urlare qualcosa agli altri, avvertendoli delle intenzioni del mostro. Tutti i vampiri si fecero indietro velocemente, evitando di venire schiacciati quando l'orso si ributtò su tutte e quattro le zampe. E in quel momento le cose iniziarono ad andare storte.
Kate, che aveva attaccato l'orso frontalmente, era stata costretta a smettere per un attimo il contatto con l'orso lasciandolo libero dalla morsa del dolore. Il mostro sgroppò selvaggiamente e si agitò per staccarsi di dosso Edward, che gli aveva affondato i denti nella nuca, poi iniziò a correre alla cieca in avanti travolgendo Kate e Garrett e buttando a terra Zafrina stessa con una spallata, mentre Senna riuscì a scansarsi abbastanza in fretta. Terra e cielo si rimescolarono nella visuale di Zafrina prima che l'amazzone riuscisse a rimettersi in piedi velocemente, abbassata in posizione di guardia.
I vampiri si erano messi ad inseguire il mostro in corsa. Sorprendentemente era la piccola Esme che precedeva gli altri, cercando di raggiungere il figlio che non poteva fare altro che reggersi all'enorme schiena del nemico e cercare di dilaniarlo con i denti. L'orso non uscì neppure dalla piccola radura prima di capire che non si sarebbe liberato del suo fastidioso assalitore semplicemente fuggendo e rotolò sulla schiena, cercando di schiacciarlo sotto la sua immensa mole.
Se fosse stato un altro vampiro, la velocità d'azione dell'orso gli avrebbe reso difficile fare alcunché, incastrato com'era tra il tronco spesso di un vecchio abete e la schiena dell'animale stesso. Però Edward sapeva leggere nel pensiero, e si arrampicò sul legno anticipando le mosse della bestia e salvandosi agevolmente.
Esme, invece, era troppo vicina. L'orso non poteva vederla, però aveva ancora olfatto ed udito iper sviluppati dalla sua, che gli avrebbero consentito di individuare con facilità sconcertante la vampiretta che si avvicinava. Rotolò nuovamente sul ventre e si scrollò, il manto che ondeggiava intriso di sangue dove i denti di Edward aveva bucato la carne.
Era scoraggiante, davvero, con quanta velocità si rigenerò.
Capelli Pazzi urlò qualcosa, facendo un gesto ampio alla madre che le chiedeva di allontanarsi. I muscoli delle spalle dell'orso si contrassero, pronti a proiettarlo in avanti e spappolare la testa di Esme con un morso.
Fu in quel momento, mentre la bestia era ancora a terra, che i Quileute entrarono in azione.
Leah sfrecciò davanti al naso dell'orso, facendosi seguire con lo sguardo: il mostro fu distratto e provò ad allungare una zampa per prenderla, e fu allora che gli altri lupi lo assalirono tutti insieme.
Probabilmente doveva esserci un rumore terrificante, lacerante, nell'aria. Jacob, il più vicino alla visuale di Zafrina, afferrò il muso dell'orso con le fauci e iniziò a scuotere con violenza il capo a destra e a sinistra, come un coccodrillo che cerca di strappare la carne dalla propria preda. Gli altri lupi si ammassavano sull'orso, schiacciandolo al suolo con il loro peso e la loro ferocia, assalendolo ai fianchi e sulla schiena, strappandogli brandelli di carne dalle zampe.
L'orso, mutilato e dolorante, aveva comunque la forza di reagire, ma i lupi erano troppi perché potesse avere la meglio. Vidi Seth volare via dal mucchio, probabilmente colpito da una zampata, e schiantarsi al suolo a quattro metri di distanza, ma rialzarsi subito e ritornare all'attacco.
Jacob strappò via il muso all'orso. Letteralmente.
I lupi si strinsero ancora di più finché non fu tutto un brulichio di immense schiene e code che coprirono completamente il mostro, nascondendolo dalla vista.
I lupi si strinsero ancora di più finché non fu tutto un brulichio di immense schiene e code che coprirono completamente il mostro, nascondendolo dalla vista.
Alcuni vampiri indietreggiarono. Kate rabbrividì, stringendosi da sola in un abbraccio. Fino ad ora gli immortali avevano creduto che i licantropi fossero poco più che infanti capaci di trasformarsi in grossi cani, adesso stavano vedendo con i propri occhi quanto erano letali e temibili, stavano vedendo con i propri occhi la fine che loro stessi avrebbero potuto fare: seppelliti da una massa di grossi, pesanti corpi vibranti e fatti a pezzi da zanne terrificanti.
Se potevano uccidere un orso vampiro, allora un vampiro normale era uno scherzetto per loro.
Quando i licantropi si ritirarono, le bocche sporche di sangue, terreno e brandelli di pelliccia strappata, l'orso vampiro erano stato smembrato in pezzi che ancora pulsavano e cercavano di ricomporsi.
Ayita, immensa e nera come la notte, sollevò la testa per lanciare un ululato di vittoria, subito seguita da Sam e dagli altri lupi. Il branco appariva come un'unica entità dotata di innumerevoli zampe e bocche, di cuori palpitanti e di artigli saldi, un'entità fiera e invitta.
I vampiri si lanciavano occhiate da una parte all'altra della radura e solo dopo qualche istante Carlisle avanzò con un accendino per dare fuoco ai resti del mostro.
Le fiamme divamparono immediatamente, alte e regolari, divorando le carni marmoree del mostro, accartocciando l'erba che lambivano. Un fumo denso si sollevò dal mucchio. Jacob gettò nel fuoco il muso dell'orso che ancora stava serrando fra le fauci e anche quello fu immediatamente scalato dalle fiamme e da esse distrutto.
E fu così che venne ucciso il mostro più potente e terribile che avesse mai probabilmente popolato l'America del nord.
Zafrina mi ridiede la vista. Deglutii. Era stato davvero impressionante.
«I cuccioli sono forti» Disse lei con il suo accento strano e io annuii.
Una piccola parte di me si chiedeva se l'allenamento speciale che Undertaker stava facendo fare ai due branchi li avesse avvantaggiati, ma ebbi l'impressione che non avessero usato un granché di tecnica per sconfiggere l'orso, piuttosto che invece una ferocia primordiale di cui erano naturalmente dotati.
Forse avevamo più chance di quante credessi contro i Volturi... forse grazie al mio scudo i gemelli vampiri sarebbero stati annientati e i licantropi avrebbero avuto abbastanza tempo per fare a pezzi tutta la guardia dei vampiri reali.
«Ma non abbastanza forti» Continuò Zafrina «Sono serviti tutti quanti per abbattere l'orso»
«E allora voi?» sollevai un sopracciglio «Voi vampiri lo avete solo scombussolato all'inizio, non sembravate tanto capaci di ammazzarlo»
«Infatti. Nessuno di noi è forte abbastanza per i Volturi. Loro hanno l'intelligenza» si batté un lungo dito su una tempia «L'orso non ha l'intelligenza».
Oh oh.
«I Volturi...» Dissi «Non li ho mai visti. Tu li hai visti?»
«Si» lei annuii «Una volta sola. Molti anni fa, per poco tempo»
«Come sono?»
«Vecchi»
«E...»
«Deboli»
«Ma hai detto che nessuno di noi è abbastanza forte per loro!»
«Hanno questa» si batté di nuovo un dito sulla tempia «E la loro guardia è addestrata e forte»
«Ah. Intendevi che sono deboli proprio i Volturi capi, quindi»
«Si».
Lei si allontanò agile e mi lasciò lì, più spaventata di prima e senza neanche avermi salutata. Dunque i Volturi erano anche intelligenti, non solo dotati di poteri incredibili. C'era ancora da aver paura.
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