Entrai
con cautela nella stanza d'ospedale in cui Sarah riposava, pallida e
immobile. La luce lì dentro era come sempre dannatamente bianca,
abbagliante. I cuscini erano ancora piatti e bitorzoluti e il fastidioso
e continuo bip era ancora continuato e fastidioso come al solito.
Avevo
inesorabilmente imparato ad odiare quella stanza, non l'avrei mai
frequentata se dentro non ci fosse stata la mia amica, che si trovava in
quelle condizioni per aver cercato di difendermi.
Avevo
ricevuto un messaggio da Ayita che diceva di andare a trovare Sarah e
di aspettarla lì perché aveva una sorpresa. Mi chiesi, con una punta di
irritazione, come mai non potesse darmi quella sorpresa da qualche altra
parte e dovesse farlo proprio lì.
Avevamo appuntamento per le quattro di pomeriggio ed erano le tre e cinquantotto.
Recuperai
una sedia tra le tre che erano addossate a parete e mi sedetti accanto
al letto. I minuti passarono con una lentezza esasperante e per due
volte un'infermiera mi controllò sospettosa.
Poi sentii i passi di diverse persone avvicinarsi e la voce della stessa infermiera che domandava «Tutti quanti? Davvero?».
Non
ci fu alcuna risposta, ma i passi continuarono ad avvicinarsi e dalla
porta entrarono quasi tutte le ragazze lupo: Ayita, Aida, Omaha e Lara.
Mancava solo Leah. E poi entrò Undertaker, che quel giorno indossava una
camicia bianca a maniche corte che lo faceva sembrare ancora più grosso
di quanto non fosse già. L'infermiera sbirciava tutti dalla porta, con
un broncio preoccupato, chiedendosi cosa ci facesse lì dentro quella
squadra di pallacanestro composta da ragazze abbronzate accompagnate da
un mostrone tatuato.
«Buongiorno Belarda!» Disse Lara, allegra
«Buongiorno» risposi, con un cenno del capo «Come mai siete tutti qui?»
«È la sorpresa» mi assicurò Omaha, sorridendo «Siamo qui per riunire il gruppo».
Guardai sul letto, dove Sarah giaceva distesa respirando piano.
«Non
è normale che una ragazza-lupo rimanga così tanto tempo in coma.
Dovrebbe essersi svegliata già da molto tempo» Spiegò Ayita, solenne
«Poiché il suo corpo è guarito. C'è qualcosa di diverso che la trattiene
in questo stato e noi siamo qui per svegliarla».
Non
potei fare a meno di sorridere, anche se ancora non conoscevo il piano.
Sarebbe stato pericoloso? Avremmo dovuto sacrificare qualcosa? Chi se
ne importava! Ora almeno c'era un piano per riportarla indietro,
potevamo fare qualcosa.
Undertaker
si sedette sul pavimento, davanti al letto, e allungò un braccio per
afferrare le sbarre. Rimase immobile. Anche se aveva mosso una mano in
segno di saluto quando era entrato nella stanza, fino ad ora non aveva
detto neppure una parola, come se gli fosse stato vietato di usare la
voce. Per rispetto (e anche un po' per paura), non mi rivolsi a lui in
cerca di spiegazioni, ma ancora ad Ayita
«Sarà lui a fare questa cosa? A riportarci indietro Sarah?»
«Si»
«E... come?»
«Non lo sappiamo. Ha solo detto che lo farà».
Taker rimase per qualche istante immobile, poi si rialzò e si infilò le mani nelle tasche.
«Una di voi deve venire con me» Disse
«Dove?» domandarono Omaha e Lara contemporaneamente
«Nell'Umbra»
rispose lui, poi aggiunse guardando me «Il regno degli spiriti, per chi
non sapesse cos'è. Ho bisogno di uno spirito che sia affine alla
ragazza addormentata, se ci vado da solo potrebbe fuggire da me e
perdersi per sempre»
«Sarà pericoloso?» domandò Ayita «Perché se lo sarà non posso permettere che nessuna delle mie lupe venga laggiù»
«No, non è pericoloso» assicurò lui «Ci sarò io, non permetterò che vi capiti qualcosa. Allora, chi viene?».
Le
ragazze iniziarono a discutere fra loro: senza troppa sorpresa, tutte
volevano andarci. Ci volevo andare anch'io, a dire il vero, ma non avevo
il coraggio di propormi perché non sapevo se si dovesse essere
licantropi per fare una cosa del genere... mi ricordava molto la storia
di Taha Aki e degli spiriti guerrieri. Avrei dovuto essere sorpresa, e
di certo lo ero, ma non così tanto perché dopo aver visto licantropi e
vampiri, dopo aver aperto il mio terzo occhio e aver scoperto di avere
poteri magici, perché avrei dovuto essere scioccata all'idea che si
potesse viaggiare in un regno di cui avevo appreso già l'esistenza dai
racconti dei Quileute?
«Possiamo venire tutte?» Domandò Aida, supplicante «Perché sai, ci vogliamo venire tutte»
«No,
tutte no, per favore» Undertaker mise avanti le mani «Perderemmo un
sacco di tempo. Non ci metto troppo a riportarvi indietro la vostra
amica, mi serve solo una di voi»
«Scegli tu, allora» decise Ayita «Tanto ci vogliamo venire tutte. L'Umbra ci chiama come chiamava i nostri antenati».
Undertaker fece scorrere lo sguardo sul gruppo, poi si fermò su di me che me ne stavo timidamente seduta accanto al letto.
«Belarda» Disse «Vieni tu»
«È perché sono la protagonista della fanfiction?» mi sfuggì senza volerlo
«Non so cosa significa, ma no: è perché hai lo scudo e un terzo occhio funzionante che può essere utile»
«Ah».
Mi
alzai in piedi, con il vivido sentimento di star vivendo in una
fanfiction. Undertaker, che ripetiamolo pure è il mio eroe d'infanzia e
eroe numero uno, mi stava invitando a farmi un giro del tutto sicuro nel
mondo degli spiriti per recuperare lo spirito della mia amica che
pensavo non avrei riabbracciato mai più. Ero davvero schifosamente
fortunata... o forse un po' di fortuna mi era dovuta per compensare
tutto lo stress che avevo vissuto con questa storia dei vampiri.
«La prossima volta però voglio farlo io!» Quasi strillò Omaha.
L'infermiera, che non aveva smesso un istante di guardarci dalla porta, incrociò le braccia e sollevò un sopracciglio.
«Dammi la mano, per favore?» Domandò Undertaker «Solo se vuoi»
«Certo,
certo, voglio» stesi il braccio con tanta forza che se ci fosse stato
qualcuno di fronte a me gli avrei fatto male (o mi sarei rotta un paio
di dita)
«Grazie».
Lui
ringraziava me? Arrossi incontrollatamente, poi avvampai del tutto
quando lui mi prese la mano. Aveva una presa gentile, ma sembrava
comunque che avrebbe potuto distruggermi le dita solo stringendo un
poco.
«Andiamo» Disse.
“Dove?”
Avrei voluto domandare. Pensavo che ci saremmo messi in posa di
meditazione e avremmo fatto un viaggio astrale, come gli spiriti
guerrieri dei Quileute, ma lui prese a camminare incontro alle nostre
ombre che venivano proiettate contro la parete (proprio accanto
all'infermiera perplessa) dalla luce della finestra. E poi entrammo
nelle ombre.
Fu
semplice, come passare da una stanza all'altra, e probabilmente era
così che doveva essersi sentito Harry Potter la prima volta che aveva
raggiunto il Binario Nove e Tre Quarti. Ero così sorpresa che non chiusi
neppure gli occhi, semplicemente passai da una parte all'altra del muro
come un fantasma.
«Siamo morti?» Domandai in un sussurro
«No» lui mi lasciò andare la mano «Siamo piuttosto vivi».
Eravamo
nel corridoio fuori dalla stanza della mia amica, come se avessimo
davvero semplicemente attraversato il muro (eh, “semplicemente” è un
eufemismo che la mia mente si costrinse ad utilizzare per non cominciare
ad urlare), ma era cambiato qualcosa...
Tanto
per iniziare la luce ambientale era meno chiara e più soffusa. Poi
l'infermiera sulla porta non c'era più, o meglio al suo posto c'era un
fantasma così trasparente da essere quasi invisibile.
«Guarda l'infermiera!» Esclamai, meravigliata «Sembra fatta di colla di pesce!»
«Riesci a vederla, quindi?» sembrava contento, dal tono di voce «Ottimo»
«Ehm, si... non dovrei?»
«Si, dovresti. È il segno che il terzo occhio si è aperto per bene. Comunque la maggior parte della gente nell'Umbra non riesce a vedere i vivi. Quanto bene riesci a vederla, se non sono indiscreto?»
«Si, dovresti. È il segno che il terzo occhio si è aperto per bene. Comunque la maggior parte della gente nell'Umbra non riesce a vedere i vivi. Quanto bene riesci a vederla, se non sono indiscreto?»
«Hmm...» feci un gesto vago con la mano «Non tanto bene. C'è e non c'è»
«È già qualcosa»
«Potrei vederla meglio di così? Tipo, se mi allenassi?»
«I maghi potenti possono»
«Tu come la vedi?»
«Io non la vedo» ammise lui «Non mi piace usare il terzo occhio se non serve, è faticoso»
«Per
me non lo è affatto!» sorpresa, mi guardai in giro: in lontananza
vedevo i fantasmi tremolanti e quasi completamente trasparenti di un
vecchietto con le stampelle seguito con lentezza esasperante da un altro
infermiere «Vanno tutti molto lentamente, ma li vedo e non è per niente faticoso»
«Il
tuo terzo occhio non ha una palpebra, è sempre aperto. Sollevare la
palpebra è faticoso. Il mio è intero» si strinse nelle spalle «Non posso
fare come con te, mi serve poterlo chiudere»
«Ah»
annuii, anche se sul momento non mi venne in mente come mai qualcuno
dovesse spegnere la propria capacità di vedere le forze spirituali «Ma
come fai a non finire sopra le persone, quando sei... qui. Insomma, se
non le vedi»
«Ci passo attraverso»
«Si può fare? Posso provarci?»
«Si. Ma è sgradevole, soprattutto se non sei me»
«Si. Ma è sgradevole, soprattutto se non sei me»
«Allora non ci provo» mi sfregai le braccia «Si gela qui»
«È un ospedale visto dall'Umbra, è normale. È un luogo di sofferenza»
«Ah».
Lui mi fece cenno di seguirlo
«Andiamo a cercare la tua amica. Non è qui dentro»
«Ah no? E dov'è...?»
«Seguiamo le sue tracce».
Lui
camminò fino in prossimità della stanza delle radiografie e lì mi
indicò per terra e io le vidi. Erano luminose e grandi, impossibili da
non notare: impronte di lupo sulle mattonelle del pavimento.
«Wow» Dissi «I licantropi lasciano una scia luminosa quando camminano nel regno degli spiriti?».
Lui
rise «Per fortuna no, altrimenti tutti saprebbero sempre dove sono. No,
ho lanciato un incantesimo nella stanza per riconoscere le tracce
dell'anima della tua amica»
«Quando ti sei seduto a terra?»
«Già».
All'improvviso
mi accorsi che non avevo alzato gli occhi per guardare Undertaker in
faccia neanche una volta da quando eravamo nell'Umbra. Perché? Ero
timida come al solito o c'era qualcos'altro? Adesso avevo paura sul
serio all'idea di guardarlo. E se lui fosse sembrato diverso, filtrato
attraverso la lente del mondo degli spiriti? A ragionarci bene, però, mi
parve una paura sciocca.
Però
non alzai lo sguardo lo stesso. Non ci riuscii. Mi sentivo come se
stessi camminando accanto ad un fantasma che ogni tanto mi parlava con
la sua voce disincarnata, anche se prima avevo visto una delle sue mani
che mi indicava il pavimento.
In
silenzio iniziai a seguire le orme. Faceva davvero, davvero freddo
dentro l'ospedale. Superai infermieri ed infermiere che si muovevano
lentissimamente, almeno tre volte più lentamente che nella realtà,
superai la reception e uscii fuori. Alzai lo sguardo. Il cielo era più
scuro, di un blu intenso che sembrava finto, e gli alberi in lontananza
sembravano giganteschi, molto più grandi di quelli che avevo visto nel
mondo materiale.
«Gli spiriti degli alberi sono più grandi degli alberi stessi» Spiegò la voce del fantasma accanto a me
«Fantastico» commentai.
Le
macchine nel parcheggio non erano visibili, al contrario delle impronte
luminose di Sarah che serpeggiavano in ampi cerchi, come se fosse
smarrita e avesse percorso in lungo e largo quel posto nel tentativo di
trovare qualcosa, prima di proseguire infilandosi fra due querce che nel
mondo materiale erano grandi meno della metà di quanto sembravano in
quel posto spettrale e meraviglioso.
Continuai a seguire le ombre. Potevo sentire i miei stessi passi, ma non i passi della persona dietro di me.
E
mi ritrovai fra alberi immensi, circondata da grovigli di rovi con
spine lunghe più del mio mignolo, ricurve e dall'aria pericolosa. Mi
chiesi se il tetano era una malattia che si potesse prendere anche nel
mondo spirituale.
Le
orme continuavano fino al cavo di un albero: il buco era più alto di me
e sembrava l'ingresso di una galleria. Nessun uccello cantava, l'unica
cosa che udivo, mentre mi infilavo nel cunicolo, era il mio respiro.
Lentamente, un passo dopo l'altro, avanzai nella galleria di legno umida
finché non sbucai in un posto che non avevo mai visto e che non
sembrava avere eguali nel mondo materiale che conoscevo.
Si
trattava di un bosco i cui alberi avevano tronchi bianchi come la neve,
leggermente luminescenti come pelle di vampiro, e fronde oscure che si
allungavano contro il cielo rosso. Il sottobosco era ingombro di piante
di ogni genere e qua e là spuntavano ancora quei rovi dalle grandi
spine. Farfalle sparse danzavano su fiori delicati, che parevano fatti
di cristallo, e piccole luci intermittenti pulsavano fra i rami più
bassi.
Con
circospezione seguii le orme, che si perdevano dietro grandi felci
azzurrognole, e mi ritrovai faccia a faccia con un lupo. Il lupo non
aveva niente di spettrale, era in carne ed ossa (o almeno lo sembrava) e
aveva il pelo grigio. Non poteva essere Sarah, ma non mi fece paura
comunque, era come se sapessi chi era.
«Stai attenta alle fate» Disse la voce disincarnata dietro di me, preoccupata
«Non è una fata» risposi «È un lupo».
Il
lupo indietreggiò mentre sentii le felci alle mie spalle scostarsi. Una
grossa ombra scura si proiettò su di me e sull'animale e mi sentii
debole, piccola, inerme. Non osai girarmi per controllare, anche se
sapevo benissimo che alle mie spalle doveva esserci Undertaker.
Il lupo se la diede a gambe levate con un uggiolio e mi venne voglia di fare altrettanto.
«Attenta alle fatine» Ripeté l'ombra «Sono dannatamente pericolose. Non le toccare, va bene?»
«Va bene» promisi, riprendendo a seguire le impronte per allontanarmi dall'influenza di quell'ombra.
Non
appena fui avanti, mi rilassai istantaneamente scoprendo che fino ad
ora avevo mantenuto le spalle rigide e tese. Mi faceva male il collo. E
poi vidi Sarah.
Sarah
era in forma di lupo, inconfondibile con il suo mantello bruno e il
segno a forma di V più chiaro sul petto, e rimaneva per terra, sdraiata
su un fianco, circondata da cespugli aggrovigliati spinosi. Era molto
più piccola di quando si trasformava nel mondo materiale: sembrava solo
un grosso cane molto stanco.
«Sarah!» Gridai, precipitandomi verso di lei.
La lupa alzò lo sguardo e le sue pupille si dilatarono. Uggiolò e mosse la coda.
«Sono qui! Sono qui!» Le dissi e, inginocchiandomi, presi la sua testa «Come stai?».
Sentii la sua voce anche se le sue labbra non si mossero
«Sono molto... stanca. Non riesco a muovermi»
«Non preoccuparti. Adesso ti riporteremo a casa»
«Le ragazze sono qui?» la sua voce vibrò di speranza e gioia mentre cercava vanamente di rimettersi in piedi
«No. No. Riposati» le posai una mano sulla spalla «È venuto a prenderti Undertaker»
«Under... chi?»
«Lui» mi girai per indicarglielo, ma non c'era nessuno alle mie spalle.
Chiusi la mano e la lasciai ricadere. Che fine aveva fatto?
«Dille di non avere paura, per favore» Disse la voce disincarnata, molto lontana, da qualche parte fra le felci
«Non avere paura, Sarah» obbedii «Per favore»
«Perché dovrei avere paura?» sussurrò la lupa, abbandonando il capo sulle mie ginocchia
«Perché dovrebbe avere paura?» gridai, rivolta alle felci
«Perché faccio paura» rispose lui, comparendo dalla vegetazione «Ma è tutta apparenza».
Immediatamente
sentii Sarah irrigidirsi fra le mie braccia e fortunatamente non aveva
la forza per fuggire, perché altrimenti l'avrebbe di certo fatto. Ora
capii cosa aveva voluto dire con “Ho bisogno di uno spirito che sia
affine alla ragazza addormentata, se ci vado da solo potrebbe fuggire da
me e perdersi per sempre”.
Undertaker è un tipo alto, ma nell'Umbra appariva ancora più alto,
in qualche modo inumano nelle proporzioni, leggermente curvato in
avanti come un lupo mannaro dei film. Aveva gli occhi più chiari di come
si mostravano nel mondo materiale (ed erano già chiari normalmente) al
punto da sembrare quasi bianchi, e si muoveva senza emettere nessun
rumore, come se fosse morto e non respirasse. Ma, e questo di certo era
il particolare più spaventoso, era ammantato di ombre. Dietro di lui si
stendevano, come un mantello terrificante, sagome oscure e in movimento
di cose con bocche e arti, un fumo troppo denso per essere vero
fumo gli ricopriva le braccia e una parte del torso, fluttuando
pigramente intorno a lui, e mentre respirava dagli angoli della bocca
gli spuntavano piccoli sbuffi di quella stessa sostanza, di quelle ombre, invece che di fiato condensato come capitava a me o a Sarah.
«È tutto ok» Disse «Ora la riportiamo a casa, va bene?».
La
voce era gentile, ma quel volto non lo era. I suoi denti, che aveva
brevemente scoperto mentre ci parlava, erano affilati. La barba, bianca e
rossiccia, era ispida, incolta, gli si estendeva sulle guance e fin sul
collo dandogli un aspetto selvatico, da diavolo della Tasmania. Mi
ritrovai a pensare che avrebbe potuto strapparmi una mano con un solo
morso e senza neanche impegnarsi troppo.
«È un vampiro!» Gridò Sarah «Un nosferatu! Vattene! VATTENE!».
Temetti
che fosse vero. Se ci avesse ingannati tutti? Se in realtà fosse stato
un vampiro, un vero vampiro e non un brillarello, e volesse ucciderci?
Ma non aveva senso. Avrebbe potuto farci fuori quando voleva,
prendendoci da soli, in passato.
«Non sono un vampiro» Cercò di rassicurarla lui, avvicinandosi ancora «Davvero. Guardami».
Si
inginocchiò accanto a noi e io rabbrividii quando le ombre intorno a
lui mi sfiorarono, ma poi lui allungò una mano e la posò sul muso di
Sarah.
«Senti? Sono vivo»
«Hnngh...» la lupa rilassò le orecchie «Sei caldo. Chi sei?»
«Un amico. Un amico di Belarda. Sono qui per salvarti, per riportarti indietro»
«È vero, Belarda?»
«Si»
assicurai, rapidamente «Si, è vero. È venuto qui per salvarti e ci sta
aiutando. È un amico del branco, non devi avere paura»
«D'accordo».
Undertaker
prese delicatamente in braccio il corpo della lupa e si rialzò. Sarah
sembrava un cagnolino fra le sue lunghe braccia forti.
«Andiamo via» Disse, la voce roca e bassa.
Ripercorremmo
a ritroso il percorso, guidati dalle impronte luminose. Rientrammo nel
parcheggio, poi nell'ospedale, e infine nella stanza dove riposava il
corpo umano di Sarah.
La
sagoma trasparente dell'infermiera stava urlando (molto, molto
lentamente) contro le ragazze-lupo, che avevano tutte un ghigno
divertito sulla faccia.
«Eccoci qui» Undertaker adagiò la lupa sul letto «Il tuo corpo può contenerti di nuovo».
Di fronte ai miei occhi, Sarah scomparve.
«Ha funzionato?» Domandai, nervosissima
«Si, certo» lui sorrise, un sorriso inquietantissimo da bestia feroce «Andiamo a vedere?».
Allungò
una mano verso di me e io la presi. Camminammo verso le nostre ombre
sulla parete e ci passammo attraverso come se fossero fatte d'aria.
Omaha lanciò un gridolino, poi ci indicò
«Signora, signora, sono lì dietro di lei!» esclamò.
L'infermiera si voltò a guardarci di scatto e il suo volto divenne cereo
«Che c-cosa è successo?» balbettò
«Niente»
rispose Undertaker, a metà fra il cordiale e il minaccioso «Mi
dispiace, signora, di aver causato tutto questo scompiglio. Mi sono
allontanato solo per un istante».
L'infermiera si quietò come sotto un incantesimo (e a pensarci bene non era neppure cosi impossibile) e annuì
«Molto bene. Ma non voglio scompiglio qui dentro» disse prima di uscire dalla stanza.
Le ragazze-lupo, tranne Ayita, risero.
Poi
Omaha si fece avanti, ondeggiò un po' indietro col busto, poi si fece
di nuovo avanti guardando me ed Undertaker con occhi speranzosi. Si
comportava come se non riuscisse a contenere curiosità ed entusiasmo, ma
allo stresso tempo non volesse apparire irrispettosa con il loro
Guardiano Nero.
«Allora? Sarah? Ha... funzionato?».
Non ci fu bisogno che fosse lui a rispondere.
La
ragazza distesa nel letto iniziò ad avere dei minuscoli scatti, e la
regolarità del suo respiro variò improvvisamente, abbastanza perché ce
ne rendessimo tutte conto. I sovrannaturali se ne accorsero prima di me,
però dato che si erano girati tutti anche io feci altrettanto, dopo
aver lanciato un'occhiata apprensiva ai macchinari che la monitoravano.
Poi
Sarah prese fiato, come un sub che riemerge dall'acqua appena in tempo
per evitare di annegare, riempiendosi con ingordigia i polmoni di aria
pulita, e aprì gli occhi.
Erano
umidi e vacui, poi batté le ciglia scure, ed ogni battito di palpebra
sembrò ripulire un po' di quell'ottusità dal suo sguardo mentre
schizzava a sedere.
Dapprima mosse le labbra, ed uscì una specie di pigolio. Ci riprovò.
«Ragazze...»
Brontolò, e fu la spallata finale per rompere la diga. Era una diga
metaforica, però mi parve una metafora azzeccata nel momento in cui mi
si annebbiarono gli occhi di lacrime in un istante, e le ragazze-lupo si
affollarono attorno al lettino per coinvolgerla in un abbraccio di
gruppo: una parodia affettuosa dell'attacco all'orso-vampiro.
«Sarah!
Sarah!» Esclamavano le ragazze, accalcandosi per baciarle la guancia,
abbracciarla, accarezzarle i capelli. Avevo una voglia matta di
stringerla tra le braccia a mia volta, ma non credevo proprio di essere
in grado di farmi spazio lottando tra la calca come fece Ayita (complice
anche il rispetto che le altre avevano per lei, che le consentì di non
dover spingere tanto forte per farsi cedere il passo). La capobranco
strinse la ragazza in un abbraccio fraterno, commossa e felice.
Non
piangeva, come invece stavano facendo sia Omaha, che Lara che Aida, ma
sembrava profondamente soddisfatta e contenta di rivederla aprire gli
occhi.
«Bentornata, Sarah» Disse, amorevole come una madre.
La
mia mente ci mise qualche secondo a raggiungere lo stato del mio corpo,
che aveva iniziato a registrare i sentimenti che provavo molto prima
della mia testa. Ma dopo avere iniziato a piangere, i miei pensieri ci
misero poco a diventare un'altrettanto smielata pappa.
Mio
Dio, avevo sperato davvero che si sarebbe svegliata: era una ragazza
forte, in salute, e con un aiuto in più nella sua natura di licantropa.
Ma avevo davvero avuto il terrore che non si risvegliasse più, che avrei
continuato a visitare quell'orribile stanza e a covare una speranza
traditrice.
Sarah alzò lo sguardo oltre le sue amiche e mi rivolse un sorriso radioso.
«Belarda!
Ecco la mia salvatrice» Disse, con un luccichio allegro nei bellissimi
occhi scuri «Sei venuta fin lì a salvarmi. Grazie»
«Non
ero sola» mi schermii, ma ero troppo contenta per articolare oltre e
andai anche io a salutarla finalmente. Tuttavia, la mia risposta era
vera, e Sarah cercò qualcuno con lo sguardo per la stanza.
Per la verità, mi stupiva che non lo avesse visto prima.
«Poi dovete raccontarci tutto» Sbottò Aida, baciando uno zigomo di Sarah e cingendole le spalle in un abbraccio troppo stretto
«Di
tutte le ragazze-lupo, proprio l'umana è viaggiata nel regno in cui
andavano i nostri antenati!» sottolineò Lara con enfasi, guardandomi con
finto rimprovero mentre prendevo tra le mie una delle mani di Sarah.
Erano fredde per la sua media, fresche per un essere umano normale, ma si stavano riscaldando in fretta.
«Scusate» Feci un sorrisetto «Però l'ho riportata indietro, no?»
«Non da sola» mormorò Sarah. Stava guardando davanti a sé, con gli occhi socchiusi. Era cauta, ma più curiosa che intimidita.
Undertaker
e la ragazza si squadrarono educatamente a vicenda. Era la prima volta
che si vedevano entrambi in carne ed ossa, entrambi svegli.
Sarah abbozzò un sorriso. «Fai meno paura di quanto ricordassi» Gli disse lei.
Fece
un gesto verso le proprie spalle ad Omaha, che brontolò un «Viziata»
che era troppo pieno di gioia per poter essere anche credibile, e le
sistemò i cuscini in modo che potesse stare seduta senza sforzo.
«Non me lo dicono in tanti»
«Ti vedono in tanti in quel modo?»
«No» ammise lui, con voce profonda e pacata.
Sarah fece un risolino. «Grazie. Per quello che hai fatto. Belarda ha detto che sei un amico della tribù. Chi sei?»
«Lui
è il Guardiano Nero» Disse Ayita, rispondendo abbastanza in fretta da
non interrompere nessuno, ma abbastanza lenta per sembrare solenne e non
una so-tutto-io.
«Il...
Guardiano Nero» Sarah si guardò le mani, di cui una era tra le mie.
Sembrava che mi stesse prendendo tutto il calore: io me le sentivo
freddissime, come se non riuscissi a scrollarmi di dosso il gelo
dell'ospedale dall'Umbra, mentre le sue stavano tornando ad essere
bollenti.
Quando
tornò ad alzare la testa, aveva un'espressione grata, ma anche decisa.
«Grazie. È un onore conoscerti. E... scusa per averti dato del vampiro»
«Nessun problema» Minimizzò lui, gentilmente.
Seguì un illusorio momento di quiete.
Poi
l'infermiera decise che era un buon momento per entrare in stanza e
fare il diavolo a quattro perché pensava che stessimo trafugando la
ragazza in coma, prima di accorgersi che si era svegliata e trasmutarsi
nella propria versione fatta di zucchero e miele.
Undertaker
approfittò del caos generale per dileguarsi come un prestigiatore.
Conoscendolo, probabilmente era svanito nelle ombre. Ma era corso via di
nuovo! Immaginavo che fosse un tipo impegnato, ma mi dispiacque un po'
vederlo andare via.
«Sono
guarita, ora mi dimettete?» Chiese Sarah con un sorriso smagliante
all'infermiera, passandosi una mano sugli occhi come per asciugarli.
L'altra era ancora saldamente stretta alla mia.
«Oh,
tesoro, prima dobbiamo avvertire la tua mamma. Sarà così felice di
vedere che stai bene! Ma tu stai bene, vero?». L'infermiera era una
donna secca secca con i capelli di un castano triste, che faceva pensare
che non li curasse molto, e due rughe severe agli angoli della bocca
nonostante l'aspetto abbastanza giovanile.
Queste
due rughe si accentuarono molto quando esclamò «Ma sei bollente!»
toccando la fronte della ragazza «Mi sa che dovrai fare un altro paio di
giorni da noi, tesoro, ti sei presa un febbrone da cavallo. Ma dimmi,
come stai, a parte la febbre? Riesci a pensare lucidamente? A muoverti
senza problemi? Ci sono persone che uscendo dal coma hanno problemi a
fare tutte queste cose. Alcune hanno anche danni permanenti».
Mentre
io mi affrettavo a fare corna (non ero una tipa troppo superstiziosa,
ma visto come si stava evolvendo la mia realtà, forse era meglio che
iniziassi a diventarlo), Sarah iniziò a cercare di controllare le sue
funzioni fisiche.
Ayita guardò incuriosita il mio strano rituale, ma non commentò.
La
mia amica allettata mosse le dita dei piedi e delle mani, girò la testa
a destra e a sinistra e si stiracchiò, producendo rumori di
scricchiolio che erano così tremendi e corposi da essere quasi
soddisfacenti.
«Aaahh»
Sospirò, concludendo con uno schiocco inquietante di qualche vertebra
«Sembra tutto a posto qui, signorina, sana come un pesce!»
«Quelli sono gli Atlapi» ridacchiò Lara
«Già. Allora sono sana come un lupo»
«I
lupi devono avere dei febbroni allora, e non sono tanto sani» la
rimproverò l'infermiera, iniziando a rimuovere fisicamente me e le
Quileute riluttanti da Sarah «E lasciatela respirare voi! Se le state
così vicine vi verrà qualcosa anche a voi».
Aida ridacchiò, facendo un passo verso la donna senza cercare di avvicinarsi ancora a Sarah.
Lara
sgattaiolò verso l'amica a letto e si fece inseguire dall'infermiera,
che la intercettò come un border collie punta una pecora vagante,
facendo scoppiare a ridere Sarah.
«Signora
infermiera» Riprese Aida appena ebbero finito, cercando di soffocare le
risate «La potete dimettere se è per quello, non ha la febbre. Sarah ha
sempre avuto la temperatura alta»
«Non è possibile che ce l'abbia così alta. Avrà almeno trentanove gradi addosso, povera innocente»
«No, no, è normale» concordò Omaha «Siamo tutte così. È una cosa della nostra famiglia»
«Siete tutte imparentate?»
«Altroché. Non si nota?».
L'infermiera
annuì dubbiosa. In effetti, una certa somiglianza innegabile c'era.
«Senta, senta, mi prenda la temperatura. Vede come sono calda anche io?
Non si deve preoccupare, Sarah sta benissimo».
La
donna ci guardò tutte sospettosa e prese la temperatura ad ogni singola
ragazza della stanza. Alla fine decretò: «Avete tutte la febbre. Tranne
te» e si voltò verso di me «Tu sei in ipotermia».
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