martedì 18 dicembre 2018

Sunset 82 - Umbra: Andata e ritorno dal regno degli spiriti





Entrai con cautela nella stanza d'ospedale in cui Sarah riposava, pallida e immobile. La luce lì dentro era come sempre dannatamente bianca, abbagliante. I cuscini erano ancora piatti e bitorzoluti e il fastidioso e continuo bip era ancora continuato e fastidioso come al solito.
Avevo inesorabilmente imparato ad odiare quella stanza, non l'avrei mai frequentata se dentro non ci fosse stata la mia amica, che si trovava in quelle condizioni per aver cercato di difendermi.
Avevo ricevuto un messaggio da Ayita che diceva di andare a trovare Sarah e di aspettarla lì perché aveva una sorpresa. Mi chiesi, con una punta di irritazione, come mai non potesse darmi quella sorpresa da qualche altra parte e dovesse farlo proprio lì.
Avevamo appuntamento per le quattro di pomeriggio ed erano le tre e cinquantotto.
Recuperai una sedia tra le tre che erano addossate a parete e mi sedetti accanto al letto. I minuti passarono con una lentezza esasperante e per due volte un'infermiera mi controllò sospettosa.
Poi sentii i passi di diverse persone avvicinarsi e la voce della stessa infermiera che domandava «Tutti quanti? Davvero?».
Non ci fu alcuna risposta, ma i passi continuarono ad avvicinarsi e dalla porta entrarono quasi tutte le ragazze lupo: Ayita, Aida, Omaha e Lara. Mancava solo Leah. E poi entrò Undertaker, che quel giorno indossava una camicia bianca a maniche corte che lo faceva sembrare ancora più grosso di quanto non fosse già. L'infermiera sbirciava tutti dalla porta, con un broncio preoccupato, chiedendosi cosa ci facesse lì dentro quella squadra di pallacanestro composta da ragazze abbronzate accompagnate da un mostrone tatuato.
«Buongiorno Belarda!» Disse Lara, allegra
«Buongiorno» risposi, con un cenno del capo «Come mai siete tutti qui?»
«È la sorpresa» mi assicurò Omaha, sorridendo «Siamo qui per riunire il gruppo».
Guardai sul letto, dove Sarah giaceva distesa respirando piano.
«Non è normale che una ragazza-lupo rimanga così tanto tempo in coma. Dovrebbe essersi svegliata già da molto tempo» Spiegò Ayita, solenne «Poiché il suo corpo è guarito. C'è qualcosa di diverso che la trattiene in questo stato e noi siamo qui per svegliarla».
Non potei fare a meno di sorridere, anche se ancora non conoscevo il piano. Sarebbe stato pericoloso? Avremmo dovuto sacrificare qualcosa? Chi se ne importava! Ora almeno c'era un piano per riportarla indietro, potevamo fare qualcosa.
Undertaker si sedette sul pavimento, davanti al letto, e allungò un braccio per afferrare le sbarre. Rimase immobile. Anche se aveva mosso una mano in segno di saluto quando era entrato nella stanza, fino ad ora non aveva detto neppure una parola, come se gli fosse stato vietato di usare la voce. Per rispetto (e anche un po' per paura), non mi rivolsi a lui in cerca di spiegazioni, ma ancora ad Ayita
«Sarà lui a fare questa cosa? A riportarci indietro Sarah?»
«Si»
«E... come?»
«Non lo sappiamo. Ha solo detto che lo farà».
Taker rimase per qualche istante immobile, poi si rialzò e si infilò le mani nelle tasche.
«Una di voi deve venire con me» Disse
«Dove?» domandarono Omaha e Lara contemporaneamente
«Nell'Umbra» rispose lui, poi aggiunse guardando me «Il regno degli spiriti, per chi non sapesse cos'è. Ho bisogno di uno spirito che sia affine alla ragazza addormentata, se ci vado da solo potrebbe fuggire da me e perdersi per sempre»
«Sarà pericoloso?» domandò Ayita «Perché se lo sarà non posso permettere che nessuna delle mie lupe venga laggiù»
«No, non è pericoloso» assicurò lui «Ci sarò io, non permetterò che vi capiti qualcosa. Allora, chi viene?».
Le ragazze iniziarono a discutere fra loro: senza troppa sorpresa, tutte volevano andarci. Ci volevo andare anch'io, a dire il vero, ma non avevo il coraggio di propormi perché non sapevo se si dovesse essere licantropi per fare una cosa del genere... mi ricordava molto la storia di Taha Aki e degli spiriti guerrieri. Avrei dovuto essere sorpresa, e di certo lo ero, ma non così tanto perché dopo aver visto licantropi e vampiri, dopo aver aperto il mio terzo occhio e aver scoperto di avere poteri magici, perché avrei dovuto essere scioccata all'idea che si potesse viaggiare in un regno di cui avevo appreso già l'esistenza dai racconti dei Quileute?
«Possiamo venire tutte?» Domandò Aida, supplicante «Perché sai, ci vogliamo venire tutte»
«No, tutte no, per favore» Undertaker mise avanti le mani «Perderemmo un sacco di tempo. Non ci metto troppo a riportarvi indietro la vostra amica, mi serve solo una di voi»
«Scegli tu, allora» decise Ayita «Tanto ci vogliamo venire tutte. L'Umbra ci chiama come chiamava i nostri antenati».
Undertaker fece scorrere lo sguardo sul gruppo, poi si fermò su di me che me ne stavo timidamente seduta accanto al letto.
«Belarda» Disse «Vieni tu»
«È perché sono la protagonista della fanfiction?» mi sfuggì senza volerlo
«Non so cosa significa, ma no: è perché hai lo scudo e un terzo occhio funzionante che può essere utile»
«Ah».
Mi alzai in piedi, con il vivido sentimento di star vivendo in una fanfiction. Undertaker, che ripetiamolo pure è il mio eroe d'infanzia e eroe numero uno, mi stava invitando a farmi un giro del tutto sicuro nel mondo degli spiriti per recuperare lo spirito della mia amica che pensavo non avrei riabbracciato mai più. Ero davvero schifosamente fortunata... o forse un po' di fortuna mi era dovuta per compensare tutto lo stress che avevo vissuto con questa storia dei vampiri.
«La prossima volta però voglio farlo io!» Quasi strillò Omaha.
L'infermiera, che non aveva smesso un istante di guardarci dalla porta, incrociò le braccia e sollevò un sopracciglio.
«Dammi la mano, per favore?» Domandò Undertaker «Solo se vuoi»
«Certo, certo, voglio» stesi il braccio con tanta forza che se ci fosse stato qualcuno di fronte a me gli avrei fatto male (o mi sarei rotta un paio di dita)
«Grazie».
Lui ringraziava me? Arrossi incontrollatamente, poi avvampai del tutto quando lui mi prese la mano. Aveva una presa gentile, ma sembrava comunque che avrebbe potuto distruggermi le dita solo stringendo un poco.
«Andiamo» Disse.
“Dove?” Avrei voluto domandare. Pensavo che ci saremmo messi in posa di meditazione e avremmo fatto un viaggio astrale, come gli spiriti guerrieri dei Quileute, ma lui prese a camminare incontro alle nostre ombre che venivano proiettate contro la parete (proprio accanto all'infermiera perplessa) dalla luce della finestra. E poi entrammo nelle ombre.
Fu semplice, come passare da una stanza all'altra, e probabilmente era così che doveva essersi sentito Harry Potter la prima volta che aveva raggiunto il Binario Nove e Tre Quarti. Ero così sorpresa che non chiusi neppure gli occhi, semplicemente passai da una parte all'altra del muro come un fantasma.
«Siamo morti?» Domandai in un sussurro
«No» lui mi lasciò andare la mano «Siamo piuttosto vivi».
Eravamo nel corridoio fuori dalla stanza della mia amica, come se avessimo davvero semplicemente attraversato il muro (eh, “semplicemente” è un eufemismo che la mia mente si costrinse ad utilizzare per non cominciare ad urlare), ma era cambiato qualcosa...
Tanto per iniziare la luce ambientale era meno chiara e più soffusa. Poi l'infermiera sulla porta non c'era più, o meglio al suo posto c'era un fantasma così trasparente da essere quasi invisibile.
«Guarda l'infermiera!» Esclamai, meravigliata «Sembra fatta di colla di pesce!»
«Riesci a vederla, quindi?» sembrava contento, dal tono di voce «Ottimo»
«Ehm, si... non dovrei?»
«Si, dovresti. È il segno che il terzo occhio si è aperto per bene. Comunque la maggior parte della gente nell'Umbra non riesce a vedere i vivi. Quanto bene riesci a vederla, se non sono indiscreto?»
«Hmm...» feci un gesto vago con la mano «Non tanto bene. C'è e non c'è»
«È già qualcosa»
«Potrei vederla meglio di così? Tipo, se mi allenassi?»
«I maghi potenti possono»
«Tu come la vedi?»
«Io non la vedo» ammise lui «Non mi piace usare il terzo occhio se non serve, è faticoso»
«Per me non lo è affatto!» sorpresa, mi guardai in giro: in lontananza vedevo i fantasmi tremolanti e quasi completamente trasparenti di un vecchietto con le stampelle seguito con lentezza esasperante da un altro infermiere «Vanno tutti molto lentamente, ma li vedo e non è per niente faticoso»
«Il tuo terzo occhio non ha una palpebra, è sempre aperto. Sollevare la palpebra è faticoso. Il mio è intero» si strinse nelle spalle «Non posso fare come con te, mi serve poterlo chiudere»
«Ah» annuii, anche se sul momento non mi venne in mente come mai qualcuno dovesse spegnere la propria capacità di vedere le forze spirituali «Ma come fai a non finire sopra le persone, quando sei... qui. Insomma, se non le vedi»
«Ci passo attraverso»
«Si può fare? Posso provarci?»
«Si. Ma è sgradevole, soprattutto se non sei me»
«Allora non ci provo» mi sfregai le braccia «Si gela qui»
«È un ospedale visto dall'Umbra, è normale. È un luogo di sofferenza»
«Ah».
Lui mi fece cenno di seguirlo
«Andiamo a cercare la tua amica. Non è qui dentro»
«Ah no? E dov'è...?»
«Seguiamo le sue tracce».
Lui camminò fino in prossimità della stanza delle radiografie e lì mi indicò per terra e io le vidi. Erano luminose e grandi, impossibili da non notare: impronte di lupo sulle mattonelle del pavimento.
«Wow» Dissi «I licantropi lasciano una scia luminosa quando camminano nel regno degli spiriti?».
Lui rise «Per fortuna no, altrimenti tutti saprebbero sempre dove sono. No, ho lanciato un incantesimo nella stanza per riconoscere le tracce dell'anima della tua amica»
«Quando ti sei seduto a terra?»
«Già».
All'improvviso mi accorsi che non avevo alzato gli occhi per guardare Undertaker in faccia neanche una volta da quando eravamo nell'Umbra. Perché? Ero timida come al solito o c'era qualcos'altro? Adesso avevo paura sul serio all'idea di guardarlo. E se lui fosse sembrato diverso, filtrato attraverso la lente del mondo degli spiriti? A ragionarci bene, però, mi parve una paura sciocca.
Però non alzai lo sguardo lo stesso. Non ci riuscii. Mi sentivo come se stessi camminando accanto ad un fantasma che ogni tanto mi parlava con la sua voce disincarnata, anche se prima avevo visto una delle sue mani che mi indicava il pavimento.
In silenzio iniziai a seguire le orme. Faceva davvero, davvero freddo dentro l'ospedale. Superai infermieri ed infermiere che si muovevano lentissimamente, almeno tre volte più lentamente che nella realtà, superai la reception e uscii fuori. Alzai lo sguardo. Il cielo era più scuro, di un blu intenso che sembrava finto, e gli alberi in lontananza sembravano giganteschi, molto più grandi di quelli che avevo visto nel mondo materiale.
«Gli spiriti degli alberi sono più grandi degli alberi stessi» Spiegò la voce del fantasma accanto a me
«Fantastico» commentai.
Le macchine nel parcheggio non erano visibili, al contrario delle impronte luminose di Sarah che serpeggiavano in ampi cerchi, come se fosse smarrita e avesse percorso in lungo e largo quel posto nel tentativo di trovare qualcosa, prima di proseguire infilandosi fra due querce che nel mondo materiale erano grandi meno della metà di quanto sembravano in quel posto spettrale e meraviglioso.
Continuai a seguire le ombre. Potevo sentire i miei stessi passi, ma non i passi della persona dietro di me.
E mi ritrovai fra alberi immensi, circondata da grovigli di rovi con spine lunghe più del mio mignolo, ricurve e dall'aria pericolosa. Mi chiesi se il tetano era una malattia che si potesse prendere anche nel mondo spirituale.
Le orme continuavano fino al cavo di un albero: il buco era più alto di me e sembrava l'ingresso di una galleria. Nessun uccello cantava, l'unica cosa che udivo, mentre mi infilavo nel cunicolo, era il mio respiro. Lentamente, un passo dopo l'altro, avanzai nella galleria di legno umida finché non sbucai in un posto che non avevo mai visto e che non sembrava avere eguali nel mondo materiale che conoscevo.
Si trattava di un bosco i cui alberi avevano tronchi bianchi come la neve, leggermente luminescenti come pelle di vampiro, e fronde oscure che si allungavano contro il cielo rosso. Il sottobosco era ingombro di piante di ogni genere e qua e là spuntavano ancora quei rovi dalle grandi spine. Farfalle sparse danzavano su fiori delicati, che parevano fatti di cristallo, e piccole luci intermittenti pulsavano fra i rami più bassi.
Con circospezione seguii le orme, che si perdevano dietro grandi felci azzurrognole, e mi ritrovai faccia a faccia con un lupo. Il lupo non aveva niente di spettrale, era in carne ed ossa (o almeno lo sembrava) e aveva il pelo grigio. Non poteva essere Sarah, ma non mi fece paura comunque, era come se sapessi chi era.
«Stai attenta alle fate» Disse la voce disincarnata dietro di me, preoccupata
«Non è una fata» risposi «È un lupo».
Il lupo indietreggiò mentre sentii le felci alle mie spalle scostarsi. Una grossa ombra scura si proiettò su di me e sull'animale e mi sentii debole, piccola, inerme. Non osai girarmi per controllare, anche se sapevo benissimo che alle mie spalle doveva esserci Undertaker.
Il lupo se la diede a gambe levate con un uggiolio e mi venne voglia di fare altrettanto.
«Attenta alle fatine» Ripeté l'ombra «Sono dannatamente pericolose. Non le toccare, va bene?»
«Va bene» promisi, riprendendo a seguire le impronte per allontanarmi dall'influenza di quell'ombra.
Non appena fui avanti, mi rilassai istantaneamente scoprendo che fino ad ora avevo mantenuto le spalle rigide e tese. Mi faceva male il collo. E poi vidi Sarah.
Sarah era in forma di lupo, inconfondibile con il suo mantello bruno e il segno a forma di V più chiaro sul petto, e rimaneva per terra, sdraiata su un fianco, circondata da cespugli aggrovigliati spinosi. Era molto più piccola di quando si trasformava nel mondo materiale: sembrava solo un grosso cane molto stanco.
«Sarah!» Gridai, precipitandomi verso di lei.
La lupa alzò lo sguardo e le sue pupille si dilatarono. Uggiolò e mosse la coda.
«Sono qui! Sono qui!» Le dissi e, inginocchiandomi, presi la sua testa «Come stai?».
Sentii la sua voce anche se le sue labbra non si mossero
«Sono molto... stanca. Non riesco a muovermi»
«Non preoccuparti. Adesso ti riporteremo a casa»
«Le ragazze sono qui?» la sua voce vibrò di speranza e gioia mentre cercava vanamente di rimettersi in piedi
«No. No. Riposati» le posai una mano sulla spalla «È venuto a prenderti Undertaker»
«Under... chi?»
«Lui» mi girai per indicarglielo, ma non c'era nessuno alle mie spalle.
Chiusi la mano e la lasciai ricadere. Che fine aveva fatto?
«Dille di non avere paura, per favore» Disse la voce disincarnata, molto lontana, da qualche parte fra le felci
«Non avere paura, Sarah» obbedii «Per favore»
«Perché dovrei avere paura?» sussurrò la lupa, abbandonando il capo sulle mie ginocchia
«Perché dovrebbe avere paura?» gridai, rivolta alle felci
«Perché faccio paura» rispose lui, comparendo dalla vegetazione «Ma è tutta apparenza».
Immediatamente sentii Sarah irrigidirsi fra le mie braccia e fortunatamente non aveva la forza per fuggire, perché altrimenti l'avrebbe di certo fatto. Ora capii cosa aveva voluto dire con “Ho bisogno di uno spirito che sia affine alla ragazza addormentata, se ci vado da solo potrebbe fuggire da me e perdersi per sempre”.
Undertaker è un tipo alto, ma nell'Umbra appariva ancora più alto, in qualche modo inumano nelle proporzioni, leggermente curvato in avanti come un lupo mannaro dei film. Aveva gli occhi più chiari di come si mostravano nel mondo materiale (ed erano già chiari normalmente) al punto da sembrare quasi bianchi, e si muoveva senza emettere nessun rumore, come se fosse morto e non respirasse. Ma, e questo di certo era il particolare più spaventoso, era ammantato di ombre. Dietro di lui si stendevano, come un mantello terrificante, sagome oscure e in movimento di cose con bocche e arti, un fumo troppo denso per essere vero fumo gli ricopriva le braccia e una parte del torso, fluttuando pigramente intorno a lui, e mentre respirava dagli angoli della bocca gli spuntavano piccoli sbuffi di quella stessa sostanza, di quelle ombre, invece che di fiato condensato come capitava a me o a Sarah.
«È tutto ok» Disse «Ora la riportiamo a casa, va bene?».
La voce era gentile, ma quel volto non lo era. I suoi denti, che aveva brevemente scoperto mentre ci parlava, erano affilati. La barba, bianca e rossiccia, era ispida, incolta, gli si estendeva sulle guance e fin sul collo dandogli un aspetto selvatico, da diavolo della Tasmania. Mi ritrovai a pensare che avrebbe potuto strapparmi una mano con un solo morso e senza neanche impegnarsi troppo.
«È un vampiro!» Gridò Sarah «Un nosferatu! Vattene! VATTENE!».
Temetti che fosse vero. Se ci avesse ingannati tutti? Se in realtà fosse stato un vampiro, un vero vampiro e non un brillarello, e volesse ucciderci? Ma non aveva senso. Avrebbe potuto farci fuori quando voleva, prendendoci da soli, in passato.
«Non sono un vampiro» Cercò di rassicurarla lui, avvicinandosi ancora «Davvero. Guardami».
Si inginocchiò accanto a noi e io rabbrividii quando le ombre intorno a lui mi sfiorarono, ma poi lui allungò una mano e la posò sul muso di Sarah.
«Senti? Sono vivo»
«Hnngh...» la lupa rilassò le orecchie «Sei caldo. Chi sei?»
«Un amico. Un amico di Belarda. Sono qui per salvarti, per riportarti indietro»
«È vero, Belarda?»
«Si» assicurai, rapidamente «Si, è vero. È venuto qui per salvarti e ci sta aiutando. È un amico del branco, non devi avere paura»
«D'accordo».
Undertaker prese delicatamente in braccio il corpo della lupa e si rialzò. Sarah sembrava un cagnolino fra le sue lunghe braccia forti.
«Andiamo via» Disse, la voce roca e bassa.
Ripercorremmo a ritroso il percorso, guidati dalle impronte luminose. Rientrammo nel parcheggio, poi nell'ospedale, e infine nella stanza dove riposava il corpo umano di Sarah.
La sagoma trasparente dell'infermiera stava urlando (molto, molto lentamente) contro le ragazze-lupo, che avevano tutte un ghigno divertito sulla faccia.
«Eccoci qui» Undertaker adagiò la lupa sul letto «Il tuo corpo può contenerti di nuovo».
Di fronte ai miei occhi, Sarah scomparve.
«Ha funzionato?» Domandai, nervosissima
«Si, certo» lui sorrise, un sorriso inquietantissimo da bestia feroce «Andiamo a vedere?».
Allungò una mano verso di me e io la presi. Camminammo verso le nostre ombre sulla parete e ci passammo attraverso come se fossero fatte d'aria.
Omaha lanciò un gridolino, poi ci indicò
«Signora, signora, sono lì dietro di lei!» esclamò.
L'infermiera si voltò a guardarci di scatto e il suo volto divenne cereo
«Che c-cosa è successo?» balbettò
«Niente» rispose Undertaker, a metà fra il cordiale e il minaccioso «Mi dispiace, signora, di aver causato tutto questo scompiglio. Mi sono allontanato solo per un istante».
L'infermiera si quietò come sotto un incantesimo (e a pensarci bene non era neppure cosi impossibile) e annuì
«Molto bene. Ma non voglio scompiglio qui dentro» disse prima di uscire dalla stanza.
Le ragazze-lupo, tranne Ayita, risero.
Poi Omaha si fece avanti, ondeggiò un po' indietro col busto, poi si fece di nuovo avanti guardando me ed Undertaker con occhi speranzosi. Si comportava come se non riuscisse a contenere curiosità ed entusiasmo, ma allo stresso tempo non volesse apparire irrispettosa con il loro Guardiano Nero.
«Allora? Sarah? Ha... funzionato?».
Non ci fu bisogno che fosse lui a rispondere.
La ragazza distesa nel letto iniziò ad avere dei minuscoli scatti, e la regolarità del suo respiro variò improvvisamente, abbastanza perché ce ne rendessimo tutte conto. I sovrannaturali se ne accorsero prima di me, però dato che si erano girati tutti anche io feci altrettanto, dopo aver lanciato un'occhiata apprensiva ai macchinari che la monitoravano.
Poi Sarah prese fiato, come un sub che riemerge dall'acqua appena in tempo per evitare di annegare, riempiendosi con ingordigia i polmoni di aria pulita, e aprì gli occhi.
Erano umidi e vacui, poi batté le ciglia scure, ed ogni battito di palpebra sembrò ripulire un po' di quell'ottusità dal suo sguardo mentre schizzava a sedere.
Dapprima mosse le labbra, ed uscì una specie di pigolio. Ci riprovò.
«Ragazze...» Brontolò, e fu la spallata finale per rompere la diga. Era una diga metaforica, però mi parve una metafora azzeccata nel momento in cui mi si annebbiarono gli occhi di lacrime in un istante, e le ragazze-lupo si affollarono attorno al lettino per coinvolgerla in un abbraccio di gruppo: una parodia affettuosa dell'attacco all'orso-vampiro.
«Sarah! Sarah!» Esclamavano le ragazze, accalcandosi per baciarle la guancia, abbracciarla, accarezzarle i capelli. Avevo una voglia matta di stringerla tra le braccia a mia volta, ma non credevo proprio di essere in grado di farmi spazio lottando tra la calca come fece Ayita (complice anche il rispetto che le altre avevano per lei, che le consentì di non dover spingere tanto forte per farsi cedere il passo). La capobranco strinse la ragazza in un abbraccio fraterno, commossa e felice.
Non piangeva, come invece stavano facendo sia Omaha, che Lara che Aida, ma sembrava profondamente soddisfatta e contenta di rivederla aprire gli occhi.
«Bentornata, Sarah» Disse, amorevole come una madre.
La mia mente ci mise qualche secondo a raggiungere lo stato del mio corpo, che aveva iniziato a registrare i sentimenti che provavo molto prima della mia testa. Ma dopo avere iniziato a piangere, i miei pensieri ci misero poco a diventare un'altrettanto smielata pappa.
Mio Dio, avevo sperato davvero che si sarebbe svegliata: era una ragazza forte, in salute, e con un aiuto in più nella sua natura di licantropa. Ma avevo davvero avuto il terrore che non si risvegliasse più, che avrei continuato a visitare quell'orribile stanza e a covare una speranza traditrice.
Sarah alzò lo sguardo oltre le sue amiche e mi rivolse un sorriso radioso.
«Belarda! Ecco la mia salvatrice» Disse, con un luccichio allegro nei bellissimi occhi scuri «Sei venuta fin lì a salvarmi. Grazie»
«Non ero sola» mi schermii, ma ero troppo contenta per articolare oltre e andai anche io a salutarla finalmente. Tuttavia, la mia risposta era vera, e Sarah cercò qualcuno con lo sguardo per la stanza.
Per la verità, mi stupiva che non lo avesse visto prima.
«Poi dovete raccontarci tutto» Sbottò Aida, baciando uno zigomo di Sarah e cingendole le spalle in un abbraccio troppo stretto
«Di tutte le ragazze-lupo, proprio l'umana è viaggiata nel regno in cui andavano i nostri antenati!» sottolineò Lara con enfasi, guardandomi con finto rimprovero mentre prendevo tra le mie una delle mani di Sarah.
Erano fredde per la sua media, fresche per un essere umano normale, ma si stavano riscaldando in fretta.
«Scusate» Feci un sorrisetto «Però l'ho riportata indietro, no?»
«Non da sola» mormorò Sarah. Stava guardando davanti a sé, con gli occhi socchiusi. Era cauta, ma più curiosa che intimidita.
Undertaker e la ragazza si squadrarono educatamente a vicenda. Era la prima volta che si vedevano entrambi in carne ed ossa, entrambi svegli.
Sarah abbozzò un sorriso. «Fai meno paura di quanto ricordassi» Gli disse lei.
Fece un gesto verso le proprie spalle ad Omaha, che brontolò un «Viziata» che era troppo pieno di gioia per poter essere anche credibile, e le sistemò i cuscini in modo che potesse stare seduta senza sforzo.
«Non me lo dicono in tanti»
«Ti vedono in tanti in quel modo?»
«No» ammise lui, con voce profonda e pacata.
Sarah fece un risolino. «Grazie. Per quello che hai fatto. Belarda ha detto che sei un amico della tribù. Chi sei?»
«Lui è il Guardiano Nero» Disse Ayita, rispondendo abbastanza in fretta da non interrompere nessuno, ma abbastanza lenta per sembrare solenne e non una so-tutto-io.
«Il... Guardiano Nero» Sarah si guardò le mani, di cui una era tra le mie. Sembrava che mi stesse prendendo tutto il calore: io me le sentivo freddissime, come se non riuscissi a scrollarmi di dosso il gelo dell'ospedale dall'Umbra, mentre le sue stavano tornando ad essere bollenti.
Quando tornò ad alzare la testa, aveva un'espressione grata, ma anche decisa. «Grazie. È un onore conoscerti. E... scusa per averti dato del vampiro»
«Nessun problema» Minimizzò lui, gentilmente.
Seguì un illusorio momento di quiete.
Poi l'infermiera decise che era un buon momento per entrare in stanza e fare il diavolo a quattro perché pensava che stessimo trafugando la ragazza in coma, prima di accorgersi che si era svegliata e trasmutarsi nella propria versione fatta di zucchero e miele.
Undertaker approfittò del caos generale per dileguarsi come un prestigiatore. Conoscendolo, probabilmente era svanito nelle ombre. Ma era corso via di nuovo! Immaginavo che fosse un tipo impegnato, ma mi dispiacque un po' vederlo andare via.
«Sono guarita, ora mi dimettete?» Chiese Sarah con un sorriso smagliante all'infermiera, passandosi una mano sugli occhi come per asciugarli. L'altra era ancora saldamente stretta alla mia.
«Oh, tesoro, prima dobbiamo avvertire la tua mamma. Sarà così felice di vedere che stai bene! Ma tu stai bene, vero?». L'infermiera era una donna secca secca con i capelli di un castano triste, che faceva pensare che non li curasse molto, e due rughe severe agli angoli della bocca nonostante l'aspetto abbastanza giovanile.
Queste due rughe si accentuarono molto quando esclamò «Ma sei bollente!» toccando la fronte della ragazza «Mi sa che dovrai fare un altro paio di giorni da noi, tesoro, ti sei presa un febbrone da cavallo. Ma dimmi, come stai, a parte la febbre? Riesci a pensare lucidamente? A muoverti senza problemi? Ci sono persone che uscendo dal coma hanno problemi a fare tutte queste cose. Alcune hanno anche danni permanenti».
Mentre io mi affrettavo a fare corna (non ero una tipa troppo superstiziosa, ma visto come si stava evolvendo la mia realtà, forse era meglio che iniziassi a diventarlo), Sarah iniziò a cercare di controllare le sue funzioni fisiche.
Ayita guardò incuriosita il mio strano rituale, ma non commentò.
La mia amica allettata mosse le dita dei piedi e delle mani, girò la testa a destra e a sinistra e si stiracchiò, producendo rumori di scricchiolio che erano così tremendi e corposi da essere quasi soddisfacenti.
«Aaahh» Sospirò, concludendo con uno schiocco inquietante di qualche vertebra «Sembra tutto a posto qui, signorina, sana come un pesce!»
«Quelli sono gli Atlapi» ridacchiò Lara
«Già. Allora sono sana come un lupo»
«I lupi devono avere dei febbroni allora, e non sono tanto sani» la rimproverò l'infermiera, iniziando a rimuovere fisicamente me e le Quileute riluttanti da Sarah «E lasciatela respirare voi! Se le state così vicine vi verrà qualcosa anche a voi».
Aida ridacchiò, facendo un passo verso la donna senza cercare di avvicinarsi ancora a Sarah.
Lara sgattaiolò verso l'amica a letto e si fece inseguire dall'infermiera, che la intercettò come un border collie punta una pecora vagante, facendo scoppiare a ridere Sarah.
«Signora infermiera» Riprese Aida appena ebbero finito, cercando di soffocare le risate «La potete dimettere se è per quello, non ha la febbre. Sarah ha sempre avuto la temperatura alta»
«Non è possibile che ce l'abbia così alta. Avrà almeno trentanove gradi addosso, povera innocente»
«No, no, è normale» concordò Omaha «Siamo tutte così. È una cosa della nostra famiglia»
«Siete tutte imparentate?»
«Altroché. Non si nota?».
L'infermiera annuì dubbiosa. In effetti, una certa somiglianza innegabile c'era. «Senta, senta, mi prenda la temperatura. Vede come sono calda anche io? Non si deve preoccupare, Sarah sta benissimo».
La donna ci guardò tutte sospettosa e prese la temperatura ad ogni singola ragazza della stanza. Alla fine decretò: «Avete tutte la febbre. Tranne te» e si voltò verso di me «Tu sei in ipotermia».




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