«Devo imparare il più possibile. Tutto quello che riesci a farmi entrare in testa nell'arco del prossimo mese» Mormorai.
Edward ignorò le mie parole.
E dopo, chi? Tanto valeva buttar giù un piano completo, così se fossi
sopravvissuta ad Alec – rabbrividii solamente a pensare all'alternativa –
avrei potuto decidere se ritirarmi in fretta o sferrare un nuovo
attacco. Cercai di pensare ad un'altra situazione in cui il mio cranio
insondabile rappresentasse un vantaggio, ma non sapevo abbastanza di ciò
che facevano gli altri membri del corpo di guardia. Così chiesi ad
Edward di parlarmi di qualche altro vampiro reclutato dai Volturi e lui,
forse per spaventarmi, mi accontentò.
Mi parlò di
un certo Felix, che a giudicare dalla sua descrizione era un guerriero
grosso e decisamente fuori dalla mia portata: da quel punto di vista ci
avrebbe fatto comodo avere con noi Emmett per un corpo a corpo, ma
pensai che un paio di Quileute avrebbero potuto prendere il posto del
più massiccio dei Cullen. Per il resto, e qui venivano le brutte
notizie, la guardia dei Volturi era praticamente sconosciuta, a parte un
certo Demetri.
Cercai di mantenere un'espressione
impassibile mentre Edward mi raccontava quanto fosse in gamba questo
Demetri: altrimenti non sarebbe sopravvissuto tanto a lungo, sempre in
prima linea. E doveva essere uno di quelli che guidavano l'attacco, mi
spiegò, visto che era un segugio. Il numero uno al mondo, senza dubbio.
Se ce ne fosse stato uno migliore, i Volturi l'avrebbero sostituito.
Aro non amava le seconde scelte.
«Se non fosse per Demetri, potremmo darci tutti alla fuga» Mi disse Edward con un sorriso amaro «I superstiti, almeno».
E se Demetri non fosse esistito, Alice avrebbe potuto salvarsi una
volta per tutte. Eppure – e il pensiero mi fece corrugare la fronte –
Alice era scappata. Se Aro era in grado di violare la mente di chiunque e
leggerne i pensieri come un uomo comune aprirebbe un libro e ne
sfoglierebbe le pagine, i Volturi avrebbero saputo all'istante quanti di
loro mancavano e perché. E Demetri l'avrebbe trovata. Alice aveva
bisogno di un posto molto, molto sicuro se voleva nascondersi da un
segugio simile.
Era quello che aveva visto Alice con
il suo potere, un posto sicuro? E la disfatta totale del suo clan? Era
per questo che aveva colto la prima occasione al volo ed era scappata?
«Demetri...» Esordii
«Demetri è mio» Replicò Edward secco, con voce tesa. Lo guardai di sottecchi e intravidi un'espressione crudele.
«E chi te lo tocca?».
Sulle prime non rispose. «Per Alice. È il solo modo che ho di
ringraziarla per gli ultimi cinquant'anni» Mormorò alla fine. Non si
rendeva conto di quanto non ci capissi un accidente, visto che avevo da
poco appreso dell'esistenza di questo Demetri, ma passai oltre.
«Quindi tutti questi Volturi hanno poteri offensivi potentissimi che ci
fanno sparire con un soffietto dal naso?» Chiesi, non proprio
rassicurata dall'idea.
Il vampiro scosse la testa, i capelli bronzei si spettinarono ancora di più. Divennero più folli.
«Non tutti coloro che entrano nel corpo di guardia dei Volturi hanno
poteri offensivi. Persino quello di Alec non è offensivo in senso
stretto, ma sono tante le abilità speciali che possono stuzzicare Aro.
Molte delle informazioni che sono adesso in nostro possesso sui Volturi
vengono, più che da Carlisle, che rimase con loro solo agli inizi, da un
nostro amico di nome Eleazar. Lui sa tutto dei Volturi. Era uno di
loro».
Mi lasciai sfuggire un sibilo. «Ma che razza di gente frequentate? E voi volete portare questi vicino a Forks, a mangiare persone umane?».
Edward aveva assunto un'espressione più dolce ora, e accennava un
sorriso «Eleazar è una persona molto gentile. Non si trovava granché
bene con i Volturi, ma rispettava la legge e capiva la necessità di
farla rispettare. Sentiva di contribuire ad un bene comune. Non ha
rimorsi per il tempo trascorso con loro; tuttavia, l'incontro con
Carmen...»
«Con chi?»
«... gli
ha fatto capire quale fosse il suo posto nel mondo. Si somigliano molto,
entrambi sono vampiri compassionevoli». Sorrise di nuovo. A me sembrava
come dire “terrorista gentile”, ma vabbé. Forse ero un po' prevenuta.
«Hanno conosciuto Tanya e le sue sorelle, e non hanno mai provato un
rimpianto. Sono soddisfatti di questo stile di vita. Anche se non
avessero incontrato Tanya, credo che avrebbero trovato da soli un modo
per vivere senza sangue umano»
«Ah. Quindi è un altro... vegetariano?»
«Si. Come noi»
«Ma perché dici vegetariano? È come dire di aver fatto il pollo vegano
con i finocchi, non ha senso. Di fatto bevi sempre sangue animale, mica
vellutate di carota, no?».
Ero confusa, le immagini
nella mia testa facevano a pugni fra loro. Un soldato dei Volturi che
conosce la compassione? La carbonara senza carne?
«Ehm, Eleazar non era un loro guerriero in senso stretto. Possedeva un dono che i Volturi trovavano conveniente»
«E cioè?»
«Ha
la capacità di riconoscere immediatamente le doti particolari degli
altri, i doni esclusivi di alcuni vampiri» spiegò, in tono da saputello
«Gli basta trovarsi a una certa distanza da loro. Un requisito molto
utile, in battaglia. Aro scopriva subito se fra gli avversari c'era
qualcuno che potesse riservare qualche sorpresa, ma capitava di rado:
bisognava avere qualità davvero eccellenti per mettere in difficoltà i
Volturi, anche solo per pochi istanti. Più che altro serviva a
risparmiare la vita a qualcuno che poteva tornargli utile. Il dono di
Eleazar funziona, entro certi limiti, anche con gli umani, ma con loro
deve concentrarsi molto perché il talento latente è nebuloso. Perciò Aro
lo usava per esaminare quelli che volevano unirsi a lui, per vedere se
possedessero potenzialità interessanti. Ad Aro è dispiaciuto che Eleazar
se ne sia andato»
«Ma dimmi una cosa»
«Certo, Bella»
«Perché cavolo mi hai raccontato questa cosa se tanto lui non è né tra
gli alleati né tra i nemici? Mamma mia, sei venuto solo a farmi perdere
tempo?»
«Certo che no, Bella»
«Almeno dimmi la parte importante della storia. Al tuo amico l'hanno lasciato andare così, come se niente fosse?».
Il
sorriso di Edward si fece più cupo, un po' obliquo. Dato che già
solitamente sorrideva sghembo, aveva una specie di stanghetta diagonale
in faccia, da qualche parte sotto il naso. «I Volturi non sono sempre i
cattivi della situazione, come ti appaiono. Sono il fondamento stesso
della nostra civiltà e della pace. Chi si arruola nel corpo di guardia
sceglie di votarsi a essi. È un grande onore farne parti; tutti ne sono
orgogliosi, nessuno viene costretto contro la propria volontà».
Guardai a terra, accigliata.
«Passano per crudeli e spietati solo tra i criminali, Bella»
«Criminali... come dei ragazzini la cui colpa è discendere da stirpi magiche? O criminali come voi?»
«Noi non siamo criminali»
«Certo. Molto convincente. Perché non glielo dici? Pensi che riusciremo a fermarli per farti ascoltare?».
Edward
esitò per un istante e si strinse nelle spalle. Ovviamente non aveva
capito che ero sarcastica, così rispose serio «Se avessimo abbastanza
amici pronti a schierarsi al nostro fianco, si. Forse».
«Forse» Ripetei, come se fosse una parola amara
«Avremmo
davvero bisogno di quegli aiuti, Bella. Avremmo bisogno di amici pronti
a schierarsi con noi. Anche Alice ci ha consigliato di farlo, e sai che
lei vede nel futuro. Se lei pensa che questo ci dia una possibilità,
dobbiamo farlo».
Strinsi gli occhi finché non si
ridussero ad una fessura, guardandolo con sospetto. «Tu non mi hai
portata qui solo per farmi ragionare» Dissi lentamente «Mi hai portata
qui non appena hai saputo che farò da ambasciatrice, perché vuoi che io
negozi per voi il permesso con le ragazze-lupo di far venire qui i
vostri amici succhiasangue»
«È una questione di vita o di morte Belarda»
«Per te non direi. Non sei già morto?»
«Non ce la faremo mai così come siamo. I tuoi amici saranno massacrati e anche noi»
«I
Quileute non lasceranno mai che nei loro territori arrivino questi cosi
a massacrare innocenti! E poi quanti di loro vorranno coprirvi
rischiando la loro pellaccia dura, ora che siete criminali?»
«Non caccerebbero in zona, pensano che questo sia territorio della nostra famiglia»
«Ah, quindi siccome non li vedi mentre mangiano lontano vanno bene? Bravo bravo» lo lodai, con amara ironia
«Alcuni
amici sono vegetariani come noi, non farebbero nulla a gli umani. Tanya
e il suo clan non dovrebbero tardare, se li chiamiamo» disse Edward
«Dobbiamo essere pronti».
Scossi la testa, incredula.
«Belarda,
non dovresti vederci sempre come i cattivi» Mi disse il vampiro
lentamente, sporgendosi verso di me. D'istinto mi feci più indietro
possibile. «Non sono sempre i vampiri il problema. Non perché siamo solo
vampiri. È vero, siamo mostri, ed abbiamo perduto la nostra anima
immortale, ma a molti di noi non è successo per loro volontà, e ci sono
vampiri, persone, che stanno cercando di rimediare per quanto possono.
Non ci va riconosciuto che non ci nutriamo di esseri umani?»
«È una buona cosa» ammisi «Ma lo sai, non dipende solo da me. Ed anche se dipendesse solo da me, non credo che mi garbi l'idea»
«Per te i licantropi sono sempre i buoni, Belarda. Ma proprio come i Volturi, dipende tutto da come lo vedi».
Non ero già propensa di mio a credere al signor Cullen, ma quelle parole, apparentemente tanto ragionevoli, mi insospettirono.
«I licantropi sono ancora dei ragazzini, Edolo. Non credo pratichino giustizia sommaria come i vostri Volturi»
«Non
rimarranno per sempre dei ragazzini. Belarda, tu sei una ragazza molto
coraggiosa» il suo sorriso sghembo era irritante, davvero «Forse troppo.
So delle storie vere Belarda, che forse dovrei raccontarti per farti
capire che nessuna delle due parti sarà davvero mai sicura per te
Bella». Nel suo stile tipico, cambiò immediatamente espressione e
divenne più serio ed ombroso «E tu non sai quanto questa cosa mi
spaventi».
Lo interruppi alzando una mano.
«Ora
ho sonno. Mi racconterai queste cose quando non casco dal sonno.
Comunque mi hai appena fatto venire un'idea, e ne parlerò con i
Quileute, che potrebbe permettervi di chiamare i vostri amichetti senza
rischi. Per ora non chiamateli, vi farò sapere io»
«Oh Bella, sai, a volte mi fa impazzire non poterti leggere nel pensiero»
«Ehi, non buttare la colpa a me! Ti ho trovato già così»
«Dovrei
davvero raccontarti quella cosa a proposito dei Quileute Bella» mi
guardò, studiandomi con le iridi di un giallo profondo, come pietre di
cimofane «Però mi sembri davvero stanca. Immagino che ti riaccompagnerò a
casa. Tanto avremo altre occasioni per parlare, ora che ti sei presa
questo impegno. A meno che tu non decida di fare la cosa più sensata e
faccia marcia indietro»
«Guarda, se ci fosse il modo
di parlarvi senza vedere la tua brutta faccia lo farei subito» mi alzai
sbuffando, a braccia incrociate sul petto.
«Ci sarebbe il modo» Mi disse lui «Tu non hai qui il cellulare, vero?».
Raggelai. Oh no. Non stava dicendo sul serio. «No» Dissi, rispondendogli ed allo stesso tempo cercando di oppormi all'idea.
«Allora dammi tu il tuo numero di telefono»
«Perché tu hai qui il cellulare?».
Lui
mi scoccò un'occhiata divertita «No. Ma posso andare a prenderlo in un
batter d'occhio, e sono sicuro di poterlo ricordare a memoria. Noi
vampiri abbiamo una memoria pressoché perfetta»
«E chi ti dice che non potrei farlo anche io?» chiesi con aria di sfida, sollevando il mento.
Lui
mi continuò a guardare divertito, e dovetti arrendermi. Ma chi volevo
prendere in giro? Non avrei mai ricordato una sfilza di numeri che non
avevo mai sentito prima, soprattutto se il mio cervello era stato
avvertito in anticipo che memorizzarlo sarebbe equivalso a sentire anche
al telefono la voce del qui presente bipolare.
Sbuffai di nuovo e mi arresi, rivelandogli il mio numero. Lui mi ascoltò attento, trionfante.
In fondo già venivo fino nella casa dei mostri, non era meglio aggiornarli per cellulare che andare fino in bocca al leone?
«Ci sono novità su Alice?» Chiesi, reprimendo appena uno sbadiglio.
Edward
scosse tristemente la testa «Sparita. Anche il libro che ci avevi
consigliato di guardare non si trova di più: era di Esme e lei ricordava
benissimo dov'era, ma quando siamo andati a guardare era sparito»
«Non la biasimo. Ora puoi portarmi a casa a dormire, per favore?» chiesi stancamente.
Edward mi accontentò, e quasi riuscì a farmi vomitare l'anima anche stavolta.
Ci
trovammo nel mio giardino, alla luce della luna, in un momento di
leggero imbarazzo. Eduardo continuava ad alternare lo sguardo dei suoi
begli occhioni giallini tra me e la finestra, evidentemente cercando di
capire come procedere.
«Aspetta, qual è il problema?» Sospirai, pizzicandomi l'attaccatura del naso tra pollice ed indice.
«Sto
cercando di capire come fare a riportarti dentro. Potrei prenderti in
braccio e saltare dentro, se solo tu non avessi paura».
Mi
voltai a guardare la finestra aperta al secondo piano di casa mia.
Davvero poteva arrivarci dentro con un solo balzo? Si, si, poteva, lo
sapevo già, ma era sempre impressionante e io avevo parecchio sonno.
«Edward,
faresti un baccano d'inferno se salti dentro, dopo un salto con tutta
quella forza. E voi vampiri siete duri e rumorosi. Fate il suono dei
fulmini anche quando giocate a baseball»
«Hai ragione Belarda» ammise lui «Allora come dovremo farti rientrare in casa? Non credo tu abbia le chiavi di casa»
«Sigh. Senti, Edward, tu di solito come ci arrivi a spiarmi in camera come gli stalker pazzi?»
«Mi
basta arrampicarmi» disse Edward candidamente, additando il muro. Mi
voltai nuovamente a guardare, e non vidi nessun modo in cui ci sarebbe
potuto salire, a meno che non ci avesse affondato le dita e creato dei
gradini artificiali. La mia casa non aveva le pareti con i mattoni
scoperti e non mi sembrava di vedere appigli particolari. Forse indicava
il muro ma si arrampicava dall'albero, e poi saltava alla finestra? No,
ricordavo chiaramente nella registrazione che era salito proprio sul
muro, come un mostro aracnide.
«Okay. Allora ti basta arrampicarti» Conclusi io.
Lui mi guardò scettico «E tu?»
«E
io mi tengo da dietro, mi porti sulla schiena. Così hai le mani libere e
puoi usare le tue dita appiccicose sulla parete di casa mia»
«Sei forte abbastanza da tenerti stretta?»
«Si. Ce la faccio».
Edward
non mi contraddisse, ma annuì con aria decisa. Si abbassò sulle
ginocchia come se avesse dovuto fare l'uovo in modo tale che potessi
aggrapparmi alle sue spalle; gli strinsi le braccia al collo e le
ginocchia ai fianchi come se stessi montando un cavallo bizzoso, e il
vampiro appoggiò le mani al muro.
Guardai il fenomeno incuriosita: a questo punto volevo sapere come faceva a risalire.
Fu
come sapere che era uscita una nuova puntata di una serie che ti piace,
ma ricevere allo stesso tempo spoiler su tutto ciò che ci succede
dentro. Insomma, deludente, e senza comprendere mai davvero tutto.
Tra
l'impiccio dei suoi capelli spettinati che mi impediva parte della sua
visuale ed il fatto che le sue mani pallide si spostavano sulla parete a
velocità inumana, non riuscii affatto a capire come accidente avesse
fatto.
Una volta arrivati si voltò di schiena e si
riabbassò nella posizione da cova uova, in modo tale che potessi
scivolargli cautamente giù dalla schiena fino al pavimento della mia
camera. La luce argentea della luna illuminava gli occhi da spiritato di
Dracula, che si era prevedibilmente allarmato nel vedere quella
creatura apparire ancora nella nostra camera.
Avevo
una vaga voglia di risalire sulla schiena di Edward e chiedergli di
rifarlo più lentamente, magari tre o quattro volte ancora, ma ero
davvero stanca e non volevo toccarlo più del necessario.
«Ti ho riportato nelle tue camere, principessa» Mi disse, accompagnando tutto con un sorriso beffardo
«Bravo,
ora riporta le chiappe a casa e non spaventare tutti i gatti»
sbadigliai, senza mettere davvero calore in quello che stavo dicendo
«Non accettare le sacche di sangue dagli sconosciuti e non salire sulle
auto degli sterminatori di vampiri. O fai tutte queste cose se può farti
piacere»
«Oh, Belarda, perché sei così ostile? Sono stato un gentiluomo»
«Perché
sembra che tu ti stia calmando un poco, quindi continuo su questa
strada a non darti corda, anche perché ce n'è di strada da fare. E poi
avevamo concordato di essere sinceri l'uno con l'altra». Cercai di
trattenermi, ma sbadigliai ancora.
Finalmente qualcuno dei neuroni morti di Edward fece contatto e capì che volevo che se ne andasse e mi lasciasse in pace.
«Buonanotte
Belarda. Ti auguro dolci sogni» Mi disse in tono mellifluo, cercando di
scoccarmi un sorriso affascinante. Io ricambiai con un cenno della
mano, quasi per abitudine, e vidi la sua figura scivolare via in un
battito di ciglia. Dracula non si rilassò che dopo qualche minuto, il
suo pelo gonfio che si ammansì poco a poco.
Strisciai
sotto le coperte sentendomi esausta, indolenzita come se avessi corso
la maratona e vagamente dispotica. Dracula mi si accucciò accanto,
ancora troppo agitato per fare le fusa come faceva di solito, ma
decisamente più tranquillo.
«Dormi, signor Dentini. Domani è un giorno nuovo, e lo dobbiamo affrontare con grinta».
Fu
io a dare il buon esempio ed addormentarmi per prima, facendomi
avvolgere in fretta dalle braccia accoglienti di Morfeo. L'ultima cosa
che vidi prima di chiudere gli occhi fu che papà aveva spostato la mia
collezione di libri, scompattando la mia collezione di volumi, rilegati
di blu, di Shakespeare. Chissà che non fosse una buona idea rileggere
per la cinquecentosessantatreesima volta Romeo e Giulietta.
Poi chiusi gli occhi, e non appena arrivò il buio, mi addormentai.
Il giorno dopo venni risvegliati dal vbzzz elettrico
del mio cellulare. La sera prima avevo scordato di spegnerlo, così
quando lo presi in mano, se non altro per non lasciarlo acceso, vidi tre
cose. La prima era che erano circa le cinque e mezzo del mattino, cioè
poche ore dopo che avevo chiesto di essere lasciata in pace. La seconda
era che sulla parte alta del mio cellulare stava lampeggiando una
piccola spia rossa, e una notifica arancio sullo schermo mi stava
avvertendo che avevo il due per cento di batteria, e che il mio
cellulare era andato da solo in modalità risparmio energetico. Bravo
ragazzo. La terza cosa era che il messaggio era di un numero
sconosciuto, anzi, i messaggi, perché stavano continuando ad arrivarne a
raffica.
Picchiettai col pollice sullo schermo,
battendo le palpebre per abituare i miei poveri occhi, chiusi fino a
qualche secondo fa, alla luminosità del display.
“Visto una lumaca oggi... effervescente” Recitava
il primo messaggio. Spostai una ciocca di capelli che mi era finita
quasi in bocca mentre dormivo, rileggendo il messaggio per assicurarmi
di aver letto bene. Avevo letto bene.
Sotto c'era una
compilation di foto della stessa lumaca, una cosina dal corpo giallo ed
umidiccio, che sembrava abbastanza snella e compatta come lumaca ad
onor del vero, che spuntava da dentro un guscetto liscio e marrone con
una banda spiralata più scura. Nell'ultima foto la lumaca – che non
capivo dove fosse posata, forse su un muretto, ma non stava sull'erba di
certo – era a contatto con un dito dall'unghia curatissima, bianco come
carta e terribilmente familiare. Oh no.
La serie di
messaggi era intervallata da faccine che ridevano fino alle lacrime e
cuori rossi, come se l'incontro con una lumaca avesse estasiato il mio
interlocutore.
Il gasteropode in questione era sicuramente carino, ma...
“Che problemi hai? Sono le cinque del mattino >:|” Inviai, pestando furiosamente sul display.
“Ti sei svegliata”. La risposta arrivò immediata, con tanto di faccina che sorrideva ed una che spediva un bacetto all'osservatore. Rabbrividii.
Prima
che potessi mandarlo a quel paese, mi mandò un'immagine brillantinata
ed a colori troppo saturi di un sole che stava sorgendo su una spiaggia,
con una scritta in arancio che strillava “BUONGIORNO!!” al malcapitato
lettore. Il font scelto rassomigliava in modo inquietante ai croccantini
di Dracula quando li bagnavamo con acqua o latte, per renderli più
morbidi ed appetibili.
“Si. Buongiorno. Ma continuano ad essere le cinque del mattino”
“Oh ti ho disturbata??”. La tristezza di Edward era espressa da una faccetta gialla dall'aria mortificata a cui piangeva un occhio solo.
“Si”
“Oh mi dispiace molto...non pensavo sennò non mi sarei permesso...”
“Ok. Torno a dormire” Scrissi in fretta, senza perdermi in emoticon “Non scrivermi per almeno quattro ore a meno che non sia di vitale importanza, okay?”
“Okok buonanotte dolci sogni”.
Sbuffai. Spensi del tutto il cellulare e mi concessi di tornare a dormire.
C'è
un che di meraviglioso di svegliarsi nella calma della tua cameretta e
sapere che puoi tornare a dormire quando vuoi e goderti magari anche un
paio d'ore di sonno, o alzarti e andare in giro. Mi sentii libera dai
vincoli e leggera come un palloncino fluttuante, ma una sorta di libertà
a scadenza, come se avessi saputo che venuta un'ora ragionevole sarei
dovuta rientrare nella routine solita.
Abbracciai il cuscino, ci affondai la guancia e mi riaddormentai.
Qualche ora dopo mi risvegliai accompagnata da un suono molto, molto più piacevole: i miagolii di Dracula, che aveva fame.
«Mmeeee»
«Si, buongiorno piccolo» Sbadigliai e mi stiracchiai, sentendo con
piacere i piccoli schiocchi derivati. Mi sentii subito più sciolta e con
le fibre muscolari un po' più calde, con mio piacere.
Per fortuna non sentivo di aver risentito delle ore di sonno che mi erano state rubate, ed ero anzi riposata e in forma.
Mi preparai in fretta, e poi ancora calda dopo la doccia indossai una
maglietta comoda con dei disegni di fiori stilizzati che neppure
ricordavo di avere nell'armadio, pantaloni scuri e pantofole.
Nel cambiarmi mi resi conto di avere avuto tutto il tempo delle chiavi
nella tasca del pigiama, e che quindi l'intera pantomima della sera
precedente con Edward non era servita proprio a niente. Iniziavo a
perdere colpi, ma almeno ero più che giustificata dalla situazione
disperata e surreale alla quale mi stavo preparando. Quindi, vabbè.
Mi strinsi nelle spalle ed uscii dalla mia camera.
«Buongiorno, papà!» Esclamai allegramente mentre scendevo le scale;
Dracula mi seguiva a pochi passi di distanza, rimbalzando da un gradino
all'altro. Papà non mi rispose, ma davo per scontato che non mi avesse
sentita.
Mi incamminai verso la cucina per dare da
mangiare per prima cosa a Dracula e trovai Carlo lì, seduto al tavolo e
vestito con l'uniforme da poliziotto, che mi guardava serio ed a braccia
conserte. Era un po' sprofondato sulla sedia, come se mi avesse
aspettato nella stessa posa abbastanza da stancarsi. Non aveva neppure
Lillo addosso, dato che aveva riempito le ciotole dei gatti prima che
potessi farlo io. Dracula lasciò il mio fianco e si accomodò accanto al
suo fratellino adottivo, emettendo fusa a tutta forza.
Mi preoccupai un po', vedendo papà così. Per qualche motivo che al
momento mi sfuggiva aveva anche preparato delle tazzone di latte e
cereali per entrambi, riempiendole come aveva fatto delle ciotole con i
croccantini per i nostri animali, e cioè un po' troppo.
«Buongiorno» Ripetei, cauta, tirando indietro la sedia.
Lui non rispose di nuovo, seguendomi con gli occhi mentre mi accomodavo
ed avvicinavo la sedia al tavolo. Volevo chiedergli che avesse, ma non
sapevo bene che fosse successo. Mi allungai a prendere il cucchiaio e
cominciai a mangiare.
Papà non toccò la tazza che
aveva di fronte e non parlò finché non arrivai alla terza cucchiaiata,
poi sbottò «Sei tranquilla, eh?».
Aggrottai le sopracciglia e mi raddrizzai un po'. Okay, c'era qualcosa che non andava davvero.
«Mica tanto adesso» Risposi, indicandolo con il cucchiaio «Perché stai facendo il poliziotto cattivo?»
«Dove sei stata?» mi chiese a bruciapelo, ignorando le mie proteste
«Te l'ho detto. Sono stata da...». Ammutolii e rimasi con il cucchiaino a mezz'aria, puntato contro il petto di papà.
Avevo fatto un grande, madornale errore. Come si poteva inventare un
piano per non farsi sgamare e poi topparlo in modo così spettacolare da
sembrare più sospetta che se non lo si fosse ideato? Come avevo potuto
scordarmi un passo così importante? Ma ancora peggio, come avevo potuto
dare un barile così a Mike, che c'era sempre stato per me?
Mike aveva guidato per chilometri solo per venirmi a prendere, e io ricambiavo così.
Ancora più che lo sguardo di rimprovero di mio padre, che di certo non
aiutava, il pensiero mi fece sentire una criminale. Non sono mai stata
una grande bugiarda né una fantastica attrice, quindi ero sicura che il
mio viso lasciasse ormai trasparire tutta la mia colpevolezza.
Mio padre la notò subito – era un poliziotto, per Diana – e si
raddrizzò, dandomi l'impressione di torreggiare su di me anche
dall'altro lato del tavolo.
«Già» Disse «Dove sei stata, Belarda?»
«Io... io, uhm...».
Inutile. Per quanto mi fossi sforzata di essere intelligente in questi
mesi, di essere utile e di escogitare sempre stratagemmi che potessero
salvarmi le chiappe in mezzo a questi mostri sovrannaturali, non mi ero
mai la briga di inventarmi qualcosa di credibile nel caso avessi dovuto
fronteggiare mio padre. Non mi ero mai neanche presa la briga di
preoccuparmi del fatto che mio padre avesse potuto notare qualcosa di
strano in me.
E lui era l'ispettore capo della
polizia di Forks. Avrei dovuto immaginare che non fosse arrivato a quel
posto corrompendo i suoi superiori con pesci gratis.
Non avevo una scusa intelligente da dargli.
Una ragazza ad un certo punto non ce la fa più, esaurisce le risorse.
Erano stati mesi stressanti sotto quasi tutti i punti di vista, e di
solito i momenti di gioia e tranquillità che riuscivo a godermi più
possibile erano piccoli intervalli prima che una minaccia peggiore si
abbattesse su di me.
No, stavo cercando di
giustificarmi. La verità era che stavo continuando a balbettare “ehm,
io...” nella speranza di prendere tempo con papà, ma non sapevo cosa
fare.
All'ennesimo “io, ehm, uhhh...” che lasciò la mia bocca, l'ispettore Cigna decise che era il suo momento di parlare.
«Io
non voglio sapere dove vai, Belarda, lo sai» Disse Carlo, sollevando le
mani «Ho sempre cercato di essere un bravo papà, di non impicciarmi
degli affari tuoi e di lasciarti libera di fare le tue esperienze senza
sentirti sorvegliata. Quindi vorrei capire perché hai sentito il bisogno
di mentire a me e al tuo amico».
Avrei voluto
chiedergli come mai Mike non mi avesse richiamata ed avesse chiamato
lui, ma avevo paura che muovermi in qualunque territorio che non fosse
neutro o difensivo sarebbe equivalso in qualche modo a mostrarmi un po'
colpevole.
Ci provai, mi buttai.
«Non
ho mentito» Sussurrai, sperando che bastasse a nascondere la bugia
nella mia voce «Sono stati giorni... un po' pesanti per me. Non sono
andata all'appuntamento di Mike perché me lo sono scordata, avevo anche
un altro appuntamento e si sono accavallati, così poi sono finita per
andare solo ad uno»
«E dove saresti andata?»
«Giù
a La Push. A trovare le mie amiche». Non era una bugia, non proprio.
L'orario era scombussolato e stavo cercando di omettere le parti più
importanti, ma la mia voce sembrava un pizzico più sincera laddove c'era
un po' di verità da dire.
«E se le chiamassi adesso loro confermerebbero?»
«Si»
«E
allora perché ci hai messo così tanto a dirmi questa cosa?». Io
arrossii un po'. Già, perché ci avevo messo così tanto? Perché ero in
grado di far finta di niente con i vampiracci e mostri vari e mi sentivo
così ansiosa con domande così facili da eludere, solo perché le faceva
papà?
«Perché mi sentivo in colpa» Dissi, e il mio
tono suonò finalmente sincero. Anche questa era una mezza verità. Beh,
un tre quarti di verità. Guardai Carlo da sotto le ciglia, sentendomi
una bimba disubbidiente. «Mi è dispiaciuto tanto non essermi ricordata
dell'appuntamento con Mike. Sarebbe stato un pomeriggio divertente, e
lui c'è sempre per me, e io gli ho dato buca, e mi è dispiaciuto».
Papà rimase serio, ma la tensione delle sue spalle si sciolse un po'.
«Belarda,
tu non me la conti giusta» Mi disse «Non so perché hai sentito di
dovermi mentire, ma non me la conti giusta. Che sta succedendo?»
«Non
ti pare di esagerare?» Chiesi gentilmente. Non aveva prove, doveva
lasciar cadere l'argomento se solo avessi resistito senza gaffe.
«No»
«Ho
solo saltato un appuntamento con un amico perché la mia memoria è un
colino. Non hai mai dato buca a nessuno senza volerlo? Di cosa sono
accusata, ispettore capo Cigna? Addirittura in divisa a tavola?» chiesi,
in tono più giocoso. C'era ancora qualcosa di rigido nella mia voce, ma
sentirsi chiamato così dalla figlia sembrò far sentire un po' ridicolo
papà, che si concentrò sulla sua tazza di cereali senza rispondermi.
Non mi piaceva cercare di raggirare mio padre, ma per quanto volessi farlo era fuori discussione cedere e spifferargli tutto.
Finii in fretta di fare colazione, sentendo il suo sguardo addosso, poi cercai di filarmela più veloce che potevo.
Cosa
avevo da fare oggi? Ah si, parlare delle nuove informazioni ai Quileute
e delle mie idee su come sfruttare la presenza degli amici dei Cullen
contro i Volturi con Ayita. Dovevo assolutamente scusarmi con Mike e
fare qualcosa per farmi perdonare.
«Dove vai?» Chiese
papà alle mie spalle. Mi voltai e lo vidi a gambe divaricate e braccia
conserte, con Lillo tra i piedi che ondeggiava lentamente la coda. Gli
mancavano solo gli occhiali da sole e una sigaretta che pendeva dalle
labbra per completare il quadretto.
«Dalle Quileute. Se non ti fidi posso chiamarti appena arrivo e farti salutare da tutti. Forse c'è anche Billy» Risposi
«E Dracula?»
«Ho
intenzione di girare, quindi forse sarebbe meglio lasciarlo qui con te,
a meno che tu non abbia da lavorare» gettai un'occhiata alla sua
uniforme, dubbiosa
«No, puoi lasciarlo con me, va bene» acconsentì lui, ma tornò subito alla carica «E Mike?».
Sollevai il cellulare e lo agitai un po' «Lo chiamo prima possibile. Voglio mettere le cose apposto con lui»
«Non chiamarlo mentre guidi»
«Certo, papà»
«E ricordati di chiamare anche i tuoi altri amici»
«Tutti subito? E a loro che ho fatto?»
«No,
dico, in generale. Devi mantenere un equilibrio. Non puoi passare così
tanto tempo con Jacob ed i Quileute da scordarti di tutto il resto dei
tuoi amici»
«Ookay?» dissi, senza poter fare a meno
di suonare un po' interrogativa «Li abbraccerò, li bacerò su tutti e due
le guance e dirò loro uno ad uno che gli voglio bene. Okay?»
«Si» sbuffò lui
«Buona giornata, papà»
«Buona giornata, Belarda».
Salii
sul Chevy stranita, ed anche un po' rattristata da quel brutto inizio
di giornata. Se il buon giorno si vede dal mattino... No, fermai il
pensiero lì. Dovevo cercare di essere positiva.
I
brutti inizi di giornata mi risucchiavano le energie, e l'ottimismo mi
richiede energie, ma ci provai comunque: mi sforzai di notare tutte le
cose belle che avevo attorno e di ricordare spezzoni di show o frasi da
libri che mi piacevano particolarmente.
Ancora con
l'auto sul vialetto, mantenendo la promessa a papà di chiamare Mike
mentre non ero alla guida, acciuffai il cellulare. Mentre facevo
colazione mi era arrivato un messaggio da un numero che, ahimè, non
avevo ancora memorizzato, ma sapevo benissimo chi era.
Aprii stancamente la chat.
Un
messaggio vocale di quattordici minuti e trentasette secondi
campeggiava sullo schermo, accompagnato dalla foto di un Edward che
guardava la fotocamera cercando di fare il misterioso, racchiusa in un
semplice cerchio.
«No» Dissi ad alta voce, chiusi l'applicazione e composi il numero di Mike.
Quando Mike rispose, la sua voce era stanca e strascicata.
«Pronto, chi è?»
«Sono Belarda, Mike»
«Belarda!» il suo tono smorto ebbe un breve guizzo «Ciao»
«Ciao, Mike. Senti, io... mi dispiace tantissimo di averti dato buca, ieri. Non volevo»
«Sul serio?» il suo tono era incredulo
«Certo. Certo che mi dispiace, sul serio sul serio»
«Ma
poi... me lo stai dicendo solo ora... pensavo di averti offesa, di aver
fatto qualcosa di strambo, non lo so, tipo inviarti quelle stupide
frasi...»
«Ma sei scemo? Mike, non smetto mica di
parlarti così, di punto in bianco, solo per una stupida frase nonsense!
Che poi, tra parentesi, non è che mi dispiacciono troppo. Sono buffe. Va
tutto bene Mike»
«Quindi è tutto ok!» il suo tono si stava animando sempre di più
«Si,
certo. Volevo chiederti scusa, te l'ho detto, mi sento un vermino
verminoso a non averti chiamato prima, ma è stata una giornata
terribile»
«Che è successo?» mi interruppe lui, immediatamente allarmato
«Oh,
niente per cui debba preoccuparti» e invece si che avrebbe dovuto
preoccuparsi, perché in zona stava per esserci un'invasione di vampiri
assassini, ma mica potevo dirglielo «Solo cose fra ragazze. Cose che non
vorresti sapere, roba di mestruazioni e...»
«Alt alt. Stop. Non mi dire altre cose»
«Ok»
«Comunque va bene. Ti perdono» disse solenne «Però mi devi concedere di vederci al più presto»
«Lo farò»
«E allora quando? Eh, quando?»
«Uhm... allora... ora non posso, sto andando alla riserva, a La Push. Ma potremmo vederci stasera, ti va?»
«Stasera?»
«Si. Magari possiamo andare al cinema insieme, io tu e Jessica. Scegli un bel film!»
«Fico! D'accordo. Allora ne parlo con Jessica. Possiamo vedere un film di arti marziali?»
«Non penso che ne mandino a rotazione, al cinema»
«Tu lascia fare a me, che uno lo trovo»
«Fai come ti pare. Ma se poi Jessica ti calciorota via la testa, non dirmi che non ti avevo avvertito»
«Già, penso che prima dovrei consultarla anche sul film»
«Allora vai, su!»
«Spero proprio che lei non voglia vedere un film d'amore» borbottò lui «Ciao, Belà»
«Ciao Mikò».
Chiusi
la chiamata e mi misi alla guida. Mentre usciva dal vialetto, feci
mente locale: mi stavo scordando niente, stavolta? Le chiavi le avevo in
tasca. Non mi sembrava di aver dimenticato nessun altro appuntamento.
Il telefono l'avevo in tasca con le chiavi, anche se in effetti sarebbe
stato meglio metterlo in una tasca separata per non rischiare di
graffiarlo tutto: eseguii il compito con una mano sola, lasciandomi
cadere le chiavi che si infilarono sotto al sedile. Imprecai piano,
quasi dolcemente, e le lasciai dov'erano imponendo al mio cervello di
tirarle fuori da là sotto quando fossi tornata a casa (anche perché
sennò sarei rimasta fuori).
Quando arrivai alla
riserva, nei pressi della casetta delle Quileute, la prima cosa che vidi
fu un cane. O meglio, una specie di miniatura di cane, perché l'animale
era grande più o meno quanto un barattolo medio di Nutella.
Scesi
dalla macchina e lo guardai negli occhi. Lui mi restituì lo sguardo in
modo vacuo. Era un cucciolo dal pelo cortissimo, nero e lucido, con un
collarino che molto probabilmente era in realtà un braccialetto di
perline comprato ad una bancarella. Se ne stava seduto su una chiazza di
muschio, immobile.
Mi avvicinai a lui per fargli una carezza e lui scoprì i minuscoli dentini nel ringhio più adorabile che avessi mai visto.
Lara uscì dalla casetta
«Eccoti qua, Belarda! Vedo che hai incontrato la nostra nuova arrivata, Pimba»
«Pimba» ripetei «È un nome quileute?»
«Per niente» rise Lara «La lingua Quileute non usa i suoni nasali, ricordi?»
«Giusto. Non gli sto simpatica»
«Non
sei tu» Lara scosse la testa, divertita «È l'odore di vampiri che hai
addosso. Lo sento pure io, figuriamoci se non lo sente lei. Starà
credendo che vuoi succhiarle il sangue. Ma Pimba è molto coraggiosa.
Dai, vieni dentro, stavamo giocando a D'nD».
Lara mi
fece strada. Detestai il non poter toccare l'adorabile cagnolina perché a
quanto pareva puzzavo ancora come Edward Cullen.
Dentro
le ragazze-lupo erano tutte raccolte intorno a un tavolo ingombro di
carte, manuali, pezzetti di carta strappati, monetine finte e un paio di
miniature che rappresentavano degli occhietti brutti con i tentacoli.
«Belarda»
Mi salutò compostamente Ayita, mentre le altre agitavano mani, schede
fotocopiate o bicchieri di birra «Eccoti qui. Stavamo giusto passando
attraverso il passo di fuoco, dove in teoria dovrebbe esserci la casa
del tuo personaggio. Vuoi unirti a noi?»
«Lo farei volentierissimo» dissi, titubante «Ma prima ho brutte notizie da darvi immediatamente».
Le
ragazze-lupo si fecero serie. Lara si sedette al suo posto,
stringendosi nelle spalle, e mise a posto un fascio di carte prima di
rompere il silenzio
«Allora, dicci tutto!».
Mi
sedetti sull'unica sedia libera, accostandola al tavolo, e finalmente
raccontai loro della guardia dei Volturi, di Demetri il segugio
infallibile, della capacità del loro capo Aro di leggere nel pensiero di
chiunque toccasse e, soprattutto, dei due demoniaci gemelli Alec e
Jane. Le ragazze erano inorridite. Aida aveva assunto una sfumatura
vagamente verdastra, come se fosse sul punto di vomitare.
«E
ora che si fa, capo?» Chiese Omaha ad Ayita, stritolando la miniatura
di uno degli occhietti tentacolosi «Non avevamo messo in conto nessuna
di queste cose nelle nostre strategie».
Ayita rimase
in silenzio per un attimo. Tutti la guardavamo. Lei bevve un sorso di
birra, con lo sguardo scuro, e prese un profondo respiro. I suoi occhi
percorsero tutto il tavolo, guardando ad uno ad uno i volti di tutte le
donne presenti.
«Per una minaccia straordinaria»
Disse «Avremo bisogno di un aiuto straordinario. E su questo non ci
piove, non abbiamo neanche bisogno di chiedere il permesso a Sam per
farlo, sarà d'accordo con noi: evocheremo il Guardiano Nero»
«Il Guardiano Nero?» domandai sottovoce a Lara
«Undertaker» mi spiegò lei, brevemente.
Battei le palpebre. Forse avevo capito male. Dovevo aver capito male.
Note: l'idea di Edward che manda un messaggio a Belarda riguardo ad una lumaca e relativa rappresentazione grafica provengono dal fichissimo blog twilightrenaissance su Tumblr.
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