venerdì 31 agosto 2018

Sunset 64 - Urgono provvedimenti drastici





«Devo imparare il più possibile. Tutto quello che riesci a farmi entrare in testa nell'arco del prossimo mese» Mormorai.
Edward ignorò le mie parole.
E dopo, chi? Tanto valeva buttar giù un piano completo, così se fossi sopravvissuta ad Alec – rabbrividii solamente a pensare all'alternativa – avrei potuto decidere se ritirarmi in fretta o sferrare un nuovo attacco. Cercai di pensare ad un'altra situazione in cui il mio cranio insondabile rappresentasse un vantaggio, ma non sapevo abbastanza di ciò che facevano gli altri membri del corpo di guardia. Così chiesi ad Edward di parlarmi di qualche altro vampiro reclutato dai Volturi e lui, forse per spaventarmi, mi accontentò.
Mi parlò di un certo Felix, che a giudicare dalla sua descrizione era un guerriero grosso e decisamente fuori dalla mia portata: da quel punto di vista ci avrebbe fatto comodo avere con noi Emmett per un corpo a corpo, ma pensai che un paio di Quileute avrebbero potuto prendere il posto del più massiccio dei Cullen. Per il resto, e qui venivano le brutte notizie, la guardia dei Volturi era praticamente sconosciuta, a parte un certo Demetri.
Cercai di mantenere un'espressione impassibile mentre Edward mi raccontava quanto fosse in gamba questo Demetri: altrimenti non sarebbe sopravvissuto tanto a lungo, sempre in prima linea. E doveva essere uno di quelli che guidavano l'attacco, mi spiegò, visto che era un segugio. Il numero uno al mondo, senza dubbio. Se ce ne fosse stato uno migliore, i Volturi l'avrebbero sostituito.
Aro non amava le seconde scelte.
«Se non fosse per Demetri, potremmo darci tutti alla fuga» Mi disse Edward con un sorriso amaro «I superstiti, almeno».
E se Demetri non fosse esistito, Alice avrebbe potuto salvarsi una volta per tutte. Eppure – e il pensiero mi fece corrugare la fronte – Alice era scappata. Se Aro era in grado di violare la mente di chiunque e leggerne i pensieri come un uomo comune aprirebbe un libro e ne sfoglierebbe le pagine, i Volturi avrebbero saputo all'istante quanti di loro mancavano e perché. E Demetri l'avrebbe trovata. Alice aveva bisogno di un posto molto, molto sicuro se voleva nascondersi da un segugio simile.
Era quello che aveva visto Alice con il suo potere, un posto sicuro? E la disfatta totale del suo clan? Era per questo che aveva colto la prima occasione al volo ed era scappata?
«Demetri...» Esordii
«Demetri è mio» Replicò Edward secco, con voce tesa. Lo guardai di sottecchi e intravidi un'espressione crudele.
«E chi te lo tocca?».
Sulle prime non rispose. «Per Alice. È il solo modo che ho di ringraziarla per gli ultimi cinquant'anni» Mormorò alla fine. Non si rendeva conto di quanto non ci capissi un accidente, visto che avevo da poco appreso dell'esistenza di questo Demetri, ma passai oltre.
«Quindi tutti questi Volturi hanno poteri offensivi potentissimi che ci fanno sparire con un soffietto dal naso?» Chiesi, non proprio rassicurata dall'idea.
Il vampiro scosse la testa, i capelli bronzei si spettinarono ancora di più. Divennero più folli.
«Non tutti coloro che entrano nel corpo di guardia dei Volturi hanno poteri offensivi. Persino quello di Alec non è offensivo in senso stretto, ma sono tante le abilità speciali che possono stuzzicare Aro. Molte delle informazioni che sono adesso in nostro possesso sui Volturi vengono, più che da Carlisle, che rimase con loro solo agli inizi, da un nostro amico di nome Eleazar. Lui sa tutto dei Volturi. Era uno di loro».
Mi lasciai sfuggire un sibilo. «Ma che razza di gente frequentate? E voi volete portare questi vicino a Forks, a mangiare persone umane?».
Edward aveva assunto un'espressione più dolce ora, e accennava un sorriso «Eleazar è una persona molto gentile. Non si trovava granché bene con i Volturi, ma rispettava la legge e capiva la necessità di farla rispettare. Sentiva di contribuire ad un bene comune. Non ha rimorsi per il tempo trascorso con loro; tuttavia, l'incontro con Carmen...»
«Con chi?»
«... gli ha fatto capire quale fosse il suo posto nel mondo. Si somigliano molto, entrambi sono vampiri compassionevoli». Sorrise di nuovo. A me sembrava come dire “terrorista gentile”, ma vabbé. Forse ero un po' prevenuta. «Hanno conosciuto Tanya e le sue sorelle, e non hanno mai provato un rimpianto. Sono soddisfatti di questo stile di vita. Anche se non avessero incontrato Tanya, credo che avrebbero trovato da soli un modo per vivere senza sangue umano»
«Ah. Quindi è un altro... vegetariano?»
«Si. Come noi»
«Ma perché dici vegetariano? È come dire di aver fatto il pollo vegano con i finocchi, non ha senso. Di fatto bevi sempre sangue animale, mica vellutate di carota, no?».
Ero confusa, le immagini nella mia testa facevano a pugni fra loro. Un soldato dei Volturi che conosce la compassione? La carbonara senza carne?
«Ehm, Eleazar non era un loro guerriero in senso stretto. Possedeva un dono che i Volturi trovavano conveniente»
«E cioè?»
«Ha la capacità di riconoscere immediatamente le doti particolari degli altri, i doni esclusivi di alcuni vampiri» spiegò, in tono da saputello «Gli basta trovarsi a una certa distanza da loro. Un requisito molto utile, in battaglia. Aro scopriva subito se fra gli avversari c'era qualcuno che potesse riservare qualche sorpresa, ma capitava di rado: bisognava avere qualità davvero eccellenti per mettere in difficoltà i Volturi, anche solo per pochi istanti. Più che altro serviva a risparmiare la vita a qualcuno che poteva tornargli utile. Il dono di Eleazar funziona, entro certi limiti, anche con gli umani, ma con loro deve concentrarsi molto perché il talento latente è nebuloso. Perciò Aro lo usava per esaminare quelli che volevano unirsi a lui, per vedere se possedessero potenzialità interessanti. Ad Aro è dispiaciuto che Eleazar se ne sia andato»
«Ma dimmi una cosa»
«Certo, Bella»
«Perché cavolo mi hai raccontato questa cosa se tanto lui non è né tra gli alleati né tra i nemici? Mamma mia, sei venuto solo a farmi perdere tempo?»
«Certo che no, Bella»
«Almeno dimmi la parte importante della storia. Al tuo amico l'hanno lasciato andare così, come se niente fosse?».
Il sorriso di Edward si fece più cupo, un po' obliquo. Dato che già solitamente sorrideva sghembo, aveva una specie di stanghetta diagonale in faccia, da qualche parte sotto il naso. «I Volturi non sono sempre i cattivi della situazione, come ti appaiono. Sono il fondamento stesso della nostra civiltà e della pace. Chi si arruola nel corpo di guardia sceglie di votarsi a essi. È un grande onore farne parti; tutti ne sono orgogliosi, nessuno viene costretto contro la propria volontà».
Guardai a terra, accigliata.
«Passano per crudeli e spietati solo tra i criminali, Bella»
«Criminali... come dei ragazzini la cui colpa è discendere da stirpi magiche? O criminali come voi?»
«Noi non siamo criminali»
«Certo. Molto convincente. Perché non glielo dici? Pensi che riusciremo a fermarli per farti ascoltare?».
Edward esitò per un istante e si strinse nelle spalle. Ovviamente non aveva capito che ero sarcastica, così rispose serio «Se avessimo abbastanza amici pronti a schierarsi al nostro fianco, si. Forse».
«Forse» Ripetei, come se fosse una parola amara
«Avremmo davvero bisogno di quegli aiuti, Bella. Avremmo bisogno di amici pronti a schierarsi con noi. Anche Alice ci ha consigliato di farlo, e sai che lei vede nel futuro. Se lei pensa che questo ci dia una possibilità, dobbiamo farlo».
Strinsi gli occhi finché non si ridussero ad una fessura, guardandolo con sospetto. «Tu non mi hai portata qui solo per farmi ragionare» Dissi lentamente «Mi hai portata qui non appena hai saputo che farò da ambasciatrice, perché vuoi che io negozi per voi il permesso con le ragazze-lupo di far venire qui i vostri amici succhiasangue»
«È una questione di vita o di morte Belarda»
«Per te non direi. Non sei già morto?»
«Non ce la faremo mai così come siamo. I tuoi amici saranno massacrati e anche noi»
«I Quileute non lasceranno mai che nei loro territori arrivino questi cosi a massacrare innocenti! E poi quanti di loro vorranno coprirvi rischiando la loro pellaccia dura, ora che siete criminali?»
«Non caccerebbero in zona, pensano che questo sia territorio della nostra famiglia»
«Ah, quindi siccome non li vedi mentre mangiano lontano vanno bene? Bravo bravo» lo lodai, con amara ironia
«Alcuni amici sono vegetariani come noi, non farebbero nulla a gli umani. Tanya e il suo clan non dovrebbero tardare, se li chiamiamo» disse Edward «Dobbiamo essere pronti».
Scossi la testa, incredula.
«Belarda, non dovresti vederci sempre come i cattivi» Mi disse il vampiro lentamente, sporgendosi verso di me. D'istinto mi feci più indietro possibile. «Non sono sempre i vampiri il problema. Non perché siamo solo vampiri. È vero, siamo mostri, ed abbiamo perduto la nostra anima immortale, ma a molti di noi non è successo per loro volontà, e ci sono vampiri, persone, che stanno cercando di rimediare per quanto possono. Non ci va riconosciuto che non ci nutriamo di esseri umani?»
«È una buona cosa» ammisi «Ma lo sai, non dipende solo da me. Ed anche se dipendesse solo da me, non credo che mi garbi l'idea»
«Per te i licantropi sono sempre i buoni, Belarda. Ma proprio come i Volturi, dipende tutto da come lo vedi».
Non ero già propensa di mio a credere al signor Cullen, ma quelle parole, apparentemente tanto ragionevoli, mi insospettirono.
«I licantropi sono ancora dei ragazzini, Edolo. Non credo pratichino giustizia sommaria come i vostri Volturi»
«Non rimarranno per sempre dei ragazzini. Belarda, tu sei una ragazza molto coraggiosa» il suo sorriso sghembo era irritante, davvero «Forse troppo. So delle storie vere Belarda, che forse dovrei raccontarti per farti capire che nessuna delle due parti sarà davvero mai sicura per te Bella». Nel suo stile tipico, cambiò immediatamente espressione e divenne più serio ed ombroso «E tu non sai quanto questa cosa mi spaventi».
Lo interruppi alzando una mano.
«Ora ho sonno. Mi racconterai queste cose quando non casco dal sonno. Comunque mi hai appena fatto venire un'idea, e ne parlerò con i Quileute, che potrebbe permettervi di chiamare i vostri amichetti senza rischi. Per ora non chiamateli, vi farò sapere io»
«Oh Bella, sai, a volte mi fa impazzire non poterti leggere nel pensiero»
«Ehi, non buttare la colpa a me! Ti ho trovato già così»
«Dovrei davvero raccontarti quella cosa a proposito dei Quileute Bella» mi guardò, studiandomi con le iridi di un giallo profondo, come pietre di cimofane «Però mi sembri davvero stanca. Immagino che ti riaccompagnerò a casa. Tanto avremo altre occasioni per parlare, ora che ti sei presa questo impegno. A meno che tu non decida di fare la cosa più sensata e faccia marcia indietro»
«Guarda, se ci fosse il modo di parlarvi senza vedere la tua brutta faccia lo farei subito» mi alzai sbuffando, a braccia incrociate sul petto.
«Ci sarebbe il modo» Mi disse lui «Tu non hai qui il cellulare, vero?».
Raggelai. Oh no. Non stava dicendo sul serio. «No» Dissi, rispondendogli ed allo stesso tempo cercando di oppormi all'idea.
«Allora dammi tu il tuo numero di telefono»
«Perché tu hai qui il cellulare?».
Lui mi scoccò un'occhiata divertita «No. Ma posso andare a prenderlo in un batter d'occhio, e sono sicuro di poterlo ricordare a memoria. Noi vampiri abbiamo una memoria pressoché perfetta»
«E chi ti dice che non potrei farlo anche io?» chiesi con aria di sfida, sollevando il mento.
Lui mi continuò a guardare divertito, e dovetti arrendermi. Ma chi volevo prendere in giro? Non avrei mai ricordato una sfilza di numeri che non avevo mai sentito prima, soprattutto se il mio cervello era stato avvertito in anticipo che memorizzarlo sarebbe equivalso a sentire anche al telefono la voce del qui presente bipolare.
Sbuffai di nuovo e mi arresi, rivelandogli il mio numero. Lui mi ascoltò attento, trionfante.
In fondo già venivo fino nella casa dei mostri, non era meglio aggiornarli per cellulare che andare fino in bocca al leone?
«Ci sono novità su Alice?» Chiesi, reprimendo appena uno sbadiglio.
Edward scosse tristemente la testa «Sparita. Anche il libro che ci avevi consigliato di guardare non si trova di più: era di Esme e lei ricordava benissimo dov'era, ma quando siamo andati a guardare era sparito»
«Non la biasimo. Ora puoi portarmi a casa a dormire, per favore?» chiesi stancamente.
Edward mi accontentò, e quasi riuscì a farmi vomitare l'anima anche stavolta.
Ci trovammo nel mio giardino, alla luce della luna, in un momento di leggero imbarazzo. Eduardo continuava ad alternare lo sguardo dei suoi begli occhioni giallini tra me e la finestra, evidentemente cercando di capire come procedere.
«Aspetta, qual è il problema?» Sospirai, pizzicandomi l'attaccatura del naso tra pollice ed indice.
«Sto cercando di capire come fare a riportarti dentro. Potrei prenderti in braccio e saltare dentro, se solo tu non avessi paura».
Mi voltai a guardare la finestra aperta al secondo piano di casa mia. Davvero poteva arrivarci dentro con un solo balzo? Si, si, poteva, lo sapevo già, ma era sempre impressionante e io avevo parecchio sonno.
«Edward, faresti un baccano d'inferno se salti dentro, dopo un salto con tutta quella forza. E voi vampiri siete duri e rumorosi. Fate il suono dei fulmini anche quando giocate a baseball»
«Hai ragione Belarda» ammise lui «Allora come dovremo farti rientrare in casa? Non credo tu abbia le chiavi di casa»
«Sigh. Senti, Edward, tu di solito come ci arrivi a spiarmi in camera come gli stalker pazzi?»
«Mi basta arrampicarmi» disse Edward candidamente, additando il muro. Mi voltai nuovamente a guardare, e non vidi nessun modo in cui ci sarebbe potuto salire, a meno che non ci avesse affondato le dita e creato dei gradini artificiali. La mia casa non aveva le pareti con i mattoni scoperti e non mi sembrava di vedere appigli particolari. Forse indicava il muro ma si arrampicava dall'albero, e poi saltava alla finestra? No, ricordavo chiaramente nella registrazione che era salito proprio sul muro, come un mostro aracnide.
«Okay. Allora ti basta arrampicarti» Conclusi io.
Lui mi guardò scettico «E tu?»
«E io mi tengo da dietro, mi porti sulla schiena. Così hai le mani libere e puoi usare le tue dita appiccicose sulla parete di casa mia»
«Sei forte abbastanza da tenerti stretta?»
«Si. Ce la faccio».
Edward non mi contraddisse, ma annuì con aria decisa. Si abbassò sulle ginocchia come se avesse dovuto fare l'uovo in modo tale che potessi aggrapparmi alle sue spalle; gli strinsi le braccia al collo e le ginocchia ai fianchi come se stessi montando un cavallo bizzoso, e il vampiro appoggiò le mani al muro.
Guardai il fenomeno incuriosita: a questo punto volevo sapere come faceva a risalire.
Fu come sapere che era uscita una nuova puntata di una serie che ti piace, ma ricevere allo stesso tempo spoiler su tutto ciò che ci succede dentro. Insomma, deludente, e senza comprendere mai davvero tutto.
Tra l'impiccio dei suoi capelli spettinati che mi impediva parte della sua visuale ed il fatto che le sue mani pallide si spostavano sulla parete a velocità inumana, non riuscii affatto a capire come accidente avesse fatto.
Una volta arrivati si voltò di schiena e si riabbassò nella posizione da cova uova, in modo tale che potessi scivolargli cautamente giù dalla schiena fino al pavimento della mia camera. La luce argentea della luna illuminava gli occhi da spiritato di Dracula, che si era prevedibilmente allarmato nel vedere quella creatura apparire ancora nella nostra camera.
Avevo una vaga voglia di risalire sulla schiena di Edward e chiedergli di rifarlo più lentamente, magari tre o quattro volte ancora, ma ero davvero stanca e non volevo toccarlo più del necessario.
«Ti ho riportato nelle tue camere, principessa» Mi disse, accompagnando tutto con un sorriso beffardo
«Bravo, ora riporta le chiappe a casa e non spaventare tutti i gatti» sbadigliai, senza mettere davvero calore in quello che stavo dicendo «Non accettare le sacche di sangue dagli sconosciuti e non salire sulle auto degli sterminatori di vampiri. O fai tutte queste cose se può farti piacere»
«Oh, Belarda, perché sei così ostile? Sono stato un gentiluomo»
«Perché sembra che tu ti stia calmando un poco, quindi continuo su questa strada a non darti corda, anche perché ce n'è di strada da fare. E poi avevamo concordato di essere sinceri l'uno con l'altra». Cercai di trattenermi, ma sbadigliai ancora.
Finalmente qualcuno dei neuroni morti di Edward fece contatto e capì che volevo che se ne andasse e mi lasciasse in pace.
«Buonanotte Belarda. Ti auguro dolci sogni» Mi disse in tono mellifluo, cercando di scoccarmi un sorriso affascinante. Io ricambiai con un cenno della mano, quasi per abitudine, e vidi la sua figura scivolare via in un battito di ciglia. Dracula non si rilassò che dopo qualche minuto, il suo pelo gonfio che si ammansì poco a poco.
Strisciai sotto le coperte sentendomi esausta, indolenzita come se avessi corso la maratona e vagamente dispotica. Dracula mi si accucciò accanto, ancora troppo agitato per fare le fusa come faceva di solito, ma decisamente più tranquillo.
«Dormi, signor Dentini. Domani è un giorno nuovo, e lo dobbiamo affrontare con grinta».
Fu io a dare il buon esempio ed addormentarmi per prima, facendomi avvolgere in fretta dalle braccia accoglienti di Morfeo. L'ultima cosa che vidi prima di chiudere gli occhi fu che papà aveva spostato la mia collezione di libri, scompattando la mia collezione di volumi, rilegati di blu, di Shakespeare. Chissà che non fosse una buona idea rileggere per la cinquecentosessantatreesima volta Romeo e Giulietta.
Poi chiusi gli occhi, e non appena arrivò il buio, mi addormentai.
Il giorno dopo venni risvegliati dal vbzzz elettrico del mio cellulare. La sera prima avevo scordato di spegnerlo, così quando lo presi in mano, se non altro per non lasciarlo acceso, vidi tre cose. La prima era che erano circa le cinque e mezzo del mattino, cioè poche ore dopo che avevo chiesto di essere lasciata in pace. La seconda era che sulla parte alta del mio cellulare stava lampeggiando una piccola spia rossa, e una notifica arancio sullo schermo mi stava avvertendo che avevo il due per cento di batteria, e che il mio cellulare era andato da solo in modalità risparmio energetico. Bravo ragazzo. La terza cosa era che il messaggio era di un numero sconosciuto, anzi, i messaggi, perché stavano continuando ad arrivarne a raffica.
Picchiettai col pollice sullo schermo, battendo le palpebre per abituare i miei poveri occhi, chiusi fino a qualche secondo fa, alla luminosità del display.
Visto una lumaca oggi... effervescente” Recitava il primo messaggio. Spostai una ciocca di capelli che mi era finita quasi in bocca mentre dormivo, rileggendo il messaggio per assicurarmi di aver letto bene. Avevo letto bene.
Sotto c'era una compilation di foto della stessa lumaca, una cosina dal corpo giallo ed umidiccio, che sembrava abbastanza snella e compatta come lumaca ad onor del vero, che spuntava da dentro un guscetto liscio e marrone con una banda spiralata più scura. Nell'ultima foto la lumaca – che non capivo dove fosse posata, forse su un muretto, ma non stava sull'erba di certo – era a contatto con un dito dall'unghia curatissima, bianco come carta e terribilmente familiare. Oh no.
La serie di messaggi era intervallata da faccine che ridevano fino alle lacrime e cuori rossi, come se l'incontro con una lumaca avesse estasiato il mio interlocutore.
Il gasteropode in questione era sicuramente carino, ma...
Che problemi hai? Sono le cinque del mattino >:|” Inviai, pestando furiosamente sul display.
Ti sei svegliata”. La risposta arrivò immediata, con tanto di faccina che sorrideva ed una che spediva un bacetto all'osservatore. Rabbrividii.
Prima che potessi mandarlo a quel paese, mi mandò un'immagine brillantinata ed a colori troppo saturi di un sole che stava sorgendo su una spiaggia, con una scritta in arancio che strillava “BUONGIORNO!!” al malcapitato lettore. Il font scelto rassomigliava in modo inquietante ai croccantini di Dracula quando li bagnavamo con acqua o latte, per renderli più morbidi ed appetibili.
Si. Buongiorno. Ma continuano ad essere le cinque del mattino”
Oh ti ho disturbata??”. La tristezza di Edward era espressa da una faccetta gialla dall'aria mortificata a cui piangeva un occhio solo.
Si”
Oh mi dispiace molto...non pensavo sennò non mi sarei permesso...”
Ok. Torno a dormire” Scrissi in fretta, senza perdermi in emoticon “Non scrivermi per almeno quattro ore a meno che non sia di vitale importanza, okay?”
Okok buonanotte dolci sogni”.
Sbuffai. Spensi del tutto il cellulare e mi concessi di tornare a dormire.
C'è un che di meraviglioso di svegliarsi nella calma della tua cameretta e sapere che puoi tornare a dormire quando vuoi e goderti magari anche un paio d'ore di sonno, o alzarti e andare in giro. Mi sentii libera dai vincoli e leggera come un palloncino fluttuante, ma una sorta di libertà a scadenza, come se avessi saputo che venuta un'ora ragionevole sarei dovuta rientrare nella routine solita.
Abbracciai il cuscino, ci affondai la guancia e mi riaddormentai.
Qualche ora dopo mi risvegliai accompagnata da un suono molto, molto più piacevole: i miagolii di Dracula, che aveva fame.
«Mmeeee»
«Si, buongiorno piccolo» Sbadigliai e mi stiracchiai, sentendo con piacere i piccoli schiocchi derivati. Mi sentii subito più sciolta e con le fibre muscolari un po' più calde, con mio piacere.
Per fortuna non sentivo di aver risentito delle ore di sonno che mi erano state rubate, ed ero anzi riposata e in forma.
Mi preparai in fretta, e poi ancora calda dopo la doccia indossai una maglietta comoda con dei disegni di fiori stilizzati che neppure ricordavo di avere nell'armadio, pantaloni scuri e pantofole.
Nel cambiarmi mi resi conto di avere avuto tutto il tempo delle chiavi nella tasca del pigiama, e che quindi l'intera pantomima della sera precedente con Edward non era servita proprio a niente. Iniziavo a perdere colpi, ma almeno ero più che giustificata dalla situazione disperata e surreale alla quale mi stavo preparando. Quindi, vabbè.
Mi strinsi nelle spalle ed uscii dalla mia camera.
«Buongiorno, papà!» Esclamai allegramente mentre scendevo le scale; Dracula mi seguiva a pochi passi di distanza, rimbalzando da un gradino all'altro. Papà non mi rispose, ma davo per scontato che non mi avesse sentita.
Mi incamminai verso la cucina per dare da mangiare per prima cosa a Dracula e trovai Carlo lì, seduto al tavolo e vestito con l'uniforme da poliziotto, che mi guardava serio ed a braccia conserte. Era un po' sprofondato sulla sedia, come se mi avesse aspettato nella stessa posa abbastanza da stancarsi. Non aveva neppure Lillo addosso, dato che aveva riempito le ciotole dei gatti prima che potessi farlo io. Dracula lasciò il mio fianco e si accomodò accanto al suo fratellino adottivo, emettendo fusa a tutta forza.
Mi preoccupai un po', vedendo papà così. Per qualche motivo che al momento mi sfuggiva aveva anche preparato delle tazzone di latte e cereali per entrambi, riempiendole come aveva fatto delle ciotole con i croccantini per i nostri animali, e cioè un po' troppo.
«Buongiorno» Ripetei, cauta, tirando indietro la sedia.
Lui non rispose di nuovo, seguendomi con gli occhi mentre mi accomodavo ed avvicinavo la sedia al tavolo. Volevo chiedergli che avesse, ma non sapevo bene che fosse successo. Mi allungai a prendere il cucchiaio e cominciai a mangiare.
Papà non toccò la tazza che aveva di fronte e non parlò finché non arrivai alla terza cucchiaiata, poi sbottò «Sei tranquilla, eh?».
Aggrottai le sopracciglia e mi raddrizzai un po'. Okay, c'era qualcosa che non andava davvero.
«Mica tanto adesso» Risposi, indicandolo con il cucchiaio «Perché stai facendo il poliziotto cattivo?»
«Dove sei stata?» mi chiese a bruciapelo, ignorando le mie proteste
«Te l'ho detto. Sono stata da...». Ammutolii e rimasi con il cucchiaino a mezz'aria, puntato contro il petto di papà.
Avevo fatto un grande, madornale errore. Come si poteva inventare un piano per non farsi sgamare e poi topparlo in modo così spettacolare da sembrare più sospetta che se non lo si fosse ideato? Come avevo potuto scordarmi un passo così importante? Ma ancora peggio, come avevo potuto dare un barile così a Mike, che c'era sempre stato per me?
Mike aveva guidato per chilometri solo per venirmi a prendere, e io ricambiavo così.
Ancora più che lo sguardo di rimprovero di mio padre, che di certo non aiutava, il pensiero mi fece sentire una criminale. Non sono mai stata una grande bugiarda né una fantastica attrice, quindi ero sicura che il mio viso lasciasse ormai trasparire tutta la mia colpevolezza.
Mio padre la notò subito – era un poliziotto, per Diana – e si raddrizzò, dandomi l'impressione di torreggiare su di me anche dall'altro lato del tavolo.
«Già» Disse «Dove sei stata, Belarda?»
«Io... io, uhm...».
Inutile. Per quanto mi fossi sforzata di essere intelligente in questi mesi, di essere utile e di escogitare sempre stratagemmi che potessero salvarmi le chiappe in mezzo a questi mostri sovrannaturali, non mi ero mai la briga di inventarmi qualcosa di credibile nel caso avessi dovuto fronteggiare mio padre. Non mi ero mai neanche presa la briga di preoccuparmi del fatto che mio padre avesse potuto notare qualcosa di strano in me.
E lui era l'ispettore capo della polizia di Forks. Avrei dovuto immaginare che non fosse arrivato a quel posto corrompendo i suoi superiori con pesci gratis.
Non avevo una scusa intelligente da dargli.
Una ragazza ad un certo punto non ce la fa più, esaurisce le risorse. Erano stati mesi stressanti sotto quasi tutti i punti di vista, e di solito i momenti di gioia e tranquillità che riuscivo a godermi più possibile erano piccoli intervalli prima che una minaccia peggiore si abbattesse su di me.
No, stavo cercando di giustificarmi. La verità era che stavo continuando a balbettare “ehm, io...” nella speranza di prendere tempo con papà, ma non sapevo cosa fare.
All'ennesimo “io, ehm, uhhh...” che lasciò la mia bocca, l'ispettore Cigna decise che era il suo momento di parlare.
«Io non voglio sapere dove vai, Belarda, lo sai» Disse Carlo, sollevando le mani «Ho sempre cercato di essere un bravo papà, di non impicciarmi degli affari tuoi e di lasciarti libera di fare le tue esperienze senza sentirti sorvegliata. Quindi vorrei capire perché hai sentito il bisogno di mentire a me e al tuo amico».
Avrei voluto chiedergli come mai Mike non mi avesse richiamata ed avesse chiamato lui, ma avevo paura che muovermi in qualunque territorio che non fosse neutro o difensivo sarebbe equivalso in qualche modo a mostrarmi un po' colpevole.
Ci provai, mi buttai.
«Non ho mentito» Sussurrai, sperando che bastasse a nascondere la bugia nella mia voce «Sono stati giorni... un po' pesanti per me. Non sono andata all'appuntamento di Mike perché me lo sono scordata, avevo anche un altro appuntamento e si sono accavallati, così poi sono finita per andare solo ad uno»
«E dove saresti andata?»
«Giù a La Push. A trovare le mie amiche». Non era una bugia, non proprio. L'orario era scombussolato e stavo cercando di omettere le parti più importanti, ma la mia voce sembrava un pizzico più sincera laddove c'era un po' di verità da dire.
«E se le chiamassi adesso loro confermerebbero?»
«Si»
«E allora perché ci hai messo così tanto a dirmi questa cosa?». Io arrossii un po'. Già, perché ci avevo messo così tanto? Perché ero in grado di far finta di niente con i vampiracci e mostri vari e mi sentivo così ansiosa con domande così facili da eludere, solo perché le faceva papà?
«Perché mi sentivo in colpa» Dissi, e il mio tono suonò finalmente sincero. Anche questa era una mezza verità. Beh, un tre quarti di verità. Guardai Carlo da sotto le ciglia, sentendomi una bimba disubbidiente. «Mi è dispiaciuto tanto non essermi ricordata dell'appuntamento con Mike. Sarebbe stato un pomeriggio divertente, e lui c'è sempre per me, e io gli ho dato buca, e mi è dispiaciuto».
Papà rimase serio, ma la tensione delle sue spalle si sciolse un po'.
«Belarda, tu non me la conti giusta» Mi disse «Non so perché hai sentito di dovermi mentire, ma non me la conti giusta. Che sta succedendo?»
«Non ti pare di esagerare?» Chiesi gentilmente. Non aveva prove, doveva lasciar cadere l'argomento se solo avessi resistito senza gaffe.
«No»
«Ho solo saltato un appuntamento con un amico perché la mia memoria è un colino. Non hai mai dato buca a nessuno senza volerlo? Di cosa sono accusata, ispettore capo Cigna? Addirittura in divisa a tavola?» chiesi, in tono più giocoso. C'era ancora qualcosa di rigido nella mia voce, ma sentirsi chiamato così dalla figlia sembrò far sentire un po' ridicolo papà, che si concentrò sulla sua tazza di cereali senza rispondermi.
Non mi piaceva cercare di raggirare mio padre, ma per quanto volessi farlo era fuori discussione cedere e spifferargli tutto.
Finii in fretta di fare colazione, sentendo il suo sguardo addosso, poi cercai di filarmela più veloce che potevo.
Cosa avevo da fare oggi? Ah si, parlare delle nuove informazioni ai Quileute e delle mie idee su come sfruttare la presenza degli amici dei Cullen contro i Volturi con Ayita. Dovevo assolutamente scusarmi con Mike e fare qualcosa per farmi perdonare.
«Dove vai?» Chiese papà alle mie spalle. Mi voltai e lo vidi a gambe divaricate e braccia conserte, con Lillo tra i piedi che ondeggiava lentamente la coda. Gli mancavano solo gli occhiali da sole e una sigaretta che pendeva dalle labbra per completare il quadretto.
«Dalle Quileute. Se non ti fidi posso chiamarti appena arrivo e farti salutare da tutti. Forse c'è anche Billy» Risposi
«E Dracula?»
«Ho intenzione di girare, quindi forse sarebbe meglio lasciarlo qui con te, a meno che tu non abbia da lavorare» gettai un'occhiata alla sua uniforme, dubbiosa
«No, puoi lasciarlo con me, va bene» acconsentì lui, ma tornò subito alla carica «E Mike?».
Sollevai il cellulare e lo agitai un po' «Lo chiamo prima possibile. Voglio mettere le cose apposto con lui»
«Non chiamarlo mentre guidi»
«Certo, papà»
«E ricordati di chiamare anche i tuoi altri amici»
«Tutti subito? E a loro che ho fatto?»
«No, dico, in generale. Devi mantenere un equilibrio. Non puoi passare così tanto tempo con Jacob ed i Quileute da scordarti di tutto il resto dei tuoi amici»
«Ookay?» dissi, senza poter fare a meno di suonare un po' interrogativa «Li abbraccerò, li bacerò su tutti e due le guance e dirò loro uno ad uno che gli voglio bene. Okay?»
«Si» sbuffò lui
«Buona giornata, papà»
«Buona giornata, Belarda».
Salii sul Chevy stranita, ed anche un po' rattristata da quel brutto inizio di giornata. Se il buon giorno si vede dal mattino... No, fermai il pensiero lì. Dovevo cercare di essere positiva.
I brutti inizi di giornata mi risucchiavano le energie, e l'ottimismo mi richiede energie, ma ci provai comunque: mi sforzai di notare tutte le cose belle che avevo attorno e di ricordare spezzoni di show o frasi da libri che mi piacevano particolarmente.
Ancora con l'auto sul vialetto, mantenendo la promessa a papà di chiamare Mike mentre non ero alla guida, acciuffai il cellulare. Mentre facevo colazione mi era arrivato un messaggio da un numero che, ahimè, non avevo ancora memorizzato, ma sapevo benissimo chi era.
Aprii stancamente la chat.
Un messaggio vocale di quattordici minuti e trentasette secondi campeggiava sullo schermo, accompagnato dalla foto di un Edward che guardava la fotocamera cercando di fare il misterioso, racchiusa in un semplice cerchio.
«No» Dissi ad alta voce, chiusi l'applicazione e composi il numero di Mike.
Quando Mike rispose, la sua voce era stanca e strascicata.
«Pronto, chi è?»
«Sono Belarda, Mike»
«Belarda!» il suo tono smorto ebbe un breve guizzo «Ciao»
«Ciao, Mike. Senti, io... mi dispiace tantissimo di averti dato buca, ieri. Non volevo»
«Sul serio?» il suo tono era incredulo
«Certo. Certo che mi dispiace, sul serio sul serio»
«Ma poi... me lo stai dicendo solo ora... pensavo di averti offesa, di aver fatto qualcosa di strambo, non lo so, tipo inviarti quelle stupide frasi...»
«Ma sei scemo? Mike, non smetto mica di parlarti così, di punto in bianco, solo per una stupida frase nonsense! Che poi, tra parentesi, non è che mi dispiacciono troppo. Sono buffe. Va tutto bene Mike»
«Quindi è tutto ok!» il suo tono si stava animando sempre di più
«Si, certo. Volevo chiederti scusa, te l'ho detto, mi sento un vermino verminoso a non averti chiamato prima, ma è stata una giornata terribile»
«Che è successo?» mi interruppe lui, immediatamente allarmato
«Oh, niente per cui debba preoccuparti» e invece si che avrebbe dovuto preoccuparsi, perché in zona stava per esserci un'invasione di vampiri assassini, ma mica potevo dirglielo «Solo cose fra ragazze. Cose che non vorresti sapere, roba di mestruazioni e...»
«Alt alt. Stop. Non mi dire altre cose»
«Ok»
«Comunque va bene. Ti perdono» disse solenne «Però mi devi concedere di vederci al più presto»
«Lo farò»
«E allora quando? Eh, quando?»
«Uhm... allora... ora non posso, sto andando alla riserva, a La Push. Ma potremmo vederci stasera, ti va?»
«Stasera?»
«Si. Magari possiamo andare al cinema insieme, io tu e Jessica. Scegli un bel film!»
«Fico! D'accordo. Allora ne parlo con Jessica. Possiamo vedere un film di arti marziali?»
«Non penso che ne mandino a rotazione, al cinema»
«Tu lascia fare a me, che uno lo trovo»
«Fai come ti pare. Ma se poi Jessica ti calciorota via la testa, non dirmi che non ti avevo avvertito»
«Già, penso che prima dovrei consultarla anche sul film»
«Allora vai, su!»
«Spero proprio che lei non voglia vedere un film d'amore» borbottò lui «Ciao, Belà»
«Ciao Mikò».
Chiusi la chiamata e mi misi alla guida. Mentre usciva dal vialetto, feci mente locale: mi stavo scordando niente, stavolta? Le chiavi le avevo in tasca. Non mi sembrava di aver dimenticato nessun altro appuntamento. Il telefono l'avevo in tasca con le chiavi, anche se in effetti sarebbe stato meglio metterlo in una tasca separata per non rischiare di graffiarlo tutto: eseguii il compito con una mano sola, lasciandomi cadere le chiavi che si infilarono sotto al sedile. Imprecai piano, quasi dolcemente, e le lasciai dov'erano imponendo al mio cervello di tirarle fuori da là sotto quando fossi tornata a casa (anche perché sennò sarei rimasta fuori).
Quando arrivai alla riserva, nei pressi della casetta delle Quileute, la prima cosa che vidi fu un cane. O meglio, una specie di miniatura di cane, perché l'animale era grande più o meno quanto un barattolo medio di Nutella.
Scesi dalla macchina e lo guardai negli occhi. Lui mi restituì lo sguardo in modo vacuo. Era un cucciolo dal pelo cortissimo, nero e lucido, con un collarino che molto probabilmente era in realtà un braccialetto di perline comprato ad una bancarella. Se ne stava seduto su una chiazza di muschio, immobile.
Mi avvicinai a lui per fargli una carezza e lui scoprì i minuscoli dentini nel ringhio più adorabile che avessi mai visto.
Lara uscì dalla casetta
«Eccoti qua, Belarda! Vedo che hai incontrato la nostra nuova arrivata, Pimba»
«Pimba» ripetei «È un nome quileute?»
«Per niente» rise Lara «La lingua Quileute non usa i suoni nasali, ricordi?»
«Giusto. Non gli sto simpatica»
«Non sei tu» Lara scosse la testa, divertita «È l'odore di vampiri che hai addosso. Lo sento pure io, figuriamoci se non lo sente lei. Starà credendo che vuoi succhiarle il sangue. Ma Pimba è molto coraggiosa. Dai, vieni dentro, stavamo giocando a D'nD».
Lara mi fece strada. Detestai il non poter toccare l'adorabile cagnolina perché a quanto pareva puzzavo ancora come Edward Cullen.
Dentro le ragazze-lupo erano tutte raccolte intorno a un tavolo ingombro di carte, manuali, pezzetti di carta strappati, monetine finte e un paio di miniature che rappresentavano degli occhietti brutti con i tentacoli.
«Belarda» Mi salutò compostamente Ayita, mentre le altre agitavano mani, schede fotocopiate o bicchieri di birra «Eccoti qui. Stavamo giusto passando attraverso il passo di fuoco, dove in teoria dovrebbe esserci la casa del tuo personaggio. Vuoi unirti a noi?»
«Lo farei volentierissimo» dissi, titubante «Ma prima ho brutte notizie da darvi immediatamente».
Le ragazze-lupo si fecero serie. Lara si sedette al suo posto, stringendosi nelle spalle, e mise a posto un fascio di carte prima di rompere il silenzio
«Allora, dicci tutto!».
Mi sedetti sull'unica sedia libera, accostandola al tavolo, e finalmente raccontai loro della guardia dei Volturi, di Demetri il segugio infallibile, della capacità del loro capo Aro di leggere nel pensiero di chiunque toccasse e, soprattutto, dei due demoniaci gemelli Alec e Jane. Le ragazze erano inorridite. Aida aveva assunto una sfumatura vagamente verdastra, come se fosse sul punto di vomitare.
«E ora che si fa, capo?» Chiese Omaha ad Ayita, stritolando la miniatura di uno degli occhietti tentacolosi «Non avevamo messo in conto nessuna di queste cose nelle nostre strategie».
Ayita rimase in silenzio per un attimo. Tutti la guardavamo. Lei bevve un sorso di birra, con lo sguardo scuro, e prese un profondo respiro. I suoi occhi percorsero tutto il tavolo, guardando ad uno ad uno i volti di tutte le donne presenti.
«Per una minaccia straordinaria» Disse «Avremo bisogno di un aiuto straordinario. E su questo non ci piove, non abbiamo neanche bisogno di chiedere il permesso a Sam per farlo, sarà d'accordo con noi: evocheremo il Guardiano Nero»
«Il Guardiano Nero?» domandai sottovoce a Lara
«Undertaker» mi spiegò lei, brevemente.
Battei le palpebre. Forse avevo capito male. Dovevo aver capito male.




Note: l'idea di Edward che manda un messaggio a Belarda riguardo ad una lumaca e relativa rappresentazione grafica provengono dal fichissimo blog su Tumblr.



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