Non ero pronta.
Lo capii quando trovai la porta dell'imponente casa signorile aperta e per entrare mi bastò spingerla e fare qualche passetto timido dentro. Mi metteva a disagio che nessuno fosse venuto a controllare: con i loro sensi sviluppati, dovevano avere già avvertito la mia presenza da un po'.
Che non fossero in casa?
Entrai in casa costeggiando le pareti, tenendo una mano poggiata sul muro, guardinga. Scrutai la stanza: era strana. L'ultima volta era stata elegante, e in quel suo modo freddo ed austero, quasi vitale. C'erano stati vasi (che avevo distrutto) ed il grande piano (che avevo distrutto), che però non erano stati ancora rimpiazzati. Ora tutto era svuotato e sbiadito, compresi i quattro vampiri che facevano capannello vicino al divano bianco.
Erano tutti lì, insieme, ma non fu quello che mi paralizzò sul posto per un secondo.
Fu Edward, l'espressione del suo volto.
L'avevo visto infuriato, l'avevo visto arrogante, l'avevo visto persino fare il sofferente. Ma quello... quello superava di gran lunga il solito melodramma che infondeva in tutte le sue espressioni. Sembrava spiritato. Un enorme pupazzone spiritato; non mi guardò nemmeno. Teneva gli occhi bassi, fissi sul divano, con l'espressione di un uomo divorato dalle fiamme. Le mani gli pendevano lungo i fianchi come artigli rigidi.
Insomma, sembrava l'assassino di Scream (non che avessi mai guardato il film e non ci tenevo neanche), scatenando in me un po' voglia di ridere e un po' di uscire di casa a gambe levate.
Non riuscii neppure a rallegrarmi per la sua angoscia. Pensai a cosa avesse potuto ridurlo così e il mio sguardo seguì il suo istintivamente, ma lì non c'era niente. Gli altri vampiri avevano espressioni distrutte a livelli diversi: Esme aveva gli occhi lucidi come se fosse stata sul punto di scoppiare a piangere, Carlisle le teneva una mano poggiata sulla spalla in atteggiamento di profondo dispiacere. Rosalie era l'unica a muoversi: si stava spostando per la stanza come una vespa che ha preso una grossa grassa botta in faccia, cambiando costantemente direzione come se fosse stata molto confusa e ronzando frasi sottovoce, che dalla mia prospettiva erano incomprensibili.
Hm. Dall'ultima volta che li avevo visti erano diventati pure peggio.
L'intera situazione aveva un che di irreale: mi sentii come se fossi in un sogno lucido, ma uno di quei sogni non particolarmente razionali.
Mi schiarii la gola.
Carlisle alzò finalmente lo sguardo verso di me ed abbozzò un sorriso poco convincente. I suoi occhi erano più scuri di come li avessi mai visti, erano di un marrone-ocra che conferiva al suo volto un'apparenza più umana.
«Buongiorno, Belarda» Mi disse, educato
«Buongiorno. La porta era aperta» mi voltai appena per indicare l'uscio con il pollice «Quindi sono entrata da me. Spero vada bene»
«Si, ma non è un buon momento per farci visita, mia cara».
Edward sembrava un po' più presente a sé stesso, ma non reagì quando mi avvicinai al gruppo dei tre, scansando Rosalie che rischiò di finirmi addosso.
«Credevo che... dopo l'ultima volta...» Carlisle mi guardò con i suoi occhi tristi. Non mi feci commuovere. «Credevo che non ti avremmo rivista più, Belarda»
«Lo credevo anche io, Carlisle»
«Cosa è cambiato, cara?».
Socchiusi le palpebre. La mia voce risuonò seria, quasi tagliante, nella stanza. Ne fui felice. «Stiamo per entrare in guerra, dottor Biancolatte. Sono qui solo in virtù di queste circostanze speciali, o non mi avreste più vista neanche con il binocolo. Sarò il vostro tramite con il branco dei Quileute: è bene che rimaniate in contatto, visto che avete un grosso nemico in comune. Porterò i messaggi da una parte all'altra, e vi terrò reciprocamente aggiornati su strategie e situazioni».
Le labbra già bianche di Carlisle quasi sparirono quando le assottigliò l'una contro l'altra.
«Suppongo che sia difficile per te, Belarda. Apprezzo il tuo sacrificio».
Aggrottai le sopracciglia. Carlisle era il vampiro che mi confondeva di più dell'intera famiglia: così umano, così gentile quando voleva esserlo. Era più difficile avercela con lui che con tutti gli altri membri del clan.
Annuii e basta. Lui si passò una mano sul volto come se fosse stato stanco, un gesto del tutto umano; chissà quante volte lo aveva provato prima che gli venisse naturale, per non sembrare un automa intoccabile al lavoro.
«Che sta succedendo, Carlisle?» Chiesi.
Scuro in volto, lui estrasse un foglio di carta ripiegato, stampato fitto a piccoli caratteri neri. Era la pagina di un libro; mi sporsi un po' verso di lui per leggere il testo mentre Carlisle lo apriva per guardare il retro. Il lato del foglio rivolto verso di me riportava il copyright dell'edizione del Mercante di Venezia. Quando Carlisle scosse il foglio per distenderlo, un lieve sentore piacevole di carta vecchia mi giunse alle narici.
Avevo anche io quel libro a casa, insieme ad una sbrindellata raccolta delle opere di Shakespeare in edizioni tascabile. In mia difesa, io avevo strapazzato solo il mio Cime Tempestose: l'aguzzino del resto dei miei libri era sempre stata mia madre, che con le sue manie e mode da seguire, che duravano tutt'al più una settimana, finiva sempre per sballottare i miei libri di qui o di lì per casa perché voleva riarredare in moda shabby chic oppure perché doveva fare spazio ai suoi attrezzi da yoga (che non avrebbe più toccato dopo tre sessioni). Nel tempo avevano accumulato orecchiette, taglietti minuscoli sul fondo delle pagine, piccoli danni.
Era un paradiso stare a casa con Carlo.
«Se sei il nostro tramite, suppongo sia giusto dirtelo» Sussurrò Carlisle, passandomi il foglio con aria mesta «Alice ha deciso di lasciarsi»
«Cosa?».
Rosalie smise di girare per la stanza e mi venne vicino, facendomi rattrappire appena. Aveva le occhiaie ancora più marcate del solito, come se qualcuno le avesse segnato il viso con del carbone, e sembrava ora più che mai una pazza.
«Jasper, Emmett, Alice» Elencò la vampira, facendomi rizzare i peli sulla nuca. Sembrava a metà tra il miagolio lamentoso di un gatto ed il ruggito di una leonessa.
Deglutii e lessi il messaggio. Non fu difficile: la scrittura di Alice era molto pulita, ma non l'avrei definita elegante, quanto nitida.
“Non cercatemi. Non c'è tempo da perdere. Ricordate: Tanya, Siobhan, Amun, Alistair, tutti i nomadi che riuscite a trovare. Jasper, Peter e Charlotte li cercherò lungo la strada. Sono desolata di dovervi lasciare così, senza nemmeno un saluto o una spiegazione, ma era l'unico modo. Con affetto infinito”.
Non c'era bisogno che spiegasse la sua fuga, lo sapevo io perché se l'era filata: paura, paura, fifa blu.
Ci fu una pausa: Carlisle mi lasciò il tempo di leggere, mentre gli altri tre erano scivolati di nuovo nella loro immobilità innaturale. Non mi ero neanche accorta dell'assenza di Alice, non mi ero neppure premurata di cercare la sua piccola figura da folletto nella stanza spoglia.
Scoccai un'occhiata ad Edward. Perché reagiva così? Era davvero la partenza della sorella ad averlo sconvolto così? Stentavo a credere che non fosse stato a conoscenza della decisione di partire di Alice: era lui quello che leggeva nel pensiero, e a meno che Alice fosse riuscita ad allontanarsi senza produrre neanche un pensiero cosciente (e ne dubitavo) lui lo avrebbe saputo. Quindi perché non l'aveva fermata prima? Cos'era tutta questa messinscena?
«Non c'è altro?» Chiesi lentamente, restituendo la pagina a Carlisle.
Il dottore scosse la testa.
«Mi dispiace per voi, dottor Cullen» Dissi. Non ero sicura che mi dispiacesse davvero per tutta la famiglia Cullen, non dopo tutto quello che mi avevano fatto, direttamente o come complici, ma... l'umanità emanata da Carlisle stuzzicava la mia empatia.
«Grazie, Belarda. È una situazione pericolosa questa»
«Al punto da abbandonare una famiglia?» Domandò Rosalie con rabbia. Pestò un piede a terra con forza. Indossava scarpe col tacco e la distrusse, ma non sembrò importarle, anche se adesso aveva un piede più in basso dell'altro.
Edward aveva un'espressione dura che sembrava esprimere una sorta di rabbia arrogante nei tratti irrigiditi del suo viso, o una colica molto fastidiosa. Finalmente mi guardò, ma non mi salutò.
«Non sappiamo cos'ha visto» Disse invece «Alice non è insensibile, o vigliacca. Dispone solo di più informazioni rispetto a noi»
«A proposito di informazioni, tu come facevi a non saperlo? Non leggi nei pensieri della gente?» Chiesi io, grattandomi la testa. Lui si adombrò.
«È stata molto brava ad evitare di pensarci in mia presenza»
«Sul serio? Tutto qui? Caspita come la conosci bene»
«Non è facile per me, Belarda. Potrei aver colto degli indizi, ma...»
«Non ci hai capito una ceppa finché non era troppo tardi» tagliai corto io, annuendo.
Edward annuì, ancora scuro in volto.
«È proprio una sfiga» Dissi «Adesso che avreste dovuto essere una famiglia unita, almeno per poter combattere decentemente. Per fortuna il branco sta mostrando un grande spirito di collaborazione. C'è niente che volete riferirgli?»
«Anche il nostro clan è unito» pigolò Esme, ignorando la mia domanda.
Le sorrisi sarcastica «Intanto nessuno dei Quileute ha abbandonato gli altri. E ci sono dei ragazzini più che minorenni tra quei licantropi»
«Che crepino tutti!» Esclamò Rosalie con furia, facendomi sobbalzare. Carlisle si spostò accanto a lei così veloce da sembrare che si fosse teletrasportato, con le mani sulle spalle come per contenerla.
«Però i legami dei Quileute sono diversi dai nostri. Ognuno di noi è libero di agire secondo la propria volontà» Si intromise Edward
«Perché, i Quileute sono mentalmente controllati?»
«Si, Belarda». Lo guardai, confusa e scettica. Hmm, ora era pure complottista, aiuto. «Comunque c'è qualcosa che puoi dire ai Quileute. Dì loro che dovrebbero dare retta all'avvertimento. Credimi, non è cosa in cui lasciarsi coinvolgere. Sono ancora in tempo ad evitare ciò che Alice ha visto».
Sbuffai «I Quileute non scapperanno mai. E anche se lo facessero, i Volturi li cercherebbero, non è così?» chiesi, rivolta a Rosalie.
La bionda annuì, leccandosi le labbra. «Li troveranno» Mi disse, sfoderano i denti in un sorriso. Come zanne, quelle dei vampiri erano ridicole a vedersi: piccole, poco appuntite, indistinguibili da i canini di un qualunque umano. Quello che le rendeva pericolose era sapere che erano già state adoperate per fare a pezzi animali vivi e berne il sangue, e il fatto che erano grondanti di saliva velenosa, talmente pericolosa che un solo morso avrebbe potuto trasformare un povero umano in uno di loro.
Questi ti potevano rovinare la vita pure spuntandoti nel piatto.
«Li troveranno ovunque andranno. E li faranno a pezzi. E io sarò felice» Continuò Rosalie, aggiustandosi una ciocca di capelli biondissimi dietro un orecchio con un gesto grazioso.
«Non dovrebbero lasciare massacrare la loro famiglia per orgoglio» s'intromise Carlisle, più tranquillo «Rosalie, non dire così, potrebbero non essere stati i Quileute. Ci hanno rispettati e lasciati stare per tutti questi anni»
«Potrebbe essere stato l'orso vampiro, no?» dissi io
«L'orso vampiro» ripeté Rosalie, inespressiva
«Si. Quello per cui stanno venendo i Volturi».
Non lo dissi ad alta voce perché non volevo provocare la bionda psicopatica, ma non potei fare a meno di aggiungere, almeno mentalmente “Quello creato dal vostro fratellino spiritato”. Quello che avevamo bruciato in un cassonetto.
Chissà quanto tempo fa sarei stata fatta a pezzi se solo qualcuno di loro avesse saputo la verità.
Il mio sguardo saettò sul biglietto di Alice e sentii le mie labbra tendersi in una linea sottile. Che spreconi. Invece di scrivere un biglietto su un foglio qualunque aveva dovuto fare a pezzi un libro. Il Mercante di Venezia. Mi sorse il dubbio che ci fosse un altro motivo oltre all'essere spreconi dei Cullen per l'aver usato proprio quel tipo di carta.
«Non la conosci» Disse Edward, intercettando il mio sguardo
«E tu?» sussurrai di rimando.
Carlisle lasciò andare Rosalie – non mi sembrava una bella mossa, ma non protestai – ed andò a posare una mano sulla spalla di Edward. «Abbiamo molto da fare, figliolo. Qualunque cosa Alice abbia deciso, saremmo pazzi a non darle retta. Torniamo a casa e mettiamoci al lavoro».
Edward annuì, il viso ancora irrigidito dal dolore. Alle mie spalle udivo i singhiozzi sommessi di Esme.
Mi sembrava tutto irreale, come se dopo mesi fossi tornata ad una vita in cui non c'erano state creature sovrannaturali, ed avessi ricominciato a sognare. A fare incubi. Era una sensazione irrazionale, soprattutto perché neanche un'ora fa ero stata in una deliziosa casa di licantropi teenager, ma era così che mi sentivo. Sospesa.
«Mi dispiace» Dissi, e scossi la testa «Posso dirvi di sicuro che non è andata verso il bosco dei Quileute, non può essere scesa verso First Beach. Non credo sia abbastanza stupida da dirigersi senza permesso verso il territorio dei licantropi a farsi fare a pezzi, e non credo neppure sia salita verso le montagne, dritta in bocca all'orso vampiro. No, dev'essere fuggita da qualche parte verso qualche grande città. Se mai la doveste cercare, vi consiglio di partire da lì. Port Angeles magari, o addirittura più lontano, fino a Seattle».
«Grazie, Belarda» Fece il dottore riconoscente, spostandosi a consolare blandamente Esme.
«Si prenderà una bella punizione quando la troverete, a scappare di casa così» Scherzai, goffamente
«Alice è libera di fare ciò che vuole. Non le negherei mai questa libertà».
Avevo sempre pensato ai Cullen come a un tutt'uno, un'entità unica ed indivisibile, la cui appendice mobile più odiosa era ovviamente capelli-pazzi. Ma ormai mi era chiaro che era solo il continuo impegno del capo clan a tenere questa famiglia unita, nel modo in cui svolazzava da un membro della famiglia all'altro per sostenerli, da come li teneva sotto controllo. Era l'unico a mantenere una qualunque forma di contegno, evitando che quella famiglia apparentemente unita si sgretolasse, come succedeva a tutti gli altri vampiri.
Era la loro natura: erano nomadi, viaggiavano da soli o in coppia, al massimo in trio. Era ciò che tutti mi avevano confermato, dai vampiri stessi fino a tutte le leggende ed esperienze raccontatemi dai Quileute.
Le uniche eccezioni che conoscessi erano i Cullen e i Volturi, e i Volturi erano un corpo di guardia unito solo dalla caccia al potere e probabilmente da un qualche fanatismo per la legge.
Invece i Cullen erano stati trasformati dal veleno di Carlisle, e sempre da lui plasmati, guidati, tenuti insieme. Sia Jasper che Alice avevano conosciuto una vita al di fuori dei Cullen, ma Carlisle era riuscito ad attirarli a sé e legarli al suo clan fino a quando non avevano rischiato seriamente la vita.
Era riuscito a imporre una dieta innaturale a tutta la sua famiglia, compresi i due membri della famiglia che avevano potuto assaggiare le meraviglie del sangue umano, ad imporgli il controllo dei loro istinti per ottenere un posto stanziale dove stabilirsi, dopo aveva ottenuto un posto che gli avesse consentito accesso virtualmente illimitato a rifornimenti di sangue.
Il buon dottore sembrava avere capacità di manipolazione da pelle d'oca. Avrei fatto bene a non sottovalutarlo, e raccontare quello che ne pensavo a Sam ed Ayita.
«State facendo qualcosa per opporvi ai Volturi? Vi state preparando in qualche maniera?» Chiesi, mordicchiandomi il labbro inferiore
«Io non mi arrenderò senza combattere» ringhiò Rosalie sottovoce, a denti stretti «Alice ci ha detto cosa fare. Facciamolo».
Gli altri annuirono con determinazione e mi resi conto che contavano sull'opportunità che Alice gli aveva offerto, qualunque fosse, con rabbiosa, cieca speranza. Che non avevo ancora capito su cosa si basasse, però.
«Chi sono i nomadi?» Chiesi «Chi sono Charlotte e Amun e quegli altri?»
Carlisle fece un sorriso mesto «Sono tutti nostri amici. Persone che ho conosciuto viaggiando per tutto il mondo, vampiri come noi ma che hanno deciso di... seguire uno stile di vita diverso. Amici che secondo Alice potrebbero aiutarci a combattere, ma non ho intenzione di metterli a repentaglio per un nostro tornaconto personale: non avrebbero alcuna possibilità contro i Volturi, li condanneremmo soltanto ad una più dura punizione insieme a noi. Li conosco»
Rosalie emise un verso di frustrazione «Alice ci ha detto di chiamarli, Carlisle, quindi ci deve essere un motivo! Ci deve essere! Ci deve essere! Devono combattere!»
«Forse» fece Edward, con tono lugubre «Forse non dovrebbero combattere contro i Volturi».
Carlisle lo guardò stupito, Rosalie scettica, Esme continuava a piangere senza riuscire a fare nulla di utile. Lui riprese: «Forse dovrebbero aiutarci soltanto ad eliminare l'orso. Se i Volturi venissero qui e vedessero che abbiamo eliminato noi stessi il problema, potrebbero essere più clementi nel loro giudizio verso di noi, soprattutto grazie all'amicizia che hanno con te, Carlisle»
Carlisle lo guardò stupito, Rosalie scettica, Esme continuava a piangere senza riuscire a fare nulla di utile. Lui riprese: «Forse dovrebbero aiutarci soltanto ad eliminare l'orso. Se i Volturi venissero qui e vedessero che abbiamo eliminato noi stessi il problema, potrebbero essere più clementi nel loro giudizio verso di noi, soprattutto grazie all'amicizia che hanno con te, Carlisle»
«Un'amicizia su cui è meglio non appoggiarci troppo, Edward».
Alzai entrambe le mani, poi formai una T angolandole una sopra l'altra «Time-out! Non è una cattiva idea eliminare il mostro prima che mangi qualcuno o rovini l'intero ecosistema della zona, ma avete detto che chi vi aiuta dovrebbe avere... come hai detto, dottore? Uno stile di vita diverso dal vostro?».
Fu Edward a rispondermi, annuendo appena «Si. Non sono... vegetariani come noi. Ma sono comunque dei buoni amici, Belarda...»
«Shh shh, nono, fermo lì. Volete portare sconfiggere questo orso che mangia le persone... con una caterva di persone che potrebbero potenzialmente mangiare più persone dell'orso? Ma come schifo ragionate?».
Carlisle sembrò mortificato, ma Edward si impuntò «Belarda, non dire così. Un vampiro normale non mangia quanto un orso impazzito, e poi ci potrebbero aiutare» si voltò verso Carlisle «E poi, potrebbero tentennare se vedessero che non siamo prede facile, se vedessero che siamo molti, no? Potrebbero rallentare?»
«No, no, questo discorso finisce qui!» sbottai
«Potrebbero vederci come ostili» disse Carlisle «Non è una buona idea portare questi amici e farli vedere ai Volturi»
«Ma è l'unica cosa che ci ha detto di fare Alice!» esclamò rabbiosamente Rosalie «E lei legge nel futuro, dovremmo fidarci!
«Uh» disse sommessamente Esme
«Okay» presi un profondo respiro e battei le mani l'una contro l'altra «Sappiate che i licantropi sono molti di più di prima e si stanno allenando duramente e saranno degli ottimi alleati nella battaglia contro i Volturi. Voi questi deficienti di vampiri girovaghi qui non li portate, o troveremo il modo di farli fuori, e mi sto includendo nel numero perché mi compro apposta il più grosso lanciafiamme che trovo su Internet e vado bruciando vampiri a cavallo di un licantropo, chiaro? Ora, chiarito questo punto, se voleste voi cacciare questo orso fareste pure una buona azione. E se volete guardare nel libro del Mercante del Venezia, sono abbastanza sicura che Alice ci abbia lasciato altri messaggi, se no non avrebbe usato proprio quel foglio per lasciarvi un messaggio. Prego» lasciare cadere un microfono immaginario sul pavimento, feci dietro-front e mi diressi verso la porta.
Non avevo più alcuna voglia di rimanere in quella stanza spoglia. Nessuno mi fermò quando me ne andai; immaginai che fossero tornati a fare le belle statuine nel momento in cui ero uscita dalla casa.
Risalii sul pick-up e mi diedi un attimo per controllare che ora fosse sul cellulare. Non mi era arrivato nessun nuovo messaggio da Mike, e avevo ancora tutto il tempo che volevo per andare a riferire ai Quileute quello che avevo saputo.
“Grazie per la frase. Mi è stato utile come consiglio. Non l'ho applicato benissimo, ma apprezzo” Digitai, e inviai il messaggio a Mike. La scritta apparve sullo schermo in un riquadro verde, accompagnata da una specie di “pop”, sotto l'immagine elegante del cigno sul lago. Neanche due secondi dopo mi arrivò la risposta di Mike:
“Belarda, ma che fai nel tempo libero? O_O” ”.
Risi ad alta voce nell'abitacolo, digitando la risposta. “Neanche te lo immagini, Mikey”
“Sei una medium?”
“No”
“Una strega?”
“No. Basta domande, è meglio che tu non sappia troppo”
“Forse non te le mando più le frasi :\ ”.
Il viaggio seguente mi parve molto breve, forse perché ormai conoscevo a memoria la strada e il tempo sembrava restringersi quando non avevo dettagli da notare. Arrivai in un batter d'occhio alla casetta nel bosco, quella usata come quartier generale dalle ragazze-lupo.
Vi trovai soltanto Ayita, che sembrava assorta in una specie di meditazione seduta nella posizione del loto su un tappetino a motivi tribali. L'intera stanza aveva un forte, piacevole odore di incenso di cui non riuscii ad identificare l'origine.
Ayita era rilassata ed immobile a parte per il respiro regolare che le faceva alzare ed abbassare il petto. Quando entrai, vidi una sorta di fremito avvenire dietro le sue palpebre chiuse, come se avesse cercato di esplorare la stanza ad occhi chiusi, e seppi che si era resa conto del fatto che ero lì.
Non volevo disturbarla, così mi sedetti a mia volta di fronte a lei.
Rimasi in silenzio, ma Ayita non si mosse. Poi, piano piano, aprì un occhio e la sua bocca si stiracchiò in una sorta di sorriso assonnato.
Alzò una mano per fermarmi appena aprì bocca, non mi lasciò tempo di parlare. Richiuse gli occhi, inspirò, espirò. Aprì gli occhi e si guardò attorno battendo le palpebre, muovendo lentamente il collo come un tartaruga per osservare la stanza, poi allungò e stiracchiò metodicamente prima le braccia e poi le gambe, respirando a pieni polmoni. Una sorta di uggiolio roco le risalì dal profondo della gola, non dissimile da quello che fanno i cani quando sbadigliano.
Sembrava che si fosse risvegliata da un sonno molto lungo e molto saporito.
Appena ebbe finito il suo strano rituale, inspirò un'ultima volta e mi salutò.
«Ciao, Belarda»
«Era... yoga?» Chiesi piano
«Una specie» sorrise lei «Era meditazione profonda. Se ricordi, i nostri avi riuscivano a lasciare i loro corpi per mettersi in contatto con il mondo degli spiriti. Certo, era una cosa molto pericolosa perché lasciavano il loro corpo incustodito, però è un'informazione importante»
«Secondo te è vero? Insomma, può essere vera la storia dei guerrieri spirito?» chiesi, poi mi morsi la lingua. Non era molto carino mettere in dubbio le credenze degli altri, per quanto ci possano sembrare strane, ma Ayita non se la prese.
«Non possiamo esserne certi, ma io credo che ci sia qualcosa di vero in ogni leggenda. E vista la mia stessa esistenza, magari in quelle dei Quileute un po' di più. Ad ogni modo, sto provando a verificarlo io stessa».
Ero affascinata, non potevo negarlo. «E ci sono stati risultati, finora?»
«Ho scoperto che la meditazione mi piace molto. È già un bel risultato»
«Però...» dissi, sporgendomi un po' verso di lei «Posso farti una domanda?»
«Certo, Belarda»
«Voi siete riusciti a passare oltre questa cosa dei guerrieri spirito. Siete riusciti ad ottenere delle forme da lupo gigante, che non lasciano i vostri corpi indifesi e sono molto più efficaci dei corpi astrali, a quanto ho capito. Insomma, non credo che potresti sconfiggere un freddo soffiandoci sopra il vento o inimicandogli gli scoiattoli, no?»
«No, in effetti» Ayita si fece scrocchiare le nocche, producendo un suono schioccante così forte da farmi sobbalzare «Però hai sentito cosa ha detto Sue. Se la nostra forma rappresenta il nostro spirito incarnato, il nostro controllo sarebbe infinitamente maggiore e preciso sulle nostre forme da lupo se riuscissimo a contattare gli spiriti. Potremmo arrivare a nuovi livelli di coscienza di sé, e quindi essere più brave anche nel combattimento e in grado di fidarci del nostro istinto. E poi... c'è un'altra ragione»
«Che cosa?»
«Sarà infantile, ma se questa leggenda fosse vera ed io imparassi a farlo, potrei volare. Non potrei farlo con il mio corpo fisico, ma potrei entrare in comunione con tutta la natura che ci circonda e farmi cullare dal vento, guardare il bosco dall'alto. Forse potrei persino parlare con gli animali» disse la ragazza-lupo sognante, guardando il soffitto e sporgendosi un po' all'indietro «Gli animali parlavano tutti nelle nostre vecchie leggende, e questa cosa non succede nel folklore di tutti i posti. Però abbiamo perso la capacità di viaggiare nel mondo degli spiriti, e forse senza saperlo abbiamo perso molto più di questo».
Io rimasi a contemplare quello che aveva detto. In effetti, sembrava una figata.
Ayita scoccò un sorriso più ampio, arricciando appena il naso.
«Dal fatto che sei tutta avvolta da un'aura di puzza di succhiasangue» Mosse una mano in cerchio come per intrappolarmi in una sagoma immaginaria «Immagino tu sia stata a casa dei Cullen. Che ci facevi lì?».
Io arrossii, perché da quando frequentavo i sovrannaturali mi dovevo aspettare botte di “mamma quanto puzzi” da ambo licantropi e vampiri, e le raccontai tutto dall'inizio. Le dissi della mia idea e del consiglio di Sue, della sparizione di Alice e dello stato mentale a dir poco pietoso della famiglia Cullen, la possibilità che portassero altri vampiri in zona che però si nutrivano di sangue umano, la loro decisione di distruggere l'orso vampiro.
Le chiesi se per caso non avessero dato il permesso ad Alice di passare attraverso il loro territorio, o se avessero una vaga idea di dove potesse essere andata.
Ayita aggrottò le sopracciglia «Non credo di ricordare com'è fatta questa Alice. Qual era di loro?>
»
«Bassina, esile, capelli neri in tutte le direzioni, sembra un folletto matto. Di solito si veste con abiti costosissimi. Presente?»
«Più o meno» disse la mia amica, seria «No, non l'ho vista passare. Né le ho dato il permesso, e penso che non la abbia fatto neppure Sam».
Parlammo un po' di questo nuovo arrangiamento in cui facevo da ambasciatrice, poi la salutai e mi allontanai, sentendomi più leggera. L'aria al di fuori della casetta di legno mi parve leggera e frizzante, quasi aromatica, con l'odore di pini e salsedine che rimpiazzava quello di incenso nelle mie narici.
Il tempo si era fatto più sereno, persino i batuffoli di nuvole che avevano tappezzato il cielo si erano spostati quanto bastava per lasciar prendere un po' di sole alla mia pelle bianchissima.
Era una giornata davvero stupenda, e la vista di tutti quegli alberi e di tutto quel verde mi rinfrancò. Un mondo alieno, l'avevo definito al mio arrivo. Strano rendersi conto quanto poco fosse passato dall'inizio della mia avventura a Forks.
Mentre tornavo verso il mio pick-up – il suo muso rosso e bombato era giù in vista, un po' celato dai tronchi degli alberi – qualcosa attirò il mio sguardo. Era una sorta di luccichio bianco di cui non mi ero resa conto quando ero passata da lì prima, qualcosa di grosso poggiato a terra, quasi alla base di un albero.
Che fosse un Lycoperdon gigante, o un bel prataiolo? Se non andavo errata, c'era proprio luna crescente in quel momento, era un buon periodo per trovare funghi.
Si, ma più mi avvicinavo più c'era da scartare l'idea del fungo. Che diamine di brutto fungo era, lungo a quel modo, a sezione circolare? Cos'era, un tubo di gomma?
Mi ci accucciai finalmente accanto, esaminandolo sotto la luce gentile di un raggio di sole, passato attraverso le fronde fino al terreno. Battei le palpebre, infastidita: l'oggetto sembrava coperto di minuscoli diamanti lavorati, facendo intuire una serie di piccoli arcobaleni che ne coprivano la superficie. Doveva essere in minima parte in grado di scindere la luce quando la rimandava, ma dava comunque quella totale, completa impressione di bianco fatato.
L'oggetto si restringeva verso la sua punta, dove una sorta di articolazione piegata – più probabilmente si era rotto – continuava con un'altra sezione la cui forma era per metà annegata dal terriccio.
La toccai con un dito, cercando di capire cosa fosse. A dispetto della consistenza che mi ero immaginata, pressapoco quella di gomma o plastica dura, l'oggetto era liscio e freddo: sembrava di accarezzare marmo.
Improvvisamente quella cosa ebbe uno spasmo, rivoltandosi all'aria e in un lampo mi accorsi che l'articolazione era un'articolazione, anzi, un polso, che culminava in una mano che continuava ad irrigidire e contorcere le dita come larve affamate. Era un braccio. Un braccio zombie luccicante.
Mi tirai indietro di scatto ed inciampai in un sasso, uno vero, e caddi all'indietro con un urletto. «Che schifo che schifo che schifo!» Ripetei a bassa voce, mentre strisciavo via di qualche passo da quella cosa, che continuava ad agitarsi come se avesse voluto afferrarmi da dov'era.
Lara mi aveva detto che i vampiri brillano sotto la luce diretta e avevo visto da me che i pezzi continuavano a muoversi anche dopo essere stati attaccati dal dannato vampiro, ma un conto era saperlo e un conto era vederlo in combo.
«Che schifo che schifo che schifo» Cantilenai, mentre la mano si agganciava al terreno, cercando faticosamente di issarsi, girare in tondo, cercare me o forse il resto del suo corpo.
La scena era resa ancora più grottesca dal fatto che fosse una manina così graziosa – con le unghie curate e un po' lunghe, appuntite e le dita affusolate, una mano da giovane donna, quasi da pianista – e luccicante di diamantini ed arcobaleni a trascinarsi sul sottobosco in pieno stile horror.
Quella cosa andava bruciata, ma non potevo fare un fuoco libero a meno che non volessi dare via ad un simpatico incendio. Dovevo bruciarlo io? Avrei dovuto farlo vedere alle Quileute? Nel dubbio iniziai a ripulire il terreno da foglie e rami per evitare il propagarsi del mio eventuale fuoco, rivolgendo spesso occhiate a Mano per tenerla d'occhio.
A dire la verità, non c'erano molte vampire scomparse in zona.
Mi chiesi se, dopo aver bruciato Jasper, non mi stessi accingendo a bruciare anche quello che restava di Alice Cullen.
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