Erano prove del tutto circostanziali, ma per me fu come una conferma: quei due sapevano da prima del segreto delle ragazze-lupo. E se lo sapevano, ci doveva essere stato un motivo.
«Ayásocha?» Sussurrò Billy al suo vicino
«Yapòtalli» replicò stancamente Quil il vecchio, passandosi una mano fragile sui lineamenti. Aveva fissato il fuoco come se fosse stato in contatto con una qualche entità divina, ma adesso era tornato un comune uomo stanco.
Non avevo idea di cosa si stessero dicendo, quindi immaginai che stessero parlando la lingua dei Quileute. Una lingua strana, fluida a tratti ed esplosiva in altri, senza enne né emme.
«Stanno parlando Quileute?» Sussurrai a Jacob, guardando i due vecchietti con le palpebre socchiuse.
«Si»
«E che cosa si stanno dicendo?».
Jacob si strinse nelle spalle «Non ne ho idea. Non conosco il Quileute, è una lingua che parlano perlopiù i vecchi ormai. Io ho sempre parlato inglese. Comunque non si pronuncia, “quileut” come fai tu, né “quiliat”, come ho sentito fare a un sacco ad altri. La pronuncia sarebbe “quil-yoot”».
Ringraziai, imbarazzata di aver sbagliato finora la pronuncia della gente di uno dei miei migliori amici. Ero convinta che il vivere praticamente attaccati a La Push ci avrebbe garantito nessuno strafalcione, invece Carlo lo pronunciava “Quilauti” e solo dopo mi ero resa conto che non era probabilmente giusto. Magari lo sbagliava apposta, non lo sapevo. Quando ero piccola ero convinta che Quilauti fosse il nome di una merendina.
Chissà cosa si stavano dicendo, alle nostre spalle, quei due. Chissà cosa complottavano. Magari stavano rivivendo qualche momento lontano...
«E allora... facciamo congetture?» Propose Lara all'improvviso, con un sorriso assurdamente largo. Ayita si era alzata durante la pausa, approfittandone per intrecciarle i capelli in due lunghe trecce. Mi piaceva vedere Ayita impegnata. Sembrava quasi immersa in meditazione, ma le sue dita abili che correvano a stringere le ciocche libere di Lara nel momento giusto, per poi riportarle nel punto giusto.
«Ma tu non hai già sentito la storia?» sbottò Jacob a muso duro, tirandole un'occhiataccia
«Si, ma sono brava ad evitare gli spoiler. Comunque la prima volta ce l'ha raccontata Ayita» ed indicò la ragazza alle sue spalle con un pollice «Che penso l'abbia saputa da Sue. Ayita è una bomba a raccontare. Per carità, Sue è stupenda, ti fa venire la pelle d'oca, però Ayita fa le facce e le voci e gli effetti sonori».
Ayita abbozzò un sorriso, senza smettere di lavorare.
«Si, però Ayita è una Dungeon Master» obiettò Aida
«Dungeon Master? E che cavolo, ma quanti ordini segreti ci sono nel nostro branco di cui non sappiamo un accidente?» chiese il licantropo muscoloso, in tono esasperato
«Molti più di quanti tu possa aver visto ,giovane mortale» disse Omaha, misteriosa, gesticolando con ampi e lenti movimenti delle braccia, nello stesso istante in cui Aida rovinò la sua messinscena con un: «Non è un ordine, è un gioco. Dungeons&Dragons».
Le due si scambiarono un'occhiata e si strinsero nelle spalle.
«E così le ragazze della nostra tribù non solo possono trasformarsi in lupi, ma sono anche nerd?» Le punzecchiò Jacob
«Ma la vuoi finire?» dissi, tirandogli una gomitata sui suoi addominali che teneva tanto a mostrare in giro «Perché le devi sempre stuzzicare in questi modi?». Lui mi guardò innocente, ed io mi massaggiai il gomito. Apparentemente il suo stomaco non si allargava quando mangiava come un maiale ma decideva di aumentare la propria densità in barba a fisica e biologia, perché piuttosto che fare del male a lui provai una sensazione sgradevole al braccio.
«Ma ci trovate piacere a fare i maschi? Neanche si sapeva che esistevano le licantrope, e queste giocano pure alle cose da maschi» Quil il giovane si esibì in una risata piena e gioviale
«Da quando in qua Dungeons&Dragons è da maschi?» chiese Aida, battendo le palpebre
«E poi la vostra ignoranza non ci riguarda, visto che noi sapevamo benissimo che voi ci siete» Omaha gli fece la linguaccia.
Lara scelse l'approccio più diplomatico. No, non è vero.
«Sai in cosa ci trovo piacere? A metterti negli occhi questi spiedini dei poveri fatti con le grucce» Ringhiò Lara, affettando l'aria con uno spiedino. Quil smise di ridere, i due si guardarono. Sembravano sul punto di mettersi a ringhiare l'uno in faccia all'altra, poi gli occhi di Quil ricaddero sullo spiedino nelle mani di Lara, in cui erano infilzati quattro würstel uno sopra l'altro, gli ultimi di tutto il falò.
La ragazza, affamata come le sue controparti maschili, aveva deciso di mangiare un po' meno nella prima parte della serata ed adesso si stava rifacendo con entusiasmo.
«Me ne dai un po'?» Chiese Quil esitante «Ho fame»
«... Aspetta».
Lara si fece passare da Jacob la sua gruccia abbandonata, interrompendo per un secondo il lavoro di Ayita, e spostando due dei suoi salsicciotti sul secondo spiedino artigianale, che porse a Quil.
«Ecco qui, amico»
«Grazie, sorella» disse lui riconoscente, sbocconcellando con aria estasiata ciò che gli era stato regalato.
«E tutto è bene quel che finisce bene» Dissi io, appoggiando la testa alla spalla di Jacob. Ovviamente era caldo, ma ancora per questo più confortante.
Lui mi strizzò un po' le spalle con un braccio. «Non avevi troppo caldo per farti toccare?» Mi chiese, divertito
«Si. Però adesso che è praticamente notte la temperatura è scesa e io non ho un giubbotto»
«Perché non ti sei portata neanche una giacchetta?»
«Perché ho un Quilaiut» risposi io, ridendo. Lui mi aveva già sottobraccio, e per uno della sua stazza e forza fu un niente agguantarmi e cominciare a fregarmi le nocche sulla testa. Lanciai un urletto e cercai di liberarmi ridendo, mentre le ciocche dei miei capelli lavati di fresco, e quindi ancora più leggeri, se ne volavano in tutte le direzioni. Ero sicura che con quelle manacce calde mi avesse ridotto i capelli ad un nido, ma ad essere sincera non me ne importava più di tanto in quel circolo informale.
«Hai caldo abbastanza?» Mi chiese lui con un sorriso, stringendomi al petto e cingendomi le spalle con entrambe le braccia. Mi poggiò anche il mento sulla testa, come un cane desideroso di contatto con il suo padrone.
L'analogia forse non era molto politically correct parlando di un licantropo, a pensarci bene, ma non credo che lui si sarebbe offeso.
«Sissignore» Annuii per quel poco che potevo, con un capoccione due volte il mio appoggiato addosso «Sono al calduccio e ho anche un taglio alla moda fatto da un esotico fan di Steve Austin»
«Esotico? Guarda che sei venuta tu nella nostra terra, viso pallido»
«Mi dispiace, Lupo Seduto. Però sei davvero un hair stylist di tutto rispetto»
«Augh»
«E questo cos'era?»
«Quileute, la mia lingua»
«Ma proprio per niente» lo stroncò Billy dal suo posto, e sia io che Jake scoppiammo di nuovo a ridere. Jacob aveva avvolto una delle mie mani nella sua. Inutile dire che la mia era scomparsa come in un trucco di magia, ma guardai affascinata il contrasto di quel che era rimasto visibile della mia mano, piccina e bianca, in quella di Jacob, grande e scura.
«La tua cultura è magica» Dissi convinta «E non intendo solo per tutto il vostro cambiare forma e fare esplodere vestiti. C'è un che di bello nel modo in cui vi riunire davanti ai fuochi, e le storie, e il modo in cui vi trattate gli uni con gli altri»
«Davvero?». Lui parve rimanere colpito e felice dalle mie parole.
«Davvero» Confermai.
«Belarda... ti da tanto fastidio che io prenda in giro le ragazze-lupo?». Lo sentii ritrarsi e mi voltai appena in tempo per vedere i suoi occhioni neri puntarsi nei miei. C'era un che di dolce, così simile a ciò che avevo visto le prime volte che avevo guardato il mio personale sole peloso in viso.
Se lui mi faceva l'effetto di essere più allegra e spensierata, mi dava l'impressione che tutto fosse facile, mi resi conto, era anche vero che io avevo un effetto su di lui.
Era più bambino quando era con me. Io stessa non potevo fare a meno di pensare a lui come una sorta di ragazzino gigante, un amico, quasi un fratello più piccolo di me. Anche per questo lasciavo che ci fosse tutta questa confidenza fisica tra noi due: mi faceva piacere quando eravamo vicini, ma non c'era niente di davvero romantico tra me e Jake.
«Non sono mica arrabbiata, figlio-lupo» Gli sorrisi «Non preoccuparti. Voi ragazzi-lupo fate così. Sono sicura che presto sarete come un branco solo, tutti lì a punzecchiarvi con le grucce e mangiare mucche».
Lui mi sorrise.
Quando Sue tornò, nessuno di noi aveva formulato uno straccio di congettura, ma almeno ci eravamo divertiti.
«Allora, giovanotti... Dov'eravamo rimasti?» Chiese la donna, stiracchiandosi e prendendo di nuovo posto accanto al vecchio Quil. La ragazza Makah alzò la penna per attirare l'attenzione e si mise a rileggere ciò che aveva trascritto dal racconto:
«Ehm, eravamo a “questo Freddo trovò la sua fine insieme a molti altri, tra cui alcuni Quileute innocenti, e la sua importanza alla nostra storia è del tutto diversa rispetto al ruolo di semplice antagonista”. Poi hai interrotto la storia»
«Grazie mille, Emily» Sue prese un profondo respiro. La sua voce si modulò nuovamente con la solennità che le leggende della sua tribù meritavano. «Il branco dei Quileute non era mai stato tanto diviso, e questo era il peggior momento possibile per subire un attacco. Se solo tutti i guerrieri-lupo avessero ascoltato. Invece, i Quileute dovettero scontrarsi con qualcosa con cui non avevano mai avuto a che fare. Quando il Freddo arrivò ai confini della tribù, arrivò di giorno. Le Ragazze del Tramonto stavano dormendo, reduci da un lungo giro di ricognizione in cui avevano trovato ulteriori cadaveri. Eppure quello che avevano trovato questa volta, nonostante fosse stato prosciugato di tutto il sangue, non sembrava essere la semplice vittima di un vampiro, per quanto orribile fosse l'idea che un'altra di quelle creature fosse di nuovo sul territorio. No: era stata prosciugata del sangue, ma allo stesso tempo era come se fosse stata prosciugata della vita stessa. La pelle era raggrinzita, i peli sfibrati. Una delle zampe sembrava essere entrata in stato di decomposizione molto prima del resto del corpo. Tutte le ragazze-lupo rimasero turbate da quella vista, e dall'odore di pura morte che aleggiava nell'aria, diverso da quello di un vampiro, ma con note decisamente simili. Anche gli animali fecero di tutto per comunicare loro lo stato di turbamento in cui versava la natura attorno ai Quileute, e le ragazze-lupo, da vere guardiane qual erano, non potevano ignorarlo. Che fosse una nuova specie di Freddo la cosa con cui avrebbero dovuto confrontarsi, più letale e distruttiva della prima? Avevano detto tutto questo ai loro colleghi, raccomandandogli di distruggere qualunque non-morto che fosse entrato nel perimetro del villaggio senza dargli tempo di fare alcun che. Così, quando il Freddo arrivò fu immediatamente circondato dai guerrieri-lupo ancora nelle loro forme di uomo. Ma il Freddo, al contrario di quello che era successo con gli individui precedenti, non sembrava ostile. Anzi, non aveva neppure l'aspetto celestiale dei primi due, o nessuna apparente bellezza neppure per gli esseri umani che ebbero modo di scorgerlo poco fuori dal villaggio. No, dimostrava tutto l'orrore della sua condizione di cadavere ambulante e sembrava soffrirne, così tanto che i Quileute quasi ne ebbero pietà, e non disposero subito dell'intruso. Al contrario, rimasero ad ascoltare cosa aveva loro da dire.
Il Freddo, che disse di chiamarsi George, veniva da lontano. Era venuto perché era curioso, aveva sentito accennare alla morte di due Freddi, che si erano tra loro scelti come compagni, e ne era rimasto molto colpito dato che sapeva di per certo che erano valorosi nel lottare. Non molte cose possono uccidere con tanta facilità un Freddo. Aveva dovuto fare molte e molte ricerche e ci era voluto molto tempo per capire dove i due erano stati uccisi, e una volta recatosi nell'areale approssimativo che gli era stato indicato, aveva saputo dalle tribù locali quello che gli era successo. Il vampiro ovviamente non parlava la lingua dei Quileute, ma era molto bravo nel comunicare a gesti. La storia vuole che fosse particolarmente affabile, quasi impacciato nella sua gestualità e tentativi di parlare, ma disponibile a ripetere e per nulla irascibile».
Che simpatico. Doveva essergli rimasto impresso, pensai, se il nome del capobranco maschile dei Quileute non ci era pervenuto ma che questo comunicava a gesti si.
«Dopodiché fece capire ai Quileute, sempre a gesti, che non aveva intenzioni ostili e che era stato solo curioso di vederli, ed aggiunse che, anche se avesse avuto intenti bellicosi, non sarebbe riuscito a portarli a termine perché non si sentiva bene. I Quileute gli chiesero cosa avesse, ma lui non riuscì a spiegarsi, quindi immaginiamo dovesse avere qualche sorta di debolezza e malore diffuso, al punto tale da condizionare anche il suo aspetto fisico e le sua capacità motorie. È una cosa molto grave per un predatore. Data l'incapacità di nuocere a qualcuno, il Freddo fu ritenuto praticamente innocuo e gli fu lasciata la possibilità di rimanere per tutto il giorno sul territorio Quileute, così avrebbe potuto vedere al lavoro sia i guerrieri-lupo che le Ragazze del Tramonto. George il Freddo rimase stupito nel sapere che vi erano anche ragazze-lupo. E così George il Freddo rimase davvero per tutto il dì ad osservare come la vita scorreva nella tribù, offrendosi addirittura di aiutare qualcuno dei lavoratori del posto con i loro compiti. Ma le persone erano diffidenti: nessuna delle loro esperienze con i Freddi era mai stata positiva, e questo non li stava massacrando solo perché sembrava avere qualche strana malattia dei Freddi, perché avrebbero dovuto fidarsi? Questo straniero malaticcio, tra l'altro, non aveva affatto il fascino degli altri Freddi. Anzi, era meno affascinante del vecchio più vecchio della tribù. Non lo volevano attorno. Tuttavia i guerrieri-lupo sembravano aver deciso che la sua presenza momentanea tra i Quileute fosse sicura, così a parte qualche lamentela borbottata ad intervalli regolari, la gente lo lasciò gironzolare.
In verità, avrebbero fatto meglio a non fidarsi anche i guerrieri-lupo. Mancava poco al tramonto quando qualcosa accadde. Il Freddo divenne improvvisamente immobile, senza rispondere a nulla che accadeva all'esterno. Subito dopo, intorno a lui si formò una sorta di alone scuro, come se gli occhi dei presenti fossero diventati incapaci di vedere solo nell'ambito della sagoma tremolante che abbracciava la figura del Freddo. Quello si alzò tenendo le membra abbandonate, come se fosse stato una grottesca, ballonzolante marionetta tenuta da una mano inesperta. La gente ebbe paura, subito furono chiamati i guerrieri-lupo.
Fu un massacro. Questo nuovo nemico non era il Freddo, ma aveva viaggiato dentro il Freddo, prendendo in prestito il suo corpo morto per viaggiare e muoversi, già privo di un anima e quindi perfetto per essere occupato da un'entità che era altra. Aveva attraversato mezzo mondo, lottando per mettere radici da qualche parte, e qui si stava manifestando. Risucchiava il calore. Il solo tocco risucchiava la vita, e qualunque scontro corpo a corpo risultava nell'indebolimento inevitabile dell'avversario, e più si cercava di sconfiggerlo, più orrori sembrava in grado di evocare. Necrosi, decomposizione, crescita di muffe e funghi. Nessuno osava più toccarlo, ma a questo punto fu la creatura che avanzò dentro il villaggio, distruggendo tutto ciò che toccava, rovinando i campi, prendendosi vite. Sembrava impossibile distruggerlo: per quanti danni gli si potessero fare, il Freddo posseduto da quell'entità demoniaca aveva poteri incredibili di rigenerazioni. Per quanto i guerrieri-lupo potessero sacrificarsi, il loro sacrificio era vano: il Freddo era sempre più forte.
Fu in quel momento che le Ragazze del Tramonto si svegliarono, allertate dalle urla della popolazione, e trasformatesi arrivarono di corsa sul luogo della battaglia. Neppure loro sapevano come fronteggiare il mostro, ma sapevano che era lento, seppure indistruttibile. Senza perdere tempo a rimproverare il branco maschile dei Quileute, le Ragazze del Tramonto si divisero in due: Pititchu e metà del branco rimasero a combattere, organizzandosi per allearsi con i sopravvissuti tra i guerrieri-lupo, l'altra metà del branco, guidato dalla figlia maggiore di Pititchu, si sarebbe dovuta occupare di evacuare il villaggio. Molti guerrieri persero la vita per salvare la tribù, ma in brevissimo tempo i guerrieri-lupo compresero che quella non poteva che essere una soluzione precaria al loro problema: se il mostro dentro il Freddo fosse riuscito ad annientare i guerrieri, cosa gli avrebbe impedito di trovare il resto dei Quileute e finire il lavoro? Provarono a bloccarlo sotto degli alberi, persino delle rocce, ma sembrava in grado di farli marcire o sbriciolarli senza problemi; provarono a dargli fuoco, l'unica arma che era sembrata davvero efficace contro i Freddi precedenti, ma le fiamme si spensero quasi appena lo sfioravano, come private di tutto l'ossigeno, affogate dall'oscurità che circondava il freddo. I Quileute erano disperati.
In quel momento, un corvo si avvicinò in volo alle lupe che combattevano. Alcuni pensano che non fosse un semplice corvo, per la sua capacità di comunicare con le guerriere e per il fatto che era uscito di notte, rischiando la vita per ispirare le guerriere, ma questa versione non è certa. Il corvo disse loro che aveva potuto parlare con un suo simile venuto da lontano, che aveva visto l'evoluzione di questa creatura, di questa notte incarnata. Il corvo straniero gli aveva raccontato che questa entità possedeva i corpi solo in una terra al di là del mare di solito, ma che cercava di aggredire quanta più vita possibile, nutrendosi di terrore e disperazione. Il corvo straniero gli aveva raccontato anche che c'erano pochi modi di sconfiggere questa entità, ma che se non la avessero fermata subito, avrebbe rotto l'equilibrio di quelle terre per sempre, soffocando la vita come la malerba che cinge i campi coltivati. Così, il corvo sussurrò quello che c'era da fare per sconfiggerlo nelle orecchie di Pititchu, e lei, pregando che quel meraviglioso uccello non fosse lì solo in veste di ingannatore come era solito per le creature della sua specie, eseguì.
Per prima cosa, c'era bisogno di indebolire la creatura. Per farlo non bastava combattere, o si sarebbe preso la vita e la paura dei suoi avversari, ed al contrario sarebbe divenuto più forte. Per indebolirlo bisognava fargli sprecare energie inutilmente, fargli fare marcire legno e seccare arbusti, farlo muovere, farlo sforzare, farsi inseguire in tondo, e continuare comunque a cercare di essere le prede favorite della creatura, piuttosto che permettere che cominciasse ad inseguire gli altri, indifesi Quileute. Il branco guidato da Pititchu fece come gli era stato ordinato. L'alfa maschio era perito tra i primi in quel confronto, sentendo necessario slanciarsi per primo all'attacco e difendere la propria gente: ora tutti i Quileute non potevano fare altro che seguire l'ultimo alfa che era rimasto.
Lo indebolirono, riuscirono nel loro intento, ed alla fine i suoi poteri non erano più abbastanza forti da impedire al fuoco di avvampare accanto a lui, ed anche le capacità mentali della creatura sembravano molto, molto inferiori. Sembrò che la furia omicida abbandonasse il Freddo e che la creatura fosse stata sconfitta, ma Pititchu si rifiutò di avere pietà: sapeva che l'entità si nascondeva ancora dentro il corpo del Freddo e che non appena avesse avuto di nuovo le forze si sarebbe manifestata nuovamente. E poi, perché lasciare che un demone simile continuasse a camminare indisturbato per la terra, una creatura per avere una parvenza di vita uccideva umani innocenti?
Pititchu bruciò George il Freddo mentre chiedeva grazia pietosamente e, una volta assicuratasi che i suoi resti fossero ridotti in cenere, prese quelle stesse ceneri e le divise in due parti: la prima fu seppellita in tre punti diversi, la seconda fu gettata al mare.
È difficile, giovani lupi, rendere quanto fu in realtà arduo quello scontro. Sembrava che le forze del mostro non finissero mai mentre persino loro cominciavano ad affaticarsi, durò ore ed ore, furono in preda alla sconforto. Alla fine non sopravvissero che cinque guerrieri-lupo, tre Ragazze del Tramonto tra cui Pititchu, e due guerrieri-lupo maschi: ben misera cosa rispetto ai due folti branchi che avevano vegliato sui Quileute. Quella battaglia lasciò su di loro non solo ferite fisiche, ma anche mentali, e molto pesanti. Era come se avessero combattuto la morte incarnata, con tutte le sue conseguenze ed il suo orrore, e non tutti erano riusciti a superarla. Non è facile perdere dei compagni di branco sentendo i suoi pensieri mentre li perdi, e dopo aver condiviso la loro mente tanto a lungo. Grazie al sacrificio di quei coraggiosi guerrieri non si è mai più sentito di quell'entità, sconfitta una volta per tutte, ma di quei cinque lupi, due di loro rinunciarono per sempre a combattere in forma di lupo e tornarono a vivere tra i Quileute come comuni cittadini, facendo per tutta la vita il conto con le ferite psicologiche che quello scontro arrecò loro. Pititchu non era tra loro: era l'unica a non poter fare a meno di amare la sua forma lupina più di quella umana, e non avrebbe mai abbandonato quello che era. Però anche lei era rimasta colpita dagli effetti di quella battaglia, forse in modo ancora più pesante degli altri, ma mantenne fino a prima di sparire dalla tribù la stessa dignità, gentilezza e spirito di avventura che erano sue.
Gli effetti di quella battaglia hanno le loro ripercussioni fino ai giorni nostri: le Ragazze del Tramonto smisero di fidarsi del giudizio degli uomini-lupo e i due branchi divennero completamente separati. In loro assenza, ignorando del tutto i loro avvertimenti, era stato fatto entrare un pericolo devastante per la comunità nella tribù, e gli era anche stata svelata la presenza del branco. Fecero promettere ai due uomini-lupo rimasti di non svelare la presenza del loro branco alle generazioni future e loro promisero. Il Branco del Tramonto fu presto dimenticato da tutti, un segreto dei Quileute che però non smise mai di vegliare sulla tribù decennio dopo decennio. Questo garantì al branco del Tramonto la totale autonomia e la capacità di organizzarsi ed agire immediatamente al primo segno di pericolo, avendo sempre dalla propria parte l'effetto sorpresa per poter sorprendere i propri nemici proprio come era successo quella lontana, lontanissima notte in cui una ragazzina aveva scoperto il lupo che era in lei, uccidendo Dask'iya'».
Il silenzio scese per un attimo sul cerchio attorno al fuoco, interrotto solo dal crepitare delle fiamme.
«Wow» Disse Jacob, a voce più o meno bassa
«Aspetta, aspetta mamma!» Esclamò Seth «Hai detto che Pititchu era gentile e dignitosa e tutte quelle cose prima di sparire dalla tribù... quindi poi se ne andò?»
«Si, tesoro» Sue gli passò gentilmente una mano tra i capelli «Rimase a guidare il Branco del Tramonto per molti anni ancora, ma decise in seguito che voleva continuare a vivere da lupo, ma non poteva più farlo qui. In parte perché voleva viaggiare e cercare di ritrovare Taha Aki, suo padre, in parte perché secondo lei non era saggio cercare di ostacolare i pericoli solo una volta che erano nel nostro territorio. Pititchu la considerava una scelta poco lungimirante ed egoista, perché non stavamo usando la nostra forza anche a favore delle altre tribù e per difendere la natura. Se lei si fosse spinta più lontano, disse, avrebbe potuto evitare che quel Freddo arrivasse fino alla tribù. Così, semplicemente, all'arrivo di un tramonto qualunque, Pititchu partì, e nessun Quileute, che noi sappiamo la vide più» la donna sorrise «Potrebbe persino essere ancora in giro per l'America, cercando di difenderci, e la cosa adesso più che mai ci farebbe comodo» Sue sospirò e cambiò espressione. Era come se il sorriso che aveva tenuto finora fosse stato forzato, usato per tranquillizzare i suoi figli.
Il viso di Sue adesso indossava un'espressione decisamente più seria. Non parlò subito, ma guardò il branco, come invitandoli a riflettere. Aveva esattamente l'espressione di una persona che aspetta che le si faccia una domanda specifica, e ci volle qualche secondo prima che Jacob azzardasse:
«Quindi... questa cosa delle licantrope è stata tenuta segreta per un casino di tempo, ma adesso ce la state raccontando. Siamo in pericolo, okay, questo l'ho capito. Ma, Sue, che cosa sta succedendo? Chi ci vuole attaccare?».
Sue annuì e si leccò le labbra. «I Volturi» Disse con gravità «Molti di voi non hanno mai sentito parlare dei Volturi, ed in realtà è una cosa positiva» sospirò «Belarda è stata la persona che ci ha avvertito del pericolo imminente, quindi sarà anche quella con maggior informazioni a disposizione. Belarda, per favore, vuoi parlare tu dei Volturi?».
Io non mi aspettavo di venire coinvolta nel discorso, e battei le palpebre per qualche secondo, abbastanza stupidamente immagino, prima di rendermi conto di cosa avrei dovuto dire.
«Ahem... si, va bene, Sue». Presi un bel respiro. Ero sicura che l'ingiustificato imbarazzo di cui ero vittima si sarebbe attutito mano a mano che spiegavo. Così iniziai a parlare, gesticolando verso i Quileute che mi guardavano incuriositi.
«I Volturi sono una... una specie di nobiltà per i vampiri. Sono considerato alla stregua di una famiglia da come me lo hanno spiegato, perché credo che i tre capi del clan siano fratelli e molto, molto antichi. Aro, Marcus e Caius, così si chiamano. Loro... in verità credo che quello che facciano sia una sorta di oligarchia tirannica, e che si siano auto-eletti, e questa cosa è un po' anticostituzionale. Sono sia l'aristocrazia che prende le decisioni, sia coloro che si inventano le leggi, che le applicano e i boia. Cioè, uccidono o puniscono qualunque cosa possa essere una minaccia per i vampiri o rischi di rendere il loro segreto di dominio pubblico. Insomma...»
«Fanno schifo» completò Jake per me con un sorriso
«Si» lo indicai con enfasi «Si, fanno schifo. Ma il punto è che, anche se sono dei succhiasangue schifosi, sono terribilmente forti ed apparentemente hanno una sorta di corpo di guardia, costituito esclusivamente da altri vampiri scelti per le loro abilità straordinarie. Non so quanti di voi ne sono al corrente, ma alcuni vampiri posso avere dei poteri extra che gli consentono di fare... cose, cose folli e francamente terrificanti. Solo nel – come si chiama? Ah, si – nel clan di Forks ci sono almeno tre vampiri con dei poteri extra, che sono cose tremende tipo lettura del pensiero, visione del futuro e influenza sulle emozioni. Che non sono neanche sicura siano i poteri più straordinari tra i succhiasangue, quindi la loro guardia è addestrata e spaventosa, e non la si può sottovalutare. Di solito non si spostano con tutta la guardia al completo, ma stavolta stanno venendo a prenderci con tutta la guardia, comprese le mogli, che credo a questo punto abbiano i poteri più forti di tutti. E stanno venendo per i vampiri di Forks ed i licantropi di La Push»
«Ma che diamine gli abbiamo fatto?» Sbottò uno dei ragazzi-lupo «Perché dovrebbero avercela con noi? Neanche li conosciamo?».
Mi accorsi che mi stavo mordicchiando l'unghia del pollice ed abbassai la mano di scatto «Una dei Cullen è andata a denunciarvi a questi Volturi, e li ha fatti mobilitare. Ha detto che siete stati voi ad uccidere uno dei loro, Emmett Cullen».
Gli raccontai tutto ciò che sapevo sulla minaccia imminente, cercando di rispondere alle numerose domande che l'argomento sollevò. Era difficile tenere tutto a mente, ma non potevo lasciare fuori nessun particolare.
Per un momento mi ritrovai a rimpiangere i bei vecchi momenti in cui ero appena arrivata a Forks, ed ancora credevo che Edward Cullen fosse solo un depresso che non aveva abbastanza vitamine.
Conclusi il mio discorso aggiungendo «Dato che la presenza di un orso vampiro in zona punta solo a loro come creatori, e gli orsi vampiri sono contro le leggi, anche i Cullen rischiano la pelle, quindi saranno dalla nostra parte»
«Ma chi li vuole!» Sbottò Quil indignato, sollevando il labbro superiore per ringhiare
«Nessuno di noi desidera allearsi con dei Freddi» concesse Billy dal suo posto, facendo schioccare la lingua contro il palato «Ma se Belarda sta dicendo la verità, e non c'è nessun motivo che stia mentendo, avremo davvero bisogno di tutto l'aiuto possibile. Non dico che dovremmo prenderli nel branco, ma la decisione più saggia è lasciare che militino e attacchino i nostri stessi nemici»
«Anche se sono stati loro a venderci?» Ringhiò Quil, tremando di rabbia. Quel ragazzo aveva seri problemi di auto-controllo
«Si. Se sopravviveranno alla battaglia, li faremo a pezzi» disse Sue solenne «Ogni vampiro neonato è considerato parte del clan da cui viene il suo creatore. L'orso vampiro è un Cullen ed ha appena mandato...» lanciò un'occhiata a Seth e Leah «... a farsi benedire il patto. Li stermineremo, così come avevamo promesso molti, molti anni fa. Ma per il momento l'importante è sopravvivere, e proteggerci a vicenda»
«Aspetta, quindi sono stati davvero i Cullen a trasformare l'orso vampiro?» chiese Seth, dondolandosi appena avanti e indietro sul posto
«Certo, scemotto» Leah gli rifilò una schicchera sulla fronte
«Ehi! Mi hai fatto male, scema cretina!»
«Sono le uniche sanguisughe a forma di persona in zona, chi vuoi che abbia corrotto l'anima di quel povero orso per farlo diventare una sanguisuga a forma di orso?»
«Ma si sono comportati bene fino ad ora» disse titubante il più giovane dei due, sfregandosi la fronte contrariato
«Beh... relativamente» dissi io, cupa.
Improvvisamente mi sentii addosso tutta la stanchezza che avevo tenuto a bada finora con gli abbracci, le storie e parlare di cose anti-sonno come dei nobili mostri ammazza-tutti. Adesso che mi ero resa conto non volevo fare altro che acciambellarmi nel mio lettino con Dracula tra le braccia e dormire fino a tardi, fregandomene di tutto solo per qualche ora ancora. Cercai di soffocare, senza successo, uno sbadiglio.
«Alla luce di ciò che abbiamo scoperto» Disse Ayita, alzandosi dal suo posto «Ormai è ovvio che tutti i Quileute devono riunire le forze».
Sam si alzò a sua volta, e le tese la mano.
Ayita la accettò, solenne, ma si sciolse in un sorriso appena la presa di entrambi divenne salda.
«I due branchi sono di nuovo uno solo» Dichiarò Billy Black, chiudendo gli occhi. Inspirò l'aria fredda della sera, soddisfatto.
«Di nuovo uno solo» Disse Sam
«Di nuovo uno solo» ripeté Ayita.
Il cielo ormai era diventato completamente buio. Il calore di Jake mi circondava, alimentando la mia voglia di semplicemente chiudere gli occhi e dormire. Mi sentivo sempre più pigra, le braccia pesanti, cedevo più facilmente agli sbadigli. Il fuoco si stava quasi del tutto estinguendo, rendendo l'illuminazione dei visi dei Quileute, con i loro lineamenti regolari e decisi, fioca e quasi grottesca.
Per un attimo desiderai che quel fuoco fosse blu, sarebbe stato tutto più magico.
Come potevo desiderare altra magia, dopo tutto quello che era successo?
Mi rilassai del tutto contro il petto di Jacob, lottando col sonno. Dovevo assolutamente partecipare a questa conversazione cruciale. Ne andava della vita dei miei amici, dovevo sapere.
Dovevo sapere, anche se sapevo già troppo.
Dovevo...
Qualcosa mi scosse il braccio.
«Forza, Bells» Mi disse Jacob all'orecchio «Siamo arrivati».
Strizzai gli occhi confusa: il fuoco era sparito. Fissai l'oscurità inaspettata, cercando di dare un senso a ciò che mi circondava.
«Siamo arrivati? Dove siamo andati?» Farfugliai intontita, e Jacob sembrò trovare la cosa divertente. La sua risata mi riempì le orecchie. Mi ci volle un secondo per capire che non ero più sulla scogliera. Jacob e io eravamo soli, e non ero più seduta per terra nella stessa posizione in cui ricordavo di essere un secondo prima, ed anche Jake si era spostato. A dire il vero, non ero neppure per terra.
Spalancai gli occhi nel buio, riacquistando lucidità. Come ero finita nella macchina di Jacob?
«Mi state prendendo in giro?!» Protestai, quando capii di essermi addormentata «Che ore sono? Mannaggia la pupazza della Peppa, dov'è quello stupido telefono?» mi toccai le tasche freneticamente.
«Facile. È passata da un po' la mezzanotte. Ti sto riportando a casa, ma non preoccuparti, ho chiamato io Carlo per dirgli che ora ritorni»
«Mezzanotte?» ripetei io, ancora disorientata. Fissai nell'oscurità e mi accorsi che stavamo entrando nel viale che portava davanti casa mia. Mi trovai a pensare che a quell'ora aveva un aspetto un po' alieno, ma era bella.
«Ecco qua» Disse Jacob, picchiettandomi sulla spalle e poi cercando di infilarmi qualcosa in mano, che tenni stretto automaticamente. Il cellulare. Avevo un avviso di chiamata persa da Carlo che risaliva ad una decina di minuti prima ed un nuovo messaggio da Mike, un'immagine. Decisi di non guardarla adesso e mi rimisi di nuovo il cellulare in tasca.
«Mi hai accompagnata a casa» Dissi, aggrottando le sopracciglia.
I miei occhi si erano ambientati abbastanza da vedere il bagliore luminoso del sorriso di Jacob.
«Ho pensato che se mi comporto in modo carino, potrò passare più tempo con te»
«Grazie, Jake, ma...» mi passai una mano tra i capelli «Mi sono addormentata! Era importante, perché nessuno mi ha svegliata?».
Lui fece una risata a bocca chiusa, probabilmente cercando di trattenersi, ma risuonò comunque come uno sbuffo nasale, una sorta di pernacchia nell'abitacolo scuro. Anche lui doveva vederci abbastanza bene al buio, perché si mise sulla difensiva appena si accorse dell'occhiataccia che gli lanciai.
«Scusa, scusa, non sapevo che volevi essere svegliata. È solo che ti sei addormentata da sola, sembravi esausta, non ho avuto cuore di svegliarti. Anche gli altri lo pensavano, sei così carina quando dormi. E non hai nemmeno resistito per vedermi mangiare la mucca. Hai anche detto un paio di cose».
Raggelai. «Che ho detto?»
«Niente su cose che non sapessimo di te. Cose tipo “Edward Cacchen” e “vi odio tutti, vampiracci” e qualcosa a proposito del fatto che Cesar Millan deve lasciarci stare».
Mi schiarii la gola, sforzandomi di ricacciare il rossore «Comunque, avrei voluto sentire il resto. Di cosa avete parlato? Siete andati avanti a lungo?»
«No, cose di strategia, di turni di allenamento eccetera, le cose concrete iniziano domani. Non ti sei persa niente Belarda» mi rassicurò.
Sospirai di sollievo. «Comunque stasera è stato... unico, vero?»
«Mi fa piacere che tu sia stata bene. È stato... bello, per me. Averti qui. Dormi serena, Bells. Non preoccuparti di niente: c'è il grande lupo cattivo qui»
«Non starmi sotto casa. 'Notte Jake. Grazie tante»
«'Notte Belarda» sussurrò, mentre mi allontanavo nel buio.
Mi fermai, con un piede per terra. «Jacob?»
«Si, Bells?»
«Avete discusso su... come posso aiutarvi? Avete pensato se... c'è qualcosa che posso fare per aiutarvi?».
Lui rise, ma stavolta era una risata amara, più consona a quella piccola, cinica parte di Jacob che mi aveva svelato una volta sola. «Sapevo che lo avresti chiesto, gliel'ho anche detto. Ne abbiamo parlato Belarda. Sei stata incredibile finora, hai dimostrato un coraggio che non ho mai visto in nessun altro che conosco».
Mi voltai a guardare il suo viso. Non vidi un accidente, perché era buio.
«Sei coraggiosa, Belarda, ma sei pur sempre un'umana, ed il branco vorrebbe che non ti facessi più coinvolgere in quello che riguarda questa guerra. Non hai nessuna possibilità di vincere o partecipare senza ostacolarci. Se i Volturi dovessero vincere a te non accadrebbe nulla, sarebbe la magia a sparire dalla tua vita. Saresti al sicuro. Se invece dovessimo vincere noi, saresti al sicuro comunque. Se dovessi lottare con noi invece moriresti quasi di sicuro, quando non è neanche una cosa necessaria. Non ti vogliamo, Belarda. Non ti vogliamo perché ti vogliamo bene. Buonanotte, Belarda».
L'auto di Jacob ripartì nella notte e provai a richiamarlo, a corrergli dietro, ma non feci neanche tre passi che ovviamente mi beccai una storta e rimasi a saltellare al buio nel giardino di casa.
Altrimenti, beh, il mistero aleggerà ed è una bella leggenda anche così.
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