venerdì 21 dicembre 2018

Sunset 88 - L'ultimatum


«Esci?» Mi chiese Edward, con tono noncurante. La sua espressione sembrava forzatamente neutra.
«Si. Sai, ho delle cose da fare e... Non abito qui» Gli ricordai mollemente, scendendo i gradini candidi della casa. Qualcuno dei vampiri doveva tenerci parecchio che la casa rimanesse pulita, perché con un via vai di zampe e scarpe del genere quei gradini sarebbero dovuti essere come minimo color catrame.
Lui sfoderò il sorriso che più odiavo, quello storto da un lato. «Torna presto da me».
Mi sa che mi tocca” Pensai, ma non dissi nulla. Non avevo voglia di dargli questa soddisfazione.
Quante tessere del puzzle era riuscito a mettere insieme? Di sicuro sapeva che tenevo parecchi segreti di recente, ma non aveva idea di quanti. Forse aveva letto nella mente di Jacob ciò che lui stesso mi aveva confidato mesi prima, ma non poteva sapere di Alice.
Aveva dedotto il motivo per cui non gliene parlavo? Oltre al fatto che lo detestavo, ovviamente. Intuiva che presto Aro avrebbe saputo tutto ciò che lui sapeva? Forse Edward era già arrivato a quella conclusione, il che avrebbe spiegato perché non mi avesse mai chiesto niente a riguardo. Immaginai che stesse cercando di non rifletterci troppo e di escludere il mio comportamento dai suoi pensieri.
Entrambi avevamo cose peggiori a cui pensare rispetto all'altro.
Salii sul mio Chevy sentendomi svuotata e stanca. Il pick-up aveva iniziato a darmi problemi, come se da un momento all'altro stesse per rendere il motore al Creatore. Se ci fosse stato qualche problema mentre ero in viaggio non avrei saputo dove mettere le mani.
Stavolta non mi tradì e, seppur protestando a gran voce, partì avviandomi sulla stradina fredda e umida.
Era passato Natale, una delle giornate più belle che avessi mai vissuto (anche se niente avrebbe mai potuto battere l'euforia della prima volta che avevo visto la WWE). Non avevo pensato a battaglie o vampiri millenari, ma solo a tutti gli amici che avevo incontrato, a tutte le cose buone che avevo mangiato, e a quanto fossero dannatamente carini Dracula e Lillo che si coccolavano davanti al camino acceso.
Io e papà avevamo fatto l'albero di Natale all'ultimo secondo perché avevamo il timore che i gatti decidessero di arrampicarcisi, proprio il giorno prima della vigilia, e la casa si era riempita di un odore di polvere familiare e meraviglioso quando avevamo tirato giù dalla soffitta gli scatoloni pieni di decorazioni brillanti.
Il pulsare delle lucine di Natale aveva un potere rasserenante su di me. Avevamo un vecchio modello di lucine tutte dorate, di quelle che se anche una sola si fonde sei perduto perché non riuscirai mai a trovare quell'unica lucina che ha mandato in corto circuito tutte le altre, che pulsavano secondo una sequenza sconosciuta.
Non avevamo ancora rimesso a posto niente, la casa ancora addobbata a festa nonostante si avvicinasse la fine del mese.
Undertaker non era tornato: un'altra cosa a cui non volevo pensare.
Era stato un pomeriggio uggioso, faceva già buio come al crepuscolo, e adesso che era davvero sera il buio era sempre più fitto. Attraversai veloce quella tetraggine nel guscio sicuro del mio pick-up, osservando i nuvoloni carichi. Il meteo alla TV non faceva che ciarlare allegramente di come la neve sarebbe arrivata sicuramente in questi giorni a Forks, sicuramente prima della fine dell'anno, ripagandoci per non essersi presentata a Natale.
Quella notte avrebbe nevicato abbastanza da attecchire al suolo e creare la scena nella visione di Alice? Mi sarebbe piaciuto arrivare almeno a vedere l'anno nuovo.
Secondo Edward mancavano altri due giorni. Non mi fidavo di per sé di quello che diceva quello sparaballe dai capelli fantasiosi, ma sia Tia e il signore del meteo che i due alfa avevano supportato la sua versione, quindi ero tentata di darla per buona.
Allora i clan e i branchi (ed io) si sarebbero riuniti nella radura, attirando i Volturi nel posto che avevamo scelto.
Mentre finivo di attraversare la foresta che si rabbuiava, vidi la casa di Mike apparire come una scialuppa di salvataggio in mare aperto.
Gli mandai un messaggio veloce per fargli sapere che ero arrivata, e lui aprì la porta sorridendo e cercandomi nell'oscurità con lo sguardo. Quando mi trovò, si illuminò.
Parcheggiai e spensi il motore, scendendo e rivolgendogli un cenno di saluto con la mano.
«Eri dietro la porta?» Gli chiesi con un sorrisetto «Sai, hai aperto subito la porta quando ti ho mandato il messaggio»
«No no, è capitato» lui parve imbarazzato «Ciao Belarda»
«Ciao Mike. Jessica c'è già, vero?»
«Si, c'è anche Jessica». C'era un che di strano nella sua voce, come se stesse per raccontarmi una battuta scema.
Mi fece accomodare in casa con un gesto galante della mano e mi trovai improvvisamente davanti Jessica, con i capelli riccissimi liberi e una maglia a maniche corte gialla, con una scritta bianca “When life gives you lemons...”. Sembrava la maglietta di un pigiama.
«Bells!» Esclamò allegra «Ti posso strapazzare un poco?»
«Non troppo, mi sento già strapazzata di mio» concessi con un sorriso. Jessica mi strinse a lei, ed ebbi modo di constatare che non aveva più le braccia magroline di quando l'avevo conosciuta, ma muscoli sfilati e ferrei da atleta.
«Come mai le maniche corte?» Chiesi, mentre lei si staccava da me tenendomi le mani sulle spalle, scrutandomi in viso come una zia orgogliosa
«Non sono venuta con le maniche corte. Ho anche una giacca, ma Mike è un freddoloso e ha aperto tutti i condizionatori e stavo per sciogliermi»
«Non sono freddoloso! Si gela» esclamò Mike indignato, e Jessica fece una risatina, guardandomi con le sopracciglia sollevate come a dirmi “visto?”. Era vero, comunque: non appena ero entrata ero stata abbracciata dal calore confortante dell'interno di casa Newton. Comunque non avevo nessunissima voglia di stare leggera come Jessica: mi piaceva stare calda calda.
«Oh, guarda chi c'è!» Esclamò Jessica «Ma ciao amore mio, ciao!».
Ovviamente non parlava con me: il cane di Mike si era fatto vivo per vedere chi c'era alla porta e adesso mi guardava scodinzolando, con aria un po' persa.
Jessica si inginocchiò ed iniziò a tirargli le guance e accarezzarlo con vigore, allegra.
Lasciò che venisse ad annusarmi e io ricambiai con qualche carezza, fece il giro passando per raccattare qualche coccola anche da Mike, poi tornò da Jessica.
«Che amore che sei, ma ciao!» Jessica alzò lo sguardo verso il ragazzo «Il tuo cane è ingrassato».
Mike roteò gli occhi «E ci credo, faceva gli occhioni dolci a tutti i parenti. Sono ingrassato anche io con queste feste»
«Facevi gli occhi dolci a tutti i parenti?» chiesi io, pulendomi i piedi sul tappetino per sicurezza
«Ehm... no. Non proprio. Okay, solo un pochino»
«Tutti ingrassiamo a Natale» concessi con magnanimità, decidendomi finalmente ad entrare «Anche io mi sa che ho preso un po' di peso»
«Io no, sono dimagrita» dichiarò raggiante Jessica «In compenso il mio sensei ha detto che se mi gioco bene le carte potrei salire di livello al prossimo esame per la cintura».
Se fossimo stati persone un po' più meschine, forse l'avremmo odiata un pochetto in quel momento.
«Allora, che si fa? Ci prendiamo una pizza?» Proposi
«Se siamo fortunati, il tizio delle pizze magari è carino» osservò Jessica
«Se siamo fortunati, magari è una tizia» replicò Mike
«Se siamo fortunati, ci porta una pizza che sembra una pizza e non uno stivale con le formiche e un poco di formaggino sopra» dissi io
«Oh, questi italiani, come sono permalosi con il loro cibo!» mi stuzzicò Mike, mentre mi sedevo al tavolo del salotto, a cui si accedeva da una porta vicina alla piccola sala d'ingresso.
Ci disponemmo intorno al tavolo tutti insieme, ma sapevo che la mia idea aveva vinto perché Jessica aveva estratto il cellulare e stava facendo un numero leccandosi le labbra.
«Dici bene, il nostro cibo!» Dissi trionfante, accarezzando il cagnolone di Mike che venne a posarmi la testa su un ginocchio. Sicuramente voleva il cibo di cui stavo tanto parlando, ma si dovette accontentare delle coccole. «Scherzo. Comunque non tutti gli italiani sono permalosi per il cibo. E neanche io, non tanto...»
«Ah si? Dimmene uno» sfidò il mio amico, tamburellando le dita sul tavolo
«Mio padre. Non sa neanche cucinare senza creare un mostro senziente dagli spaghetti, figurati se si fa problemi per la pizza».
Jessica aveva parlottato al cellulare fino a quel momento, e si intromise per chiederci: «Come volete la vostra, bambini?»
«Uhm, patatine e wurstel?» azzardò Mike
«Io la prendo come la prendi tu, Jess. Tanto lo so che hai gusti migliori di Angela» dissi, riferendomi a ciò che la nostra amica, ora assente, aveva ordinato a La Bella Italia tanto tempo fa.
Jessica ammiccò e ordinò una pizza con patatine e wurstel da un lato e con il salame dall'altro, poi gli diede l'indirizzo di casa di Mike e riattaccò «Ecco fatto!»
«Allora, come mai questa voglia improvvisa di vederci tutti?» mi sincerai, appoggiando la testa sul dorso delle mani. Più che altro, ero stranita che non avessimo invitato anche Angela; più probabilmente Jessica, che era quella che aveva organizzato tutto, doveva averglielo chiesto ma Angela doveva essere stata impegnata.
«Ah, così» Jess si strinse nelle spalle «È bello tenersi in contatto durante le vacanze. È un check-up per vedere se stiamo tutti bene. Tu stai bene, Mike?»
«Si, sto bene Jessica. Tu stai bene Jessica?»
«Alla grande, Mike. E tu, Belarda, come va?»
«Tutto a posto» assicurai in tono neutro.
I due si guardarono. Guardarono me. Aggrottai le sopracciglia e mi chiesi perché si fossero interrotti.
«Sicura sicura?» Mi chiese Mike
«Ehm... si»
«Proviamo di nuovo» sospirò Jessica «Io, Jessica, sto bene. Mike sta bene. Come stai, Belarda?».
Battei le palpebre, avvertendo una sorta di irritazione iniziare a farsi sentire. Battei nervosamente un piede a terra. «Aspetta, mi chiederete come sto finché non vi dirò che sto male? E a che cavolo serve questa cosa?».
Jessica mi guardò con rimprovero: «Come stai Belarda?».
Probabilmente notando il mio cambio di umore, Mike prese le redini della conversazione «Okay, okay, non volevamo parlarne così, mi dispiace, Belarda. In effetti, volevamo davvero che fosse una serata tra amici e basta, ma già che c'eravamo volevamo...»
«Sapere che stavo male» brontolai
«No. Volevamo sapere come stai»
«E cosa possiamo fare per te» aggiunse Jessica. Mi sentii in colpa per aver risposto in modo brusco, ma allo stesso tempo era palese che volevano che io dicessi che mi sentivo male. Ma perché?
«Beh, grazie per la preoccupazione» Dissi lentamente «Ma non capisco bene come ci siete arrivati».
Mike sospirò, acchiappando per i fianchi il suo cane che stava cercando maldestramente di salirmi in braccio.
«Beh, lo abbiamo notato noi e l'ha notato anche Angela, e anche Lauren a dire la verità. Sei... un po' diversa di recente. Sembra che ti sforzi di essere felice quando parli con noi, ma quando sei per conto tuo sembri triste, tutta persa nei tuoi pensieri».
Riflettei sulle parole di Mike. Era davvero così?
Jessica vide la mia insicurezza e mi sorrise dolcemente. «È tutto okay, anche se non lo è. Intendo, puoi sempre parlarcene, Belarda».
No, non potevo.
«Non devi essere sola in questa cosa» Mi disse Mike «Qualunque cosa sia»
«Non sono sola» mi affrettai a dire, ed era vero. Non ero brava a mentire, quindi districarmi da questa situazione senza farli preoccupare ancora di più, o rischiare che ne parlassero con papà e facessero preoccupare anche lui, sarebbe stato complicato.
Ma... volevo essere sincera. Per quanto potevo.
«Ecco, lo stai facendo di nuovo» Disse Jessica «Sei persa nei tuoi pensieri, non ti accorgi di quello che succede agli altri. Una volta eri, tipo, super recettiva a tutto quello che facevamo»
«Beh, non credo che ci sia molto da perdermi adesso, siete qui a fissarmi e basta» sbottai. Non volevo rispondere male, ma mi sentivo di nuovo irritata.
Un attimo di silenzio, poi Mike prese di nuovo la parola e mi disse «Io e Jessica ci siamo lasciati da settimane».
«Oh» Dissi, stordita «Oh. Ehm... perché non me lo avete detto?»
«Beh, ci siamo lasciati in termini amichevoli, non è cambiato troppo per l'equilibrio del gruppo, e io e Mike siamo ancora amici» Jessica si strinse nelle spalle «E poi, non volevamo che ci pensassi troppo. Perché è ovvio che ci sono cose a cui devi pensare di tuo».
Mi mordicchiai il labbro inferiore.
«C'è qualcosa che mi preoccupa» Ammisi, e vidi entrambi rilassarsi «Ma non è una cosa che... è una cosa che devo risolvere io. E va bene così. Non posso farlo in nessun altro modo, però vi ringrazio davvero tantissimo per esservi preoccupati per me e avermi chiesto. Siete brave persone, e bravi amici»
«Sicura che non possiamo fare niente per te?» chiese Jessica.
«Ci deve essere qualcosa!» Stavolta fu Mike ad insistere.
«No. No, devo essere io. Ma grazie».
Ero davvero contenta che ci tenessero a me, ma avrei voluto che non avessero tirato fuori l'argomento perché adesso non potevo fare a meno di sentirmi sotto scrutinio ogni volta che iniziavo a perdermi nei pensieri e tornavo in allarme. Jessica fece del suo meglio per mantenere viva la conversazione facendo ciò che le veniva meglio dopo i calci rotanti, e cioè parlare a ruota, ma non ero più a mio agio.
Non avevo fatto finta di essere felice mentre ero con loro. Ero davvero felice.
Adesso mi sentivo come se avessi avuto bisogno di una pausa da tutto, anche da loro due.
Me ne andai con la mia porzione di pizza ancora calda nel cartone non appena arrivò e finimmo di spartircela, e guardandomi indietro vidi che Mike mi seguiva con gli occhi e aveva un'espressione a metà fra l'ansia e il rimpianto.
Il viaggio di ritorno durò molto di più. La notte era nera, così accesi i fari e andai pianissimo. Non mi piaceva viaggiare di notte con un signore anziano come il mio Chevy, rischiando di tirare sotto animaletti.
Quando arrivai a casa mancava l'auto di papà dal vialetto, il che era strano. Non mi allarmai però: se c'era qualcosa da sapere me lo aveva sicuramente appuntato sul frigo, se era abbastanza breve da stare in un post-it, o me lo aveva lasciato in un pezzo di carta sul tavolo tenuto dalla fruttiera.
Avevo ragione: papà aveva lasciato un post-it giallo con su scritto “Sono a fare la pace con Billy. Torno presto! Ho dato io da mangiare a Dracula. Comportati bene. -Papà”.
Quel messaggino scarabocchiato riuscì a strapparmi un sorriso! Oh, finalmente! Dopo tre mesi, finalmente si decidevano a porre fine a quel loro inspiegabile litigio.
Il che, sostanzialmente, mi lasciava la casa tutta per me. Peccato, mi sarebbe piaciuto passare un altro po' di tempo con papà.
«Mrrruh» Mi salutò Dracula alzando la coda, e con due balzi agili salì sul tavolo, dove avevo cercato di scoraggiarlo in tutti i modi dal salire.
Lo presi in braccio, dandogli colpetti leggerissimi sul naso. «Gatto monello. Tu sei un gatto monello!».
Le sue fusa istantanee mi riscaldarono il cuore, e Dracula si acciambellò sul mio petto come quel primo giorno al rifugio.
«Okay, sei un gatto bravo».
Cercai di scacciare il pensiero della serata deludente appena passata e, dopo essermi lavata le mani, mi trasferii in soggiorno a mangiare la pizza e guardare il televisore con Dracula accanto, dopo aver prelevato una delle birre di papà dal frigorifero.
Avevo bisogno di non pensare. Mi spostai su un canale che mandava solo cartoni animati e mi immersi in svariati episodi sparati tutti di fila di un cartone animato della Cartoon Network di nome “Hi hi Puffy AmiYumi”, che si basava sulle avventure di due pop star giapponesi, una darkettona e cinica e l'altra caruccia e solare.
Dracula si addormentò con la faccia sulla mia mano, sbavandomela un pochettino.
Papà fu di parola e rientrò presto. Passammo il resto della serata insieme.
Era di buon umore, alla fine aveva davvero fatto pace con Billy.
Non potei fare a meno di chiedermi, se le cose fossero volte al peggio, cosa sarebbe rimasto a papà. Se fosse il caso di lasciargli un qualcosa, scrivergli un biglietto.
Strinsi i denti e ricacciai l'impulso di piangere come una bambina. No, niente biglietto. Non potevo arrendermi così, non potevo dire addio a nessuno.
Non mi ero allenata notte e giorno per arrendermi così: ero più forte.
Tutto si sarebbe deciso in pochi giorni. Non mancava molto.
Ormai non restava altro che aspettare.
Per due giorni Edward e Carlisle si fermarono nella radura dove Alice aveva visto arrivare i Volturi. Se il segugio dei Volturi fosse arrivato avrebbe cercato di prendere subito loro di mira: volevano essere pronti.
Nevicò diverse volte, ma nevischio scarso e sottile che si sciolse subito. Falsi allarmi.
Dal canto mio io avevo buone speranze di essere invisibile per Demetri, tuttavia rimasi con la mia famiglia e i miei amici umani finché potevo. Ci restavano poche ore prima dello scontro finale, e le passai con loro.
La strana tensione con Jessica e Mike fu rintuzzata nell'angolo, e riuscimmo a passare insieme giornate senza che mi psicanalizzassero o gli tenessi il muso. Ne fui grata.
Non avevo voluto scambiarmi un'ultima scena tragica di addio con nessuno, e non era nei programmi. Pronunciare quella parole equivaleva a renderla definitiva, a renderla più forte di me. Sarebbe stato come scrivere la parola FINE sull'ultima pagina di un manoscritto. Come lasciare i ringraziamenti sull'ultimo capitolo di una fanfiction. Quindi non dissi addio.
Ricominciò a nevicare la sera prima di Capodanno, e fu allora che seppi di dovere andare alla radura.
Baciai sulla fronte papà, strinsi Dracula, accarezzai Lillo, e chiusi bene la porta alle mie spalle per assicurarmi che il mio dolcissimo micio nero non potesse seguirmi. Mi vestii pesante, portandomi dietro il mio fido accendino, bustine di alcool e due bombolette di lacca, che infilai nelle tasche sproporzionate del mio cappotto pesante.
Stavolta i fiocchi minuscoli non si sciolsero sul terreno petroso della radura. Seth e Jake erano arrivati per fare da vedetta e chiamare gli altri in caso di bisogno, esattamente come Carlisle ed Edward sorvegliavano la situazione. Mentre Seth e Jacob dormivano – e lui russava così forte che non so come facesse lui a non svegliarsi – la neve formò un primo strato sottile ghiacciato sul terreno, poi si accumulò in mucchi più spessi.
All'alba, la scena della visione di Alice era completa.
Edward mi si avvicinò mentre accarezzavo con lo sguardo il campo bianco che riluceva, sentendo un tremito iniziare a formarsi da dentro i miei muscoli tesi. Allungò una mano fredda e cercò di stringere una delle mie, quasi altrettanto fredda, tra le sue.
Per tutta risposta gli infilai il mignolino nell'occhio.
Lui se ne andò da Carlisle. Nessuno dei due parlò.
Per tutta la mattina gli altri vampiri si radunarono, le tracce silenziose dei loro preparativi ben visibili nei loro occhi: alcuni di color oro chiaro, altri di un cremisi intenso. Poco dopo essere tutti insieme, sentimmo i lupi muoversi nei boschi.
Jacob uscì dalla tenda, senza lasciare che Seth continuasse a dormire, ed entrambi si mossero per unirsi a loro.
I due Cullen stavano schierando gli altri in una specie di formazione, con i testimoni ai lati, come spettatori.
Decisi di occupare la tenda dei licantropi finché non avessero finito ed osservarli lontano, rinfrancata dal calore corporeo dei due lupi che aveva riempito il piccolo ambiente.
Li vidi parlare e discutere gli ultimi dettagli sulla formazione, per l'ennesima volta, ma sapevo che non l'avrebbero cambiata. Sarebbe stato un errore: eravamo già al meglio delle nostre possibilità.
Sentii tranquillamente arrivare Jacob, ma non gli prestai attenzione finché non arrivò proprio accanto a me, ed infine si sedette accanto a me con un sospiro. Il suo fiato si condensò in uno sbuffo biancastro, che si scompose in fretta e sparì nell'aria gelida.
Era a torso nudo.
«Ciao Jake» Dissi piano.
«Ciao Belarda» Ricambiò lui, osservando la linea scura degli alberi contro il cielo. Il loro verde scuro e il marrone scuro ed umido dei loro tronchi faceva un meraviglioso contrasto con il suolo brillante di neve e il cielo nuvoloso, dipingendolo di tinte più scure come un bellissimo bosco d'ombra.
«Sei stata brava a mantenere il segreto fino ad ora» Si complimentò. Era serio.
Il mio piccolo sole personale era un ruolo che non si confaceva più a Jacob, adesso che in qualche modo rivendicava il ruolo di alfa che non aveva mai voluto per proteggere il suo branco. Però era sempre lui, ed era sempre troppo giovane per essere buttato così nella mischia.
«Dovrai dirglielo adesso, vero?» Chiesi in un soffio «Che Undertaker non verrà»
«Dovrò dirglielo» concordò lui, e chiuse gli occhi. «Non gli piacerà. Vorrei avere una bella notizia da dargli, per cercare di... rimediare»
«Non abbiamo molte notizie da dare, vero Jacob?»
«No, non ne abbiamo».
Mi aggiustai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Anche se non ero voltata verso di lui, sapevo che si era girato a guardarmi: sentivo i suoi occhi scrutarmi.
«Puoi andartene se vuoi, lo sai. Fai ancora in tempo» Mi ricordò
«Sarebbe una bella notizia da dare agli altri?»
«Non è questa la cosa importante. Tu non sei un mostro Belarda. Puoi ancora andartene, avere una vita normale»
«Anche tu Jake. Forse più di me. Se ti dicessi di andartene con me, adesso, lo faresti? Se ti dicessi che sono tornata da quel tale, J. Jenks, e mi sono fatta fare dei documenti falsi... se ti dicessi che ho nella tasca del cappotto dei passaporti e delle carte d'identità sicuri, che dicono che tu sei Jacob Wolfe e io Vanessa Swan, che possiamo scappare in qualunque momento... verresti con me?».
Stavolta mi voltai a guardarlo, e lo vidi guardarmi colpito. Non riusciva a capire se io stessi parlando per ipotesi o meno, ma aveva paura che io fossi seria, che avessi davvero fatto tutto questo.
«Non posso, Belarda» Scandì lui, come se gli costasse grande sforzo «Il mio posto è qui. Loro sono i miei amici, la mia famiglia, il mio branco. Come potrei abbandonarli?».
Gli sorrisi, e lui parve ancora più stranito dalla mia reazione.
«Allora sai esattamente perché non me ne posso andare, Jake» Mi tirai le ginocchia al petto e ci appoggiai sopra le braccia conserte, accucciata per scacciare i brividi di freddo che percorrevano il mio corpo «E poi, se voi perdeste, i Volturi saprebbero della mia esistenza e mi darebbero comunque la caccia. Avrei dovuto iniziare a correre molto tempo fa se avessi voluto rendermi irrintracciabile».
Jacob ci rilfettè, tornando in silenzio per qualche secondo. «Seth ti sarà assegnato come scorta. Verrà qui prima che io dica di Undertaker»
«Fate bene a tenerlo nelle retrovie»
«Già. Non lo faremo lottare, se non sarà necessario. Ma non è solo un lavoro da babysitter, sai. Quella cosa che hai imparato con lo scudo... potresti davvero salvarci la vita»
«Quello è lo scopo» abbozzai un sorriso «Farò del mio meglio, lo giuro».
Ci abbracciammo, e io sentii il calore del suo corpo e mi sentii legata a Jacob come se fossimo stati legati dal sangue. Magari non eravamo davvero fratelli, ma avremmo combattuto insieme, per proteggere noi e ciò che entrambi amavamo.
Poggiò la fronte calda contro la mia e sbuffò una risata che mi scostò alcune ciocche, e anche io ridacchiai.
«Se ci perdiamo di vista durante la battaglia...» Disse lui, esitante e insieme concludemmo:
«Abbi cura di te».
L'abbraccio durò ancora qualche secondo, che cercai di imprimere nella mia mente anche quando si allontanò per tornare dal suo branco. Era venuto per lui il momento di scrollarsi di dosso la pelle umana, ed essere lupo.
Mi alzai e decisi che era venuto il momento di prendere posto anche per me.
Edward inarcò un sopracciglio quando mi avvicinai, ma, ringraziando il cielo, non fece commenti stupidi. Mi concessi di ammirare davvero quelle iridi, come non ero più riuscita a fare da quando avevo capito che razza di mostro fosse.
Erano davvero belli, come resina che ancora si stava cristallizzando, di una lucentezza tra il miele e l'oro. Il suo viso era espressivo, ma non c'era nulla da leggere nei suoi occhi: né un addio, né la sicurezza di un uomo convinto di vincere.
«Voglio starti accanto Belarda» Mi disse in tono dolce e affettuoso, e io arricciai istintivamente il naso.
«Stai nel tuo» Gli dissi, offesa
«No, aspetta» Carlisle si intromise e mi guardò con occhi tristi «So che tu e mio figlio avete avuto dei problemi in passato, ma questo fa parte della nostra formazione».
Aggrottai le sopracciglia e attesi che mi spiegassero quel cambiamento dell'ultimo minuto, fissando male le scarpe di Edward.
«Non possiamo lasciarti sguarnita» Mi spiegò infatti lui «E al tempo stesso, sarebbe strategicamente vincente che fossi io a farti la guardia. Anzitutto non permetterei mai che ti accadesse nulla di male, e in secondo luogo, esercitare senza doverci subito difendere il tuo scudo e la mia lettura del pensiero contro il nemico ci aiuterà ad avere un maggiore controllo della situazione, soprattutto se nel frattempo anche Zafrina e Benjamin riescono ad usare le loro abilità».
Dovevo, a malincuore, ammettere che non aveva tutti i torti. Acconsentii.
La prima linea era formata da Carlisle, Rosalie, Tanya, Kate, Eleazar, Tia e Garrett. Dietro c'erano Benjamin e Zafrina, le migliori armi offensive del nostro piccolo esercito. Se erano i Volturi quelli impossibilitati a vedere, anche solo per pochi attimi, sarebbe cambiato tutto. Nella stessa linea d'attacco c'erano Senna, Liam ed Esme.
Zafrina era severa e spietata, e Senna al suo fianco ne era il riflesso quasi speculare. Benjamin era seduto per terra, con i palmi premuti al suolo, e borbottava qualcosa a proposito delle linee di faglia. La sera prima aveva sparpagliato mucchi di sassi in tutta la parte posteriore del campo, disponendoli a formare un paesaggio dall'apparenza naturale, e ora erano ricoperti di neve. Non bastavano a fare del male ad un vampiro, ma forse a distrarlo, almeno lo speravamo.
I testimoni si disposero a grappolo alla nostra destra e alla nostra sinistra, alcuni più vicini degli altri: quelli che si erano dichiarati erano i più vicini. Vidi che Siobhan si strofinava le tempie, con gli occhi chiusi per concentrarsi meglio. Stava compiacendo Carlisle, cercando di visualizzare una conclusione diplomatica della vicenda?
Quando Seth mi raggiunse, in forma di gigantesco lupo, passai una mano sulla sua pelliccia folta e posai la fronte sulla sua come avevo fatto Jacob per salutarlo, poi prendemmo posto qualche metro dietro gli altri, ed Edward ci raggiunse e mi si mise al fianco.
Nel bosco dietro di noi, i lupi invisibili erano silenziosi e pronti, cuori che battevano all'unisono e il fiato che usciva da tutte quelle bocche che si mescolava creando una nebbiolina che si allungavano verso il cielo.
Il cielo si coprì di nuvole che smorzarono la luce; avrebbe potuto essere sia mattina che pomeriggio. Edward socchiuse gli occhi per esaminare il panorama ed ero sicura che avesse già visto una volta quella stessa scena: nella visione di Alice.
L'arrivo dei Volturi sarebbe stato esattamente identico. Ora ci mancavano solo pochi minuti o secondi.
Mi sporsi ad affondare le dita nella pelliccia sopra la schiena robusta di Seth, sentendomi un po' meglio. Senza arrischiarsi a guardare indietro, Edward alzò di nuovo il braccio per offrirmi un'ultima volta di prenderlo per mano.
Feci finta di non vederlo, e lui lasciò ricadere il braccio.
Sentivo il cuore in gola battere ritmico, scandire i secondi, ricordarmi quanto volessi continuare a vivere, vivere, vivere.
Passò un altro minuto, mentre mi sforzavo di sentire i rumori che tradissero l'avvicinamento del corpo di guardia, pur sapendo che non sarei mai stata io ad avvertirli per prima.
Poi Edward s'irrigidì e sibilò piano fra i denti serrati. Con gli occhi si concentrò sulla foresta a nord del punto in cui ci trovavamo.
Fissammo anche noi lo sguardo in quella direzione, aspettando che trascorressero gli ultimi secondi.






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