lunedì 7 maggio 2018

Sunset 43 - In fuga da Alice e da Stephenie Meyer



Arriva un momento quando crediamo di avere avuto troppa paura, quando pensiamo di non riuscire a rompere le catene che ci imprigionano i polsi, quando pensiamo che una nostra reazione non possa fare altro che peggiorare la nostra brutta situazione, in cui crediamo di non farcela più.
Ed in questo momento abbiamo torto.
Io avevo avuto torto.
Mi sentii distaccatamente compiaciuta della lucidità che era subentrata nella mia mente da quando avevo preso la mia decisione e abbandonato il bar. Non ero esattamente tranquilla, camminando tra la folla dello zoo di Phoenix, ma non avevo paura. Anzi, mi stavo anche un po' divertendo.
Mi rifiutavo di abbassare la guardia. Non mi interrogai per chiedermi se questa mia lucidità era sempre stata parte di me o mi ero adattata alla situazione, semplicemente mi abbandonai a quella vigilanza da predatore annoiato.
Andare in un posto affollato avrebbe potuto essere pericoloso se non volevo essere rintracciata dai vampiri, giusto? Specie se questi avevano tra le loro fila un'indovina ed un telepate con i loro trucchetti da medium.
Beh, era per questo che stavo vagando per Phoenix tranquillamente, aspettando che gli eventi già predisposti si srotolassero e compissero con il giusto tempo, senza pianificare un fico secco. Da quel che avevo capito il potere di Alice era in grado di vedere solo degli eventi che venivano anticipati e decisi prima... quindi cosa sarebbe accaduto se mi fossi comportata come un gatto?
Se fossi stata così capricciosa da essere imprevedibile a me stessa?
Mi ero legata le maniche della felpa in vita lasciandomi a maniche corte – il clima aveva cominciato ad essere davvero caldo e secco – anche se la parrucca rosa e gli occhiali da sole che avevo indosso mi appesantivano un po'.
Si, ho detto "parrucca rosa" ed "occhiali da sole".
Contavo sul fatto che il resto del mio abbigliamento comune e poco appariscente non mi avrebbe fatto apparire troppo sospetta, ma dovevo stare attenta a tutte le tracce che lasciavo: chiunque mi avesse vista di me avrebbe ricordato la capigliatura e gli occhiali, cose che non avevo per nulla a che fare con Belarda Cigna. Se Edward avesse letto il pensiero di uno dei visitatori dello zoo e mi ci avesse trovata, neanche avrebbe capito che ero io.
Travestimento perfetto.
Per soli sei dollari ebbi il privilegio di vedere esaudito il mio desiderio del momento: cavalcare un cammello, prendendo parte alle Camel Rides; detto così sembrava una sorta di gara spericolata di cammelli alla Fast and Furious, ma per mia fortuna non era affatto così.
Un addetto gentile mi accompagnò al punto in cui i vari esemplari erano pigramente accosciati e mi aiutò a montare goffamente in groppa al mio cammello, una femmina tranquilla che si chiamava "Duna", mentre sorridevo e mi aggiustavo nervosamente la parrucca in continuazione (che non aveva nessun bisogno di essere aggiustata).
Sul cammello non c'era una vera e propria sella, ma una sorta di fazzolettone di un bel blu cobalto abbellito di disegni bianchi e delicati, che mi rese vagamente nervosa: era davvero carino, ma sembrava più utile a pulire tavolini che a mantenermi in sella.
Ma principalmente, dietro il pizzico di nervosismo e la lucidità da 007 in incognito (e che travestimenti) ero entusiasta, dovevo ammetterlo. Sin da piccola l'idea di toccare certi animali, specie se esotici, mi aveva messo addosso una sorta di timore reverenziale che non riuscivo a scrollare via neanche ora che ero un'adulta.
«È molto bella» Dissi toccando la peluria calda del cammello. Non era morbidissima, ma mi diede l'impressione di essere un animale molto solido «È buona, vero?»
«Buonissima» mi assicurò l'addetto con un sorrisetto di compatimento, afferrando le redini color sabbia della mia cavalcatura «Non si preoccupi, sono qui accanto a lei»
«G-grazie»
«Vuole anche una foto della cavalcata?»
«Uuh... si, grazie».
Duna mi guardò con espressione snob prima di alzarsi come se ci stesse facendo un grosso favore, e alzò il lungo collo verso il collo come per controllare com'era il tempo. "Tutti i giorni, tempo permettendo" diceva l'orario di quest'attrazione, perciò a Duna toccò farmi fare il mio giro e mettersi in posa per la foto, che intascai con un bel sorriso.
Mi sentii instabile sul mio posto per tutto il giro, ma era così strano guardare tutto dall'alto! E se mi giravo in una certa direzione, allo stesso tempo vedevo il panorama arido dell'interno di quella parte dello zoo e non riuscivo a vedere nessuno degli altri visitatori, alimentando la fantasia di essere una vera cavaliera di cammelli nelle vaste pianure asiatiche, come i tuareg.
Non so se fu una coincidenza o la norma, però tutti gli altri passeggeri che vennero contemporaneamente, prima e dopo di me erano bambini dai sette ai quattordici anni. La cosa non mi scoraggiò e, ringraziati e salutati tutti gli addetti che ebbero la pazienza di avere a che fare con me, mi allontanai in cerca di qualcos'altro da fare.
Cosa vedevano i miei occhi? Quel cartello diceva forse Stingray Bay?
Le razze erano tra i miei pesci preferiti, forse per via del loro musetto adorabile, forse per via del modo in cui sembravano volare nell'acqua, ma comunque come potevo perdermele?
Mi diressi verso l'attrazione e pagai il biglietto (tre dollari per gli abbonati, quattro dollari per gli adulti, gratis per i bimbi sotto i dodici anni, ma purtroppo ero ormai sedicenne). Insieme a me, entrarono decine di bambini, accompagnati da due donne, e mi chiesi se fossero una scolaresca visto che anche se erano in molti non ne avevano l'aria: erano troppo disciplinati e scherzavano fra loro con piglio fraterno invece di spintonarsi e dirsi le parolacce o ridacchiare da bravi compagni di classe. Che fossero tutti cugini, magari riunitisi per una grande rimpatriata familiare, accompagnati da due brave ziette?
Poi rimasi senza fiato. In un enorme acquario senza copertura, in pratica un vascone, c'erano almeno venti razze grigie che sembravano volare sospese sul fondo di sabbiolina grigia e nera. Mi precipitai a sporgermi sull'orlo della vasca e vidi i pesci passarmi vicinissimi.
Si muovevano veloci, quasi senza sforzo, come se fossero tirati da fili invisibili, muovendo appena le punte delle grandi pinne simili ad ali e trascinandosi dietro la lunga coda sottile come se fosse una scia. L'acqua era trasparente, cristallina, e ci misi una mano dentro.
Del tutto inaspettatamente, una delle razze mi passò sotto la mano, lasciando che sfiorassi il suo dorso. Fu una sensazione unica. Sapevo che per via dell'alta durabilità e della gradevolezza al tatto, il cuoio di razza era ricercato per fare borse e altri accessori, ma potevo scommetterci una mano che toccare quella pelle morta non era bello neanche la metà di quanto lo era toccarla viva.
I loro dorsi erano morbidi, "perlati", delicati e robusti a un tempo stesso.
Me ne stavo lì con una mano in acqua, a crogiolarmi nella vista di quelle splendide bestie e sperando che un'altra mi toccasse di nuovo, quando qualcuno mi urtò contro una spalla.
Alzai immediatamente gli occhi e vidi una donna dalla pelle chiarissima e rosata e lunghi capelli di un bruno scuro. Indossava una camicetta con un motivo rosso e nero sotto una giacca grigia e mi guardava con strano interesse.
«Salve» Dissi, troppo educata per urlare "E stia attenta che mi stava per buttare nel vascone!".
La donna fece un cenno con il capo
«Salve» rispose «Che ci fa una ragazza grande come te alla vasca?».
"La stessa cosa che ci fa lei, immagino" era quello che avrei voluto rispondere, ma mi limitai a un più cordiale «Sto guardando le razze. Sono pesci meravigliosi...»
«Come ti chiami?».
Oh, ma che voleva questa? Non che mi facesse paura (ero uscita viva da sotto le grinfie di un orso-vampiro-divinità dei boschi, volete mettere la differenza con una signora in camicetta?), ma mi irritava e metteva in imbarazzo quando persone estranee mi sbattevano addosso e mi chiedevano il nome.
«Mi chiamo Isabella Swan» Risposi, inglesizzando il mio vero nome perché non avevo voglia di inventarne uno da zero
«Molto piacere...» mi tese una mano, che le dovetti stringere con la sinistra perché la destra era bagnata «... Mi chiamo Stephenie Meyer»
«Ciao, Stephenie»
«Come mai indossi quella parrucca?»
«Oh, è per... per... i bambini» sorrisi «Sa questi bambini vengono dall'ospedale, sapendolo volevo divertirli. Mi guarderanno e penseranno "chi è quella ragazza buffa con i capelli rosa"? E sono un po' più contenta se so che questi bambini si divertono».
Sperai con tutte le mie forze che questa Meyer non sapesse niente sui bambini che ci circondavano.
«Oh, che gesto nobile» Disse lei, portandosi le mani al cuore e continuando imperterrita a starmi appiccicata addosso.
Sperai anche che questa signora non si fosse presa una cotta per me. Un vampiro pazzo era già abbastanza, non potevo permettermi anche una donna maleducata.
Ma che mi stava succedendo? Emettevo dei feromoni irresistibili? Perché la gente mi si appiccicava addosso?
«Senti» Mi disse ancora Stephenie, mentre cercavo di ritagliarmi il mio posto felice anche con lei appiccicata alla spalla, concentrandomi sulle razze «Sto scrivendo un libro e...».
Una razza mi toccò la mano. No, non mi sfiorò, si appiccicò proprio contro il mio palmo.
«Awww» Dissi.
La donna batté le palpebre confusa, prima di realizzare che il mio "awww" non era rivolto alla sua rivelazione.
Misi entrambi le mani in acqua dandole un po' le spalle e accarezzai delicatamente il dorso di quella meravigliosa bestiola. Non ero sicura di quanta forza stessi applicando in acqua, con la densità della materia diversa e tutto il resto, quindi mi veniva naturale essere molto delicata.
Stephenie non lasciò perdere, anche se a questo punto non capivo cos'altro avessimo da dirci.
«Ehm». Si schiarì la gola, una volta sola. Avrebbe potuto passare per un gesto naturale, ma qualcosa mi diceva che stava invece cercando di attirare la mia attenzione.
Così dissi la prima cosa che mi passava per la mente: «L'acqua mi sembra molto fresca»
«Sto scrivendo un libro» tornò alla carica lei, ignorandomi «Ed il tuo nome è molto bello. Ne stavo cercando uno per la mia protagonista, ti dispiacerebbe se lo usassi?».
Dato che era un nome fittizio poteva usarlo quanto voleva, però prima chiesi «Che genere di romanzo è?»
«Pensavo di fare qualcosa di originale, anche se mi piacerebbe che ci fosse una storia d'amore, che però insegna anche tante cose ai suoi lettori, piena di sentimenti. Come Cime Tempestose» confessò la sconosciuta, continuando a guardarmi in modo un po' vacuo. Era come se mi guardasse non perché io, la straniera con un bel nome ed i capelli rosa, fossi interessante, ma giusto perché non c'era nient'altro di più interessante.
«Come Cime Tempestose. Si, si, puoi usarlo. Se c'è qualche personaggio che muore, chiamalo Edward» Dissi, dando l'ultima carezzina alla razza prima che scodasse via. Cominciavo a trovarle più che aggraziate, proprio carine.
Sentii per un secondo la mancanza del mio Dracula.
«Oh no, non credo che morirà nessuno nel mio libro. Non è il genere di romanzo che ho in mente» Disse Stephenie, assottigliando le labbra
«Che peccato. Sarebbe stato meglio se fosse morto» borbottai, estraendo le mani dalla vasca e lasciandole sgocciolare.
«Se fosse morto...» Ripetè lei, socchiudendo gli occhi «Se fosse morto... se fosse morto... Oh! Un fidanzato morto!»
«Hai appena detto che non muore nessuno nel tuo libro» osservai, scrollando appena le mani sopra la superficie del vascone. Alcune razze si avvicinarono ad indagare senza peso i cerchi disegnati dalle goccioline che avevo schizzato, ed erano assolutamente adorabili.
«Infatti» Stephenie mi sorrise «Pensavo ad Edward, il fidanzato non-morto. Che te ne pare?»
«Un vampiro?» dissi inorridita
«Pensavo ad un fantasma... ma un vampiro è anche meglio!»
«Addio».
Mi girai sui tacchi e iniziai a camminare velocemente. Se c'era una cosa che non avrei mai letto in vita mia era quel libro.
Buona parte delle altre attrazioni erano momentaneamente chiuse o troppo costose per il mio budget di quarantacinque dollari, così decisi di uscire dal bellissimo zoo di Phoenix.
Oltrepassai l'entrata di legno semplice e l'arco squadrato con su scritto, infantilmente, "Phx zoo" con sopra una figura sintetica del globo terrestre. Via, via da lì, più lontano possibile da Stephenie Meyer.


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