venerdì 18 maggio 2018

Sunset 47 - Vieni a prendermi Mike!



Andavo alla deriva, e sognavo.

Mentre affondavo nell'acqua scura del mio inconscio sentii il suono più piacevole che la mia mente potesse ricostruire: bellissimo, rincuorante e vibrante. Ebbi appena il tempo di riconoscere le fusa del mio Dracula prima che si trasformasse velocemente in qualcosa di altrettanto bello, ma in qualche modo pauroso. Era un ringhio, anzi un ruggito, più profondo e selvaggio, pieno di furia.

Non vedevo nulla, ma mi chiedevo se l'orso vampiro mi fosse vicino.

Iniziai a respirare più velocemente. Potevo sentire il mio respiro risalire dalla gola e riempire lo spazio intorno alla mia testa, e ben presto non seppi più distinguere il mio respiro nel buio da quello dell'orso mostro.

Un dolore acuto squarciò la mia mano e la mossi di scatto, cercando di portarla davanti al volto, ma tutto era ancora buio. Mi sentii vicina alla superficie, ma non riuscivo a trovare la strada giusta per riaffiorare, per aprire gli occhi.

"Sei morta" Mi disse una voce all'orecchio, una voce profonda. Era quella di Alejandro de Rocamora, ed al tempo stesso era quella dell'orso vampiro, e lo sapevo con la stessa certezza con cui avvertivo il dolore alla mano. "Sei morta, Belarda. Non puoi tornare indietro".

Dal profondo, sotto quell'acqua di piombo, sentii la voce di un demonio che mi chiamava per nome, rendendo l'acqua ancora più pesante attorno al mio corpo profumato di caramella e trascinandomi di nuovo lontano dalla superficie.

«Lasciami!» Avrei voluto urlare. O in qualsiasi altro modo. Ma non riuscivo a trovare le labbra.

"Sei morta, Belarda" Mi sussurrò la voce di Undertaker all'altro orecchio "Per questo parli con i morti. Non posso fare niente per te".

«Oh no, Bella, no!» Gridava la voce del demonio, spaventato.

Spaventato? Da cosa? Da Undertaker, che aveva estinto suo fratello, o dall'orso mostro, l'ultimo lascito di Jasper su questa terra, che avrebbe potuto uccidere la sua famiglia e molte altre vite innocenti?

Oltre a quel suono tanto odiato, sentivo un altro rumore, un tumulto tremendo da cui la mia mente cercava di fuggire. Un ringhiare cupo e malefico, uno schianto terrificante, e un lamento acutissimo che si troncò all'improvviso...

Mi svegliai. Tremavo un po' di freddo e nervosismo e mi ritrovai a fissare la mano che avevo alzato anche nel sogno.

Mi faceva male, dovevo essermela grattata come un'ossessa mentre dormivo a giudicare da quanto era arrossata e questa sensazione si era riflessa in quegli ultimi terrificanti istanti di sogno. Mi chiesi se l'acqua calda fosse stata parte del problema.

In televisione non c'era più traccia del cartone animato, ma due teenager si gridavano l'uno contro l'altra con delle inquadrature così poco professionali da suggerire che si trattasse di uno di quegli pseudo reality che si stavano facendo spazio senza la mia benedizione su MTV.

«Oh no, Sally, no!» Gridò il ragazzo, gesticolando troppo «Non ti lascerò finire la nostra storia così!». Spensi la tv e mi alzai, rimettendo il telecomando dentro il centrotavola.

"Sei morta". Mi sfregai le braccia cercando di ottenere un po' di calore mentre andavo a prendere il resto dei vestiti. Che stupidaggine inquietante e deleteria; avevo il mio cervello da ringraziare per questi scherzetti. Ero vivissima, grazie tante.

A dispetto dell'incubo mi sentivo finalmente riposata e misi su i vestiti morbidi di mamma sentendomi pulita, riposata e un po' scossa. Chissà quanto avevo dormito?

Mi allacciai la cintura, spianando le pieghe della maglia. Sedici ore come avevo voluto? Auspicabile, ma poco probabile.

Aprii le tendine della finestra del bagno, e la quieta, spenta luminosità del dopo-tramonto, quando la sera non è ancora buia e il giorno non è più luminoso, mi salutò. Osservai i profili delle case in silenzio.

Era bastato affinché il mio piano si compisse?

Molto probabilmente si. Misi in una busta i miei vestiti sporchi e presi sottobraccio il libro dal titolo tedesco, indossai la parrucca ma non gli occhiali da sole ed uscii di casa. Avrei potuto scrivere un bigliettino a mamma per spiegarle la scomparsa dei vestiti... ma lei perdeva abiti in continuazione, non avrebbe trovato strano non riuscire a ritrovare questi; glieli avrei restituiti alla prima occasione.

Non avevo mentito al segugio, ricordavo ancora come arrivare alla scuola di danza. Se cercavo di ricordare in modo astratto le indicazioni per arrivare alla stanza degli specchi, dovevo essere sincera, non avrei saputo spiccicare parola. Ma adesso che le vie mi si presentavano davanti, sapevo perfettamente quale strada prendere, come un uccello migrante.

Raggiunsi l'angolo della strada a passo fermo. Che brava che ero, probabilmente da fuori non si vedeva una briciola del tumulto che avevo dentro. Ma ero determinata e più e più volte in quest'avventura avevo capito che potevi essere super-forte, velocissimo, ricco, avere tutte le caratteristiche di un super predatore... ma se non hai la capacità di pensare con la tua testa non sei nessuno.

Ed è per questo che avrei volato sempre più alto di qualunque di quei mostri.

Ora mancava soltanto una via; accelerai appena. Mi sentivo forte e allo scoperto al tempo stesso, desideravo con più forza di quanto avessi mai immaginato tornare nella verde e protettiva foresta di Forks... a casa.

Girato l'angolo che incrociava con la Cactus, vidi la scuola di danza, esattamente come la ricordavo. Il parcheggio era vuoto, le persiane sbarrate. Così isolato, con la luce che scivolava via sempre di più e dipingeva con le sue ultime deboli forze i contorni degli edifici di rosa e violetto, mi parve una visione quasi poetica, quella scuola priva di alunni.

Avevo mantenuto la promessa che avevo indirettamente fatto ad Alice, ero finalmente venuta alla stanza degli specchi. Mi avvicinai alla scuola e notai il cartello appeso alla porta. Era scritto da una mano giovane su una carta rosa acceso, magari il compito era stato assegnato ad una delle studentesse. Il pensiero mi fece sorridere. Diceva che la scuola era chiusa per le vacanze di primavera, e il puntino della "i" di "primavera" era una piccola margherita asimmetrica.

Sfiorai la maniglia, spinsi la porta con cautela. Non era chiusa a chiave. Mi sforzai di controllare il respiro e l'aprii,

L'atrio era buio e vuoto, raffreddato dal condizionatore che ronzava in un angolo. Perché c'era un condizionatore aperto in una scuola chiusa?

Contro una parete c'era una fila di sedie di plastica e il tappeto profumava di shampoo. Questa era una cosa nuova: ai miei tempi sapeva di tappeto. Immaginai un custode maldestro, magari tondo e baffuto come Super Mario, che lasciava accesi i condizionatori e lavava i tappeti con lo shampoo.

La stanza di sinistra era buia, la vedevo attraverso la finestrella dell'entrata. Le luci di quella più grossa, a destra, invece erano accese. Ma la finestrella era sbarrata.

Sentii per un attimo il cuore in gola. E se ci fosse stato ancora qualcuno dentro, un predatore ad attendermi nel buio...?

«Belarda! Bella!». Sobbalzai, sentendo la voce di mia madre spezzare il silenzio. Quello stesso tono isterico ed ansioso: il segugio aveva lasciato il videoregistratore acceso. Mi avvicinai cautamente alla porta, verso il suono della sua voce.

«Bella, mi hai spaventata! Non farlo mai più!» Continuò lei, mentre mi facevo strada verso la stanza lunga, dal soffitto alto. Mi guardai attorno per cercare di capire da dove venisse la voce.

La stanza degli specchi non sembrava per nulla quella disegnata da Alice o quella che era rimasta nei miei ricordi. Certo, la pianta era la stessa, ma sembrava che qualunque poltergeist si fosse abbattuto con violenza sulla stanza non avesse avuto intenzione di risparmiare nessuno dei mobili; la grande finestra a parete e molte delle specchiere erano irreparabilmente rotte in mille pezzi, spaccate o, nel migliore dei casi, profondamente incrinate. Il vetro aveva riempito il pavimento di schegge e di una sottile polverina di diamante brillante che crocchiava sotto le mie suole.

Mi specchiai in uno dei frammenti a terra e mi stupii un po' di vedere che avevo un'espressione neutra, forse un po' infastidita, come una donna d'affari alla fermata di un autobus che è arrivato qualche minuto dopo l'orario prestabilito.

Sentii la voce ridere alle mie spalle.

Mi voltai di scatto. Eccola, dentro il televisore, intenta ad accarezzarmi i capelli, tranquillizzata. Il video era stato girato durante il Giorno del Ringraziamento, allora avevo dodici anni ed eravamo andate a trovare mia nonna in California, l'anno prima che morisse. Un giorno avevamo fatto una gita in spiaggia e mi ero sporta troppo da un molo. Mamma aveva visto i miei piedi muoversi convulsi nel tentativo di restare in equilibrio.

Spaventava, aveva urlato: «Belarda! Bella!». Presi il telecomando, poggiato con cura sopra il videoregistratore e lo puntai contro il televisore. Lo schermo diventò blu, poi nero.

C'era stato, indiscutibilmente, un tremendo scontro nella stanza degli specchi.

Mi chinai sul videoregistratore e gli feci sputare la cassetta casalinga per portarla via con me. Era logico assumere che tutto questo disastro fosse opera di vampiri.

Due umani che si affrontano in una stanza avrebbero lasciato molto sangue a scagliarsi l'un l'altro contro gli specchi, e se fosse stato vandalismo non avrebbero certo lasciati intatti gli unici pezzi di tecnologia un po' più avanzata. Quindi era praticamente sicuro che fossero stati il segugio ed Edward ad affrontarsi nella stanza: il livello di tensione tra i due era tale ormai che qualunque cosa fosse accaduta erano destinati allo scontro.

Edward voleva fare a pezzi il segugio – non ricordavo già più il suo nome – perché aveva osato toccare qualcosa che riteneva suo, il segugio aveva voluto toccare qualcosa che Edward considerava proprio giusto per invitarlo allo scontro, per mostrargli di essere un cacciatore migliore.

Il combattimento si era limitato ad una stanza sola, quindi era stato veloce. Se doveva esserci un vincitore, scommettevo su Edward: non sarebbe mai venuto da solo, avrebbe avuto almeno Alice e Carlisle dalla sua.

Speravo che il segugio si fosse portato all'inferno qualche altro vampirastro, ma forse era chiedere un po' troppo. Eppure ce l'avevo fatta. Ce l'avevo fatta. Il segugio era morto, io ero fuggita dai Cullen, non mi restava che tornare a Forks ed organizzarmi con le ragazze-lupo per far fuori i Cullen restanti.

E poi sarei stata libera! Del tutto libera! Al sicuro!

Corsi fuori dalla scuola improvvisamente rinvigorita, tirando un pugnetto all'aria. Bene, ultima fase del piano da attuare. Non mi restava che salvarmi con il potere della tecnologia!

Ritornai a casa e mi diressi filata verso l'armadio dove Phil teneva due cellulari di ricambio. Ne attaccai uno alla rete elettrica, lo accesi e messaggiai a Mike. Mi ci volle un bel po' per ricordarmi quale fosse il suo numero di telefono, ma infine, come in un'ispirazione divina, me lo ricordai.

Mike, ci sei? Sono Belarda. Scrissi, concentrata. Dopo pochi minuti, quel bravo ragazzo rispose al mio appello:

Eccomi, Bela :D

Eccoti :) Senti, ho bisogno di te, caro amico mio del cuore.

Vuoi dei soldi, vero? |:(

Aggrottai le sopracciglia.

No, Mike! Ho bisogno che mi vieni a prendere, sono rimasta da sola e devo tornare a casa!

Allora non c'è problema! Dove sei? :D

A Phoenix.

|:I

Allora?
Stai scerzan do?

N o. Non sto "scerzan do". Mi vieni a prendere?
Aspetta. Vedo sul sito.

Che sito?
Distance between cities. È un sito che dice le di stanze.

Ah.

Attesi con trepidazione. Non sapevo che ci fosse un sito internet anche per stabilire quanta distanza c'era fra un paese e l'altro... e comunque sapevo che erano più di mille miglia. Stavo chiedendo a Mike un grosso, grosso favore.

Sono 1583 miglia! Mi scrisse. Potevo quasi vedere il suo volto allibito.

Si.

Belarda, è un giorno almeno di macchina! Il carb mi cost $124-242.

Te lo ripago, lo prometto!

Ma non puoi farti prendere da tuo padre?
No! Papo non sa niente!

Cm non sa nnt? :O

Ti spiego poi. Dopo.

Bela, che cosa stai combinando?
Sto scappando dai Cullen.

Ok. Ti vengo a prendere.

DAVVERO?
Si. Davvero. Cosa non si fa per gli amici? Dove sei?

A casa di mamma.

E nn può portarti lei?
No. Lei non c'è.
Dnnazione!

Messaggiammo ancora un po', poi seppi che si era messo in viaggio. Mike era il ragazzo più dolce, gentile, adorabile, simpatico che avessi mai conosciuto ed era disposto a fare cose pazzesche per me. Non avrei potuto chiedere di più da un migliore amico.

Ne approfittai per rilassarmi ancora un po': mi preparai una lasagna con gli ingredienti che trovai e poi mi misi a cercare qualcosa da guardare fra i vecchi DVD del wrestling che non avevo portato con me a Forks.

Avevo un cofanetto da tre dischi intitolato "Tombstone – La storia dell'Undertaker" e ricordo con chiarezza che mamma aveva cercato di dissuadermi in ogni modo dal comprarlo. Era una raccolta di match di Undertaker, ovviamente. A guardarlo sulla copertina, adesso, mi veniva da sorridere.

Non avrei mai pensato di incontrarlo dal vivo. Da quando mi ero trasferita da Phoenix a Forks, nel tentativo di avere una vita più calma, avevo ottenuto una giostra mortale di eventi folli, ma ero cresciuta a avevo coronato alcuni dei miei sogni più oscuri, fra cui incontrare il tizio che avevo sulla copertina di un cofanetto da tre DVD.

Quella sera, mentre mangiavo lasagne calde davanti alla televisione, ripercorsi alcuni dei match storici dell'Undertaker e mi sentii felice. Non del tutto rilassata, ovviamente, ma almeno priva di muscoli annodati e induriti dalla fatica.

Mi ritrovai a chiedermi cosa Mike avrebbe raccontato alla sua famiglia... come avrebbe giustificato la sua improvvisa assenza, questo viaggio verso l'Arizona? Magari gli avrebbe mentito.

Finii le mie lasagne e lavai i piatti. In casa ci sarebbe stato un silenzio orribile, se non fosse stato per i commentatori della WWE e per gli occasionali "bump!" di qualcuno che cadeva sul ring che provenivano dal televisore.

Ritornai in salotto e guardai tutti e tre i DVD, di seguito. Non avevo voglia di muovermi ancora, ero troppo stanca, a pezzi. Ogni tanto mettevo in pausa e sonnecchiavo, poi rimettevo play e ritornavo ad esaltarmi per i match. Mangiai un pacco di caramelline al miele.

Mi accorsi che erano bastati pochi giorni di stress cronico per farmi perdere parecchi chili: adesso sembravo una di quelle ragazzine perfette che si vedono nei film per adolescenti. Ma io non volevo sembrare una ragazzina perfetta, io volevo essere sana e ben riposata, così mangiai finché ne ebbi voglia e dormii finché ne ebbi voglia e poi passai a guardarmi un DVD sulla D-Generation X (un gruppo di wrestler fuori di testa e favolosi).

Passai l'intera giornata a coccolarmi, a mangiare quello che volevo, vedere quello che volevo, dormire quanto volevo. Mi sdraiai sul divano con addosso una bella coperta. Mi spalmai tutti i lividi di gel di aloe (Phil ne teneva sempre una scorta nel comodino vicino al letto, lui era allergicissimo alle punture di zanzara e gli venivano dei pomfi enormi se non se lo usava), mi preparai una bella tazza di tisana alla salvia e camomilla.

Mike mi mandò un messaggio, dicendomi di essersi fermato a fare un pieno a Broderick, ma che avrebbe guidato non-stop fino a Phoenix. Gli scrissi di non farlo, di riposarsi un po' per evitare di essere assonnato e di creare incidenti, perché tanto io non correvo pericoli nell'immediato.

In realtà non sapevo se stavo correndo pericoli oppure no. Edward e Alice avrebbero potuto trovarmi? O magari erano entrambi troppo feriti e non potevano muoversi da... dovunque fossero andati a ritirarsi.



Le ore passarono. Andai a coricarmi e dormii, senza troppa difficoltà ad addormentarmi, anche se i miei sogni furono confusi e al risveglio mi lasciarono una strana sensazione in testa.

Ricevetti infine un messaggio "Sono a Phoenix, dimmi dove venire a prenderti".

Gli diedi l'indirizzo di mia madre. Presi un profondo respiro: ero finalmente salva? Veramente? Tutto quello che doveva fare Mike era arrivare prima dei vampiri e finalmente avremmo potuto viaggiare fino a Forks ed essere fuori da quell'incubo senza fine.

Mi lavai i denti e la faccia, feci colazione. Mi vestii. Ascoltai qualcuno che parcheggiava fuori dalla mia porta e poi il suono del campanello.


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