Continuai a camminare.
Come già detto, non avevo una meta precisa. Rafforzai la mia decisione
di andare nella stanza degli specchi quando tutto questo fosse finito,
così, se Alice avesse sbirciato nel mio futuro, sarebbe davvero stata la
scuola di ballo l'unica cosa che avrebbe potuto vedere.
Certo, era moltissimo
che non pensavo più alla scuola di ballo. Da piccina ero entusiasta ma
piuttosto timida, e per quanto fossi una frana a ballare e mia madre una
sadica a farmi frequentare certe lezioni, quell'attività condivisa era
stata una scusa per fare amicizia per tutti noi bambini.
Avevo bei ricordi della
mia infanzia a Phoenix, sebbene non rivaleggiassero quelli di Forks.
Anche se non avevo lasciato questa città baciata dal sole da molto tempo
ebbi voglia di visitare i posti che avevo bazzicato fino ad un anno fa.
Avevo voglia di vedere se Phoenix era cambiata nel breve tempo della
mia assenza, se le mie conoscenze non mi avrebbero più riconosciuto,
anche se erano entrambe improbabili.
Ma un segugio vampiro
aveva rintracciato la mia vecchia scuola di ballo pensando proprio che
ci sarei andata, e quindi i posti nostalgici erano da evitare come la
peste.
Presi un imponente
autobus che pubblicizzava una bevanda di un colore troppo dubbio per
potermi sembrare commestibile; non sapevo neppure dove mi avrebbe
portata, e forse questa era la cosa migliore. Sacrificai un altro po'
dei miei pochi spiccioli per la corsa, sorridendo al conducente
sovrappeso con una maglia degli AC\DC che si fermò e aprì la portiera
per me.
Si si, c'erano altri
visitatori che si stavano avvicinando per andarsene dallo zoo, però io
ero la prima fila e l'autista guardò proprio me mentre apriva la
portiera.
Attirai parecchie
occhiate curiose, ma per mia fortuna l'autobus non era così affollato da
costringermi a stare in piedi, specie dopo che si svuotò come un
secchio rovesciato quando molti dei passeggeri – turisti con cappellini e
macchine fotografiche – mi fecero spazio scendendo e barcollando nella
calura incombente diretti allo zoo.
Sgusciai dentro in
fretta e mi accomodai in uno dei sedili di mezzo, vicino al finestrino,
prima che i nuovi visitatori si prendessero i posti più belli.
La vettura non era
ancora stata riempita quando, sbuffando, le portiere si richiusero e
l'autobus si riaccese. Molti posti erano ancora vuoti: difatti, sia i
posti direttamente accanto ai miei che quelli avanti erano vuoti, e in
quello dietro c'era solo una bimba che giocava con un gameboy vintage,
poco discosta dai suoi genitori.
Non quello accanto al mio.
Accanto a me c'era un
uomo alto, biondo e robusto, dai lunghi capelli intrecciati in una
complicata acconciatura a cui non sapevo dare un nome. Indossava un paio
di occhiali da sole dalle lenti rosse e guardava fuori dal finestrino.
Dalle maniche corte
della sua maglietta marrone decorata con il disegno di un serpente
argentato spuntavano un paio di braccia grosse e muscolose, ricoperte di
peli biondi.
Rimanemmo in silenzio
mentre il bus proseguiva, ma non potevo fare a meno, di quando in
quando, di lanciare occhiate di sottecchi verso il tizio, che dal canto
suo non mi calcolava affatto.
La sua faccia era in qualche modo familiare, ma credevo di non averlo mai visto prima. Forse somigliava a qualcuno.
Anche se era seduto,
potevo intuire che fosse più alto di Jacob e anche se non aveva un
fisico scolpito era così robusto e muscoloso da poter probabilmente
combattere con un orso (ma non con un orso-vampiro-divinità). Dai lunghi
capelli biondo grano alla folta barba che gli copriva il profilo della
mascella e del mento, sembrava un qualche tipo di dio norreno, un Thor
con gli occhiali da sole.
D'improvviso voltò la testa verso di me, le narici dilatate per un attimo.
«Salve» Salutai affettatamente, sapendo di essere diventata rossa.
Lui parve annusare
l'aria, poi sorrise amichevolmente. Aveva denti da vampiro vero, non
come Edward, ma con grossi canini affilati.
«Salve» Rispose, con gradevole voce da baritono e accento spagnolo «Bella giornata per un giro, eh?».
Voltai la testa dall'altro lato, imbarazzatissima. Quell'accento era stato del tutto inaspettato.
Mentre guardavano fuori
dal finestrino, lo sentii annusare di nuovo. Puzzavo forse? Oddio, ero
sicurissima di puzzare, soprattutto dopo aver cavalcato una cammella
sotto il sole.
«Devo farti una domanda» Mi disse «Se non sono troppo indiscreto»
«D-dimmi» balbettai
«Hai incontrato, nelle
ultime ore, una persona molto pallida che evita di esporsi alla luce del
giorno e ha occhi di un colore strano?».
Mi irrigidii. Stava
descrivendo i Cullen. Mi chiesi se fosse possibile che mi avesse sentito
addosso l'odore dei vampiri e sapevo di non stare correndo troppo di
fantasia, non dopo tutto quello che avevo passato.
«Si» Dissi, con il cuore che mi batteva pesante nel petto
«Ah. E dove, se posso saperlo?»
«Io... in un albergo» deglutii.
Non riuscivo a guardarlo in faccia mentre lui guardava me.
«Che sbadato» Disse, con
quella che sembrava sincera contrizione «Devo esserti sembrato un
molestatore, non mi sono neanche presentato! Il mio nome è Alejandro De
Rocamora»
«Molto piacere Alejandro, il mio nome è Isabella Swan».
La sua mano, che strinse
la mia con delicatezza, era enorme e aveva un'aria letale, con le vene
in rilievo sui dorsi e unghie stranamente spesse e giallastre, l'aria di
una mano che avrebbe potuto stritolarmi la testa.
Avrei voluto presentarmi
a lui con il mio vero nome, ma non si era mai troppo cauti quando si
era inseguiti da un vampiro che leggeva nel pensiero delle persone.
«Dove vai di preciso?»
Chiese lui, educatamente «Sempre se non sono molesto. È solo per fare un
po' di conversazione prima di arrivare»
«Oh, non lo so» mi aggiustai la parrucca, nervosa «Sto solo facendo un giro. È una bella giornata...»
«Stai mentendo» mi disse, sempre nello stesso tono gentile
«Stai mentendo» mi disse, sempre nello stesso tono gentile
«Come, scusa?»
«Sono sicuro che tu stia mentendo, cara piccola Isabella. Tu estás huyendo» scosse la testa molto piano «Dai vampiri, non è vero? È da loro che stai scappando»
«Come fai a saperlo?» domandai, con un attacco di fiatone che mi faceva suonare come una pervertita al telefono
«I capelli rosa. La gente si concentrerà su quelli e sugli occhiali e non ricorderà la tua faccia. Stai scappando»
«E come fai a sapere
dei... vampiri? Non sto dicendo che è vero» alzai le mani, rendendomi
conto di non essere in grado di mentirgli «Sto solo dicendo che è una
strana congettura, Alejandro»
«Hueles como un vampiro» mi sorrise come se avessi capito
«Non ho capito» chiarificai
«Puzzi come loro» spiegò.
Ah, allora non puzzavo di cammella, puzzavo di Alice Cullen. Molto, molto peggio.
«Come sai dei vampiri?» Domandai sottovoce
«Non c'è bisogno di
parlare piano» lui accavallò le gambe come una signorina «Nessuno
penserà che stai parlando di vampiri davvero».
Non potevo dirgli che
usavo quel tono di voce perché altrimenti si sarebbe sentito troppo il
mio ansimare, così continuai a parlare piano piano
«Si, ma tu come lo sai?»
«Ne ho terminati così tanti...» si guardò le unghie della mano sinistra «Conosco il loro odore, sono stato addestrato»
«Ah. E quindi...» mi illuminai «Potresti uccidere anche loro?»
«Non oggi, no. Io sto
andando in un posto, non sto vagando. Ma puoi aiutarmi a localizzarli e
ci andrò più tardi, se è quello che desideri»
«Come mai pensi che ti ho chiesto di ucciderli?» domandai.
Lui rise, un rumore come un ringhio, come un rombo di motore, poi si posò entrambe le mani in grembo
«Tu cara se iluminó cuando me preguntaste si podía matar a esos vampiros. Sembravi felice, chiedendomelo».
Annuii, seria
«Voglio solo che muoiano tutti»
«È quello che vogliamo
tutti, piccola Isabella. Ma io realizzerò il tuo desiderio, prima o poi.
Dimmi dove abitano e questo Babbo Natale porterà il carbone ai bambini
cattivi».
Gli diedi l'indirizzo
dei Cullen, non lesinando sui dettagli. Gli descrissi la famiglia dei
vampiri e i loro poteri e lui si accigliò dietro le lenti rosse degli
occhiali da sole quando gli dissi di Alice che poteva leggere nel futuro
e di Edward che poteva leggere nel pensiero.
«Nel futuro, hai detto?» Mi domandò
«Si. Ma può vedere solo le conseguenze di decisioni già prese»
«Se io prendessi la decisione di andare a casa loro e bruciarli mentre sono dentro, lei lo vedrebbe, quindi?»
«È probabile» mi strinsi nelle spalle «Ma non lo so. Recentemente uno di loro è morto, ma lei non è riuscita a prevederlo per qualche motivo»
«È probabile» mi strinsi nelle spalle «Ma non lo so. Recentemente uno di loro è morto, ma lei non è riuscita a prevederlo per qualche motivo»
«Come è morto?» la sua voce suonava colma di curiosità.
L'autobus si fermò. Lui guardò il portello aprirsi
«Io scendo qui» disse «Vuoi venire con me?»
«No, grazie»
«Perché no?»
«Spero che tu non ti
offenda, ma ne ho abbastanza di combattere vampiri e venendo con te
rischio di incontrarne altri. E poi sei uno sconosciuto che ho beccato
su un autobus»
«Capisco e hai ragione. Allora goditi la tua giornata» lui annuì e si alzò in piedi.
Era parecchio più alto
di Jacob, davvero immenso. Si allontanò con falcata potente sulle sue
lunghe gambe muscolose e balzò giù dall'autobus, lasciandomi sola.
Mi sentivo come se avessi appena incontrato un Thor sterminatore di vampiri spagnolo ed era davvero una bella sensazione.
Certo, ma com'era che
stavo incontrando tutta questa gente che sapeva del sovrannaturale da
quando avevo avuto a che fare coi Cullen? Alejandro, le ragazze della
riserva, Undertaker...
Era come se fossi stata
appena accettata dentro un club segreto, ma così segreto che i membri
non si conoscevano tra loro che di sfuggita e non si capiva bene come ci
eri entrato.
Non mi si fraintenda,
non mi dava per nulla fastidio che questi alleati, tutti più esperti di
me finora, fossero automaticamente dalla mia parte e facessero fuori i
vampiri al posto mio. A meno che non mettessero in pericolo sé stessi. A
meno che non fossero...
Cercai di non
intraprendere quella strada mentale pericolosa, tenendomi alla larga dal
pensiero di Sarah (Sarah a terra, Sarah immobile, Sarah in un lago di
sangue...) o almeno provando a farlo. Non volevo essere sempre triste,
che cavolo.
Felicità, dovevo cercare una cosa che mi rendesse felice il prima possibile!
L'autobus si fermò
qualche minuto più tardi, sbuffando e accasciandosi al lato della
strada, e mi affrettai a scendere, lasciandomi alle spalle la strada e
l'incontro con l'affascinante Alejandro.
Sebbene avessi passato
buona parte della mia vita a Phoenix, avevo aspettato abbastanza fermate
prima di scendere da far si che mi ci volesse un secondo, prima di
riuscire a capire dove mi trovassi con esattezza.
Iniziai a muovermi
vagolando tra la folla. Mi piaceva osservare tutte le varie attrazioni, i
negozietti, osservare le altre persone. Notai immediatamente quanto mi
fossi disabituata ai ritmi della grande città: tutte le persone intorno a
me bisbigliavano concitate, gesticolavano in fretta, camminavano in
fretta. Erano persone serie, impegnate, con qualcosa da visitare,
qualche cosa da fare, un'agenda da rispettare.
Quella madre con gli
orecchini tondi, che teneva da un lato il suo neonato e dall'altro la
busta della spesa, parlando con abilità al suo telefono incastonato tra
la spalla e la guancia. Quell'uomo che si aggiustava i polsini in vista
di un meeting o un colloquio. Il ragazzo punk che aggiornava il suo blog
mentre camminava, dando spallate e attirando occhiatacce di passanti
troppo vicini.
Ed io ero lì,
guardandomi attorno e camminando senza meta, senza prendermi la briga di
accelerare, né di avere un'agenda mia da completare. Non sapevo se
sentirmi imbarazzantemente fuori posto o segretamente superiore, io che
entravo ed uscivo dai negozi come potrebbe fare un procione che trova
gattaiole a tutte le porte.
Non che tutti quelli che
vedevo mi sembrassero tutti uguali o stressati, niente del genere:
Phoenix è una città che ospita ogni tipo di persona, sia come aspetto
che come carattere. È solo che mi sembrava di essere l'unica che non
aveva un cavolo da fare.
E mi piaceva.
Dopo circa una
quindicina di minuti da quando avevo preso l'autobus svoltai a destra e
presi la North Central Avenue, con una sicurezza che stupiva anche me
stessa.
Non riuscivo a ricordare perché, però era una strada collegata a qualche bel ricordo...
Ovviamente la memoria mi tornò subito non appena vidi apparire quell'edificio,
che, dal mio punto di vista, sembrava cercare di nascondersi goffamente
dietro le sottili palme che costeggiavano la strada grigia e
perfettamente liscia, vagamente luccicante sotto la luce biancastra del
sole.
La facciata ricoperta di vetro catturava facilmente il sole, facendola brillare come un'enorme masso scintillante.
La Burton Barr Central
Library è la biblioteca centrale di Phoenix, scelta come uno dei Punti
d'Orgoglio della città. Porta questo nome in onore di Burton Barr,
leader del partito repubblicano in Arizona dal '96 all'86 e, cosa di
gran lunga più importante, la biblioteca ospita una collezione di circa
un milione di volumi e la Stanza dei Libri Rari, situata al quarto
piano, che offre una collezione ampissimia di oltre tremila libri
diversi: un ben di Dio.
Probabilmente Alice non
avrebbe potuto prevedere la mia decisione di entrare, visto che mentre
avevo realizzato dov'ero e il fatto che avrei voluto dare un'occhiata
ero praticamente già dentro.
L'architettura interna
della biblioteca, dovevo ammetterlo, non era tra le mie preferite. Mi
sembrava poco consona ad una biblioteca, più simile a qualcosa per una
serie di uffici o la palazzina di un bel quartiere rispetto a quello che
era il mio ideale.
Scaffali e sedie troppo
minimalisti, consumati giù fino all'osso della funzionalità, e ravvivati
con qualche colore alle pareti. Per me una biblioteca era legno e
profumo di cellulosa in decadenza, piante dove non te le aspettavi,
insomma, la biblioteca è arte in sé.
Ovviamente la Burton
Barr Central era un edificio moderno, e quindi non c'erano solo libri e
sedie brutte: c'erano stanze con materiale multimediale e tour
professionali, ma tanto io non ero lì per nessuna di quelle cose.
Quanto ai libri, non avevo assolutamente nulla da rimproverargli: qualunque critica svanì quando nel mio campo visivo entrarono tutti quei libri libri libri libri.
Ah, la gioia della carta frusciante! Ah, dorsi colorati o scuri, copertine belle o brutte, indimenticabili o tremende!
Al primo piano della
biblioteca si trovavano, ordinatamente divise, diverse aree in cui
orientarsi. C'erano collezioni di materiale in diverse lingue, 10.000
piedi quadrati del "Children's Place" con tanto di stanza delle storie;
un auditorium, e il Centro di Accessibilità con equipaggiamento
tecnologico e collezioni di libri in tutte le lingue e adattati a
praticamente chiunque, che avrebbero fatto sentire a casa anche un
alieno analfabeta (nella propria stessa lingua).
Mi misi allegramente a
cercare un libro in italiano, giusto per sentirmi rappresentata in
quanto italo-americana, ridendo fra me e me di quanto i titoli in
spagnolo sembrassero tutti un po' drammatici.
"El lobo estepario", "A sangre frìa", "Cronica de una muerte anunciada". Alejandro De Rocamora si sarebbe trovato proprio a casina qui.
Estrassi incuriosita un
libro dal dorso completamente nero e dall'aspetto grezzo, come di tela, e
lo osservai attenta. Sul retro del libro vi erano due scritte in
corsivo bianco. "Portami via" diceva la prima, quella messa sul bordo della faccia scura. "Wenn du mich wegnimmst, wird das wasser hier rutschen, um den rest zu bekommen" Diceva la frase in fondo al retro della copertina. Ed ovviamente io non capivo neanche una parola di tedesco all'infuori di "kartoffeln" (patate).
Sul fronte dello strano
libro campeggiava il dipinto settecentesco, ma estremamente accurato, di
una donna pallidissima che guardava dritto verso il lettore su uno
sfondo di un nero solidissimo. I capelli, estremamente lisci e tanto
neri da non catturare quasi la luce, sembravano due ali a riposo che
inquadravano il volto lungo e perlaceo di lei, che aveva contorni
sfumati come se fosse stata sott'acqua. I lineamenti erano fini, con il
naso lungo e sottile, così come le labbra da cui spuntavano due paia di
canini aguzzi e sottili che poggiavano sia sul labbro superiore che
quello inferiore. I suoi occhi erano di taglio tondo, non allineati
sullo stesso asse, con sia la pupilla che l'iride di un azzurro
sbiadito; occhi ciechi.
Mi ricordava istintivamente un pesce abissale, e mi inquietava non poco.
Dicono che non si
giudica un libro da una copertina. Certo, in molti casi è vero, anche se
non possiamo farne a meno. Ma cosa diamine dovevo pensare di un libro –
con quella copertina – incastonato tra due libricini in spagnolo per bambini?
Vidi passare un addetto e mi avvicinai a lui, alzando il libro che avevo preso per farglielo vedere
«Mi scusi, mi scusi...».
Lui si voltò a guardarmi
e fece un salto indietro, forse per via della copertina inquietante o
forse per via del fatto che una ragazza con parrucca rosa e occhiali da
sole gli stesse correndo incontro. Era un ragazzo dalla pelle bruna,
magro e ben rasato, che indossava una maglietta con su scritto "I libri
della biblioteca di Phoenix ti faranno rinascere!".
«Si?» Domandò poi «Come posso aiutarti?»
«Ho trovato questo»
spiegai «Fra i libri per bambini in spagnolo. Dove andrebbe messo? Non
riesco a capire neanche a che genere appartenga»
«Oh, vieni con me...».
Lo seguii fino ad un
computer bianco che aveva appiccicato, su un lato dello schermo, un
adesivo blu con sopra scritto "Antartide". Il ragazzo ci si sedette
davanti e mi disse
«Puoi dettarmi il titolo del libro, così lo cerco in archivio?»
«Ehm... è scritto in tedesco, non lo so leggere bene» confessai
«D'accordo. Dammelo un attimo, per favore».
Gli diedi il volumetto e lui ne copiò il titolo, Wenn du mich wegnimmst, wird das wasser hier rutschen, um den rest zu bekommen, in
un rettangolino bianco, poi premette il tasto a forma di lente di
ingradimento per avviare la ricerca. Nessun risultato corrispondente.
Il ragazzo si grattò il collo
«Ehm... in archivio non c'è»
«Non potrebbe essere una nuova donazione? Magari è per quello che ancora non è stato inserito in archivio» azzardai
«No, stamattina io
stesso ho aggiornato con tutte le nuove donazioni. Non ho mai visto
prima quel libro, giuro» aggrottò le sopracciglia «E poi è proprio
strano e non credo proprio che debba stare fra i libri per bambini,
guarda che brutto!»
«Già»
«Senti una cosa, l'hai trovato tu e qualcuno l'ha lasciato qui... vuoi donarlo alla biblioteca o lo vuoi portare via?»
«Cosa?» battei le palpebre «Volete regalarmelo?»
«Non è nostro. E francamente mi inquieta che fosse tra i libri per bambini. Di che cosa parla?»
«Non lo so. Non l'ho neanche aperto»
«Hmm...» pensieroso, lui
inclinò la testa da un lato «Non vorrei che fosse uno stupido scherzo
di qualche tipo. Sai, a volte li fanno alle biblioteche: lasciano dei
libretti pieni di immagini raccapriccianti per spaventare i bambini o i
lettori impressionabili. È uno scherzo stupido e insensato, ma succede,
sai?»
«Allora sarebbe meglio controllarlo prima di fare altro, no?»
«Giusto».
Il ragazzo sollevò il
libro in modo che non potessi vederne l'interno e lo aprì, poi scorse le
pagine, una dopo l'altra, in totale silenzio. Dopo un po' lo abbassò,
l'espressione incuriosita
«Accidenti» disse «Non credo di capirci niente»
«È in tedesco?» domandai
«No, no. Non è in nessuna lingua che abbia mai visto. Guarda».
Girò il libro per
farmelo vedere ed era vero, sulle sue pagine c'erano tanti cerchietti
strani, tutti concatenati, talvolta interrotti da serie di lineette, che
formavano un linguaggio (se di un linguaggio si trattava) che non avevo
mai visto prima.
«La biblioteca non se ne
fa niente di una cosa del genere» Mi spiegò «Dev'essere uno scherzo. Ma
stavolta più di buon gusto, sai... un libro che nessuno può leggere»
sorrise «Quando avevo sedici anni anch'io ne feci uno, con un mio
amichetto. Ci inventammo un linguaggio e ci scrivemmo un libretto, poi
lo abbiamo fotocopiato e distribuito dappertutto. Tutti erano confusi,
non capivano cosa significasse, né in che lingua fosse scritto...»
«E cosa c'era scritto?» chiesi, curiosa
«Oh, era pieno di
parolacce e di insulti, quel genere di cose alla "scemo chi legge". Ci
divertivano un mondo questo tipo di cose. Questo libro non dev'essere
diverso» tamburellò con l'indice sulle pagine piene di cerchietti
«Probabilmente sono solo insulti. Allora, lo vuoi oppure lo vuoi donare
alla biblioteca? Ma sappi che se lo doni alla biblioteca ci sono ottime
probabilità che verrà bruciato»
«Allora lo tengo» mi strinsi nelle spalle «Gli troverò un uso».
L'impiegato mi ridiede l'oggetto
«Se hai un tavolino con
una gamba più corta» scherzò «Forse hai trovato l'uso perfetto. Anche se
io non la vorrei vedere quella brutta faccia in salotto. Ti serve
qualche libro in particolare? Cercavi qualcosa?»
«Qualcosa di non inquietante, tranquillo e per passare un po' di tempo qui dentro al fresco, per favore»
«Che genere di romanzi ti piacciono? Rosa? D'avventura?»
«Un po' di tutto»
«Vuoi scegliere da sola?»
«Credo che una delle cose belle delle biblioteche sia il momento in cui scegli il libro»
«Allora va bene» sorrise «Cerca quello che vuoi».
Lo salutai e ringraziai e
mi misi in caccia per qualcosa di bello da leggere. Sottobraccio
portavo lo strano volume con la strana signora mostruosa, che sembrava
sempre più leggero man mano che mi spostavo nelle stanze.
-------------------------------------------------------------------
Note degli autori: Ne
abbiamo approfittato (e quandomai non ne approfittiamo) per
crossoveraaare! Alejandro è un nostro personaggio originale, il fratello
gemello di Furiadoro, la protagonista del nostro libro "Urban Legends".
Il libro strano dalla
copertina inquietante è... no, questo non ve lo possiamo dire. Però
possiamo mostrarvi la graziosa signora in copertina (che si chiama
Beredice), che abbiamo illustrato:
Nessun commento:
Posta un commento