Ricordai che non c'era bisogno di avere paura. La casa era vuota.
Corsi verso la porta e
con un movimento automatico cercai subito la chiave sotto la grondaia.
Feci scattare la serratura e aprii. L'interno della casa era buio,
vuoto, normale. C'era un vago odore di deodorante e di profumo da donna.
Con calma arrivai fino in cucina, con l'idea di prendermi uno snack, e vidi con la coda dell'occhio il telefono.
Il telefono, fatto di
plastica rossa e grigia, con il ricevitore tutto graffiato per quante
volte mamma l'aveva fatto cadere per sbaglio. Non avrebbe dovuto
interessarmi, né ricordarmi niente di spiacevole. Ma di lato
all'apparecchio, su una lavagnetta, c'era un numero di dieci cifre
scritto con una grafia minuta e precisa che non avevo mai visto prima.
Il vampiro segugio mi aveva detto di telefonargli, mi chiesi se fosse il
caso di...
No. Non dovevo pensare ai vampiri, dovevo stare lontana da loro. Deglutii. Allungai una mano verso il ricevitore del telefono.
Ero masochista? Perché
ero attirata dall'idea di risentire la voce di quell'idiota? Forse
perché la mia messa in scena sarebbe stata più credibile se avessi finto
di stare al suo gioco. Anche se era un gioco pericoloso.
Dovevo ritirarmi,
smettere di giocare: ero solo un'umana esausta con una parrucca rosa,
semplicemente non potevo vincere contro i mostri.
Mi tremava la mano, ma
quelle dita tremanti riuscirono a digitare le dieci cifre. Dovevo essere
impazzita. Completamente fuori di testa. Faticavo a tenere la cornetta
salda vicino all'orecchio. Squillò una volta sola.
«Ciao, Bella» Rispose
la voce, affabile «Che velocità. Complimenti. Sapevo che quella messa in
scena era solo per liberarti dei tuoi guardiani, complimenti».
Lui credeva che io
avessi finto di smascherare il suo piano perché Alice e Jasper mi
lasciassero andare. Invece il suo piano lo avevo smascherato per
davvero. Ero ancora in gioco.
Ancora in gioco. Sorrisi.
«Mia madre sta bene?» Domandai, fingendomi preoccupata per lei
«Benissimo. Non preoccuparti, Bella. Non m'interessa lei. A meno che non ci sia qualcuno ad accompagnarti, ovviamente».
Frivolo, ironico. Decisamente più stupido di me.
«Sono sola». Non ero mai stata così sola in vita mia.
«Molto bene. Dunque, sai dov'è la scuola di danza, vicino a casa di tua madre?»
«Si, ci so arrivare»
«Bene. A presto, allora».
Riattaccai. Adesso
sapevo esattamente come fare a batterli tutti al loro gioco, a
distruggerli facendoli scontrare gli uni contro gli altri.
Mi infilai la mano in
tasca e afferrai la strisciolina di carta con il numero di Edward che mi
ero appuntata in albergo: sapevo che mi sarebbe servito. Lo composi con
il telefono.
La voce di capelli-pazzi mi rispose dopo neanche mezzo squillo: i vampiri erano tutti fulmini a rispondere al telefono.
«Pronto, chi è?»
«Sono Belarda» dissi,
cercando di sembrare spaventata e di non ridere come una regina del male
pazza invasata. Incredibilmente, riuscii a darmi un tono contenuto «Ho
paura»
«Dove sei? Alice mi ha
chiamato! Mi ha detto che sei scappata, che vuoi consegnarti al segugio!
Non farlo! Non farlo, Bella, non ne vale la pena!»
«Per mia madre? Non ne vale la pena?» finsi di stare per mettermi a piangere «Non capisci, Edward!»
«Si che ti capisco, Bella, ti capisco perfettamente, ma capisci cosa provo io?!» lui urlò, quasi assordandomi da un orecchio
«Edward, ti ho chiamato per dirti...» singhiozzai per finta, in modo poco convincente «... Ha ucciso mia madre»
«COSA? Bella, io...»
«Non sono arrivata per
salvarla» finsi ancora di singhiozzare, più volte, e sbattei un po' il
ricevitore contro il ripiano della cucina, per dare un effetto
tormentato generico alla conversazione
«Bella! Bella? Che succede, Bella? Dove sei? Ti ha presa? BELLA?!»
«Edward» tirai su con il naso «So dov'è lui»
«Il segugio?»
«Si. Sono con lui. Alla scuola di danza, all'angolo che incrocia con la Cactus. Ti prego, ti prego, vieni a salvarmi, Edward»
«Sto arrivando, resisti, ti prego Bella. Resisti».
Probabilmente, prima di
riattaccare, aveva iniziato a piangere, lo sentivo dal suo tono di voce.
Non si era chiesto come mai il segugio mi avesse lasciata telefonare a
lui, visto che ero suo ostaggio, e se era una trappola o meno: a lui non
importavano queste cose, doveva solo fare il cavaliere in armatura
scintillante. Sbadigliai.
Salii al piano di sopra.
Era arrivato il momento di farsi una bella doccia e poi una lunga
dormita rilassante, mentre i vampiri si scannavano fra di loro per me.
Potevano essere veloci,
forti, "immortali". Ma rimanevano un branco di idioti capaci di farsi
gabbare da una singola studentessa stanca morta e senza risorse.
A modo suo, l'ambiente
familiare mi aiutò nel mio proposito di rilassarmi. Non sentii neanche
il bisogno di darmi un'occhiata in giro, era semplicemente come se fossi
rientrata a casa dopo una giornata scolastica maledettamente pesante.
Vuota com'era, senza gli strilli di mia madre o la perfezione immonda
dei vampiri in agguato, era diventata per me un santuario, un simbolo di
protezione.
Io e mamma avevamo quasi
le stesse taglie, e anche se non condividevamo affatto i nostri gusti
nell'abbigliamento, mi sentivo rigida, stanca e sudata nei miei vestiti
attuali. Mettersi vestiti soffici e profumati di detersivo, questo era
quello che volevo adesso dalla vita: così non mi feci scrupoli nel
prelevare una maglietta bianca con su scritto "PARTY" in nero e con un
Martini con olivetta al posto della Y (una delle cose più sobrie
dell'armadio) e un paio di jeans a vita alta.
Li trasportai con me, togliendomi le scarpe e poggiandoli sul pavimento fresco.
«Sono a casa» Borbottai alla porta del bagno, spingendo verso il basso la maniglia.
Scivolai nell'abitudine
quasi meccanicamente, dolcemente, senza bisogno di pensare. Il bagno era
assolutamente identico a come lo ricordavo, salvo che mamma e Phil
avevano cambiato gli spazzolini. Il rituale era lo stesso.
Piegai i vestiti che
avevo scelto sulla lavatrice con cura, e accanto a loro impilai i
vestiti sporchi di cui mi ero appena liberata. Regolai temperatura e
getto della doccia e ci traballai dentro, stiracchiandomi e sentendomi
immediatamente sollevata sotto la piacevole pressione sulla mia pelle.
Mi lavai con perizia,
felice di sentirmi più pulita e più rilassata. Non resistetti alle
boccette colorate allineate dentro la doccia e allungai le mie manine
avide: abbondai di bagnoschiuma profumato, cospargendomi di quello che
sapeva di caramella alle fragole (anche se non vi era segnata su nessuna
essenza in particolare), quello all'olio di Argan e mi cosparsi le
manine avide di quello alla felce preferito da Phil.
Mamma ed io usavamo lo
stesso shampoo alla fragola visto che negli anni ero sempre stata io a
badare alle cose da adulta, come fare la spesa e cucinare cose
commestibili, e mamma aveva semplicemente accettato di lasciarmi ogni
sua responsabilità.
Mi avvolsi nella coccola
dell'asciugamano di riserva, che mamma teneva dentro lo stipetto bianco
sotto il lavandino proprio come ricordavo. Ah, paradiso. Ciabattai in
salotto tutta profumata e senza ancora prendermi il disturbo di
cambiarmi, avvolta nell'asciugamano bianco e con il brutto libro
sottobraccio, mi abbandonai mollemente sul divano color crema.
Girai il libro misterioso a faccia in giù, sconfiggendo momentaneamente la donna mostro.
Chiusi gli occhi,
godendomi il silenzio della casa. Incredibile. Tutto questo ero
incredibile, dopo gli ultimi folli giorni – mi sembravano anni – di
tortura.
Mi chiesi se, una volta
che tutto questo fosse finito, avrei avuto bisogno di vedere uno
psicoterapeuta. Avrebbe fatto bene ad essere uno bravo.
Il ronzio sommesso del
frigorifero mi stava cullando, ma anche se ero rilassata avevo
l'irrazionale sensazione che se mi fossi addormentata subito le cose non
sarebbero andate come volevo io.
Ritrovai il telecomando,
sistemato dentro il centrotavola del tavolino di vetro tra il
televisore ed il divano (un'abitudine di mia madre che non avevo mai
compreso appieno, ficcare il telecomando nei centrotavola o sotto i
cuscini del divano) ed accesi la tv.
Apparve la faccia di una
giornalista bionda e serissima, e in un'occhiata sola vidi sulle
scritte in sovrimpressione le parole "omicidio", "violento" e
"attentato". No, niente angoscia, grazie.
I telegiornali erano l'ultima cosa che volevo vedere adesso.
Feci zapping alla
ricerca di qualcosa di più innocuo – quanto sarebbe stato bello avere
Dracula accucciato sulle mie gambe adesso, il suo piccolo peso
confortante e caldo su di me, passare le dita sulla sua pelliccia corta e
serica – e pian piano scivolai nell'oscurità accompagnata dalle vocine
di un cartone animato su una band jazz in addestramento. Non ebbi il
tempo di sentire neppure una canzone.
E mi addormentai.
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