domenica 6 maggio 2018

Sunset 42 - I vampiri fanno solo danni



Stavo lentamente iniziando a confondere il giorno con la notte, perché, ancora una volta, quando riaprii gli occhi era troppo presto. Rotolai fino a posare i piedi a terra e mi trascinai nel salotto.
L'orologio sul televisore diceva che erano passate da poco le due del mattino.
Alice stava seduta sul divano, con la testa fra le mani.
Quando entrai nella stanza non si accorse di me. Sgattaiolai al suo fianco per sbirciare cosa stesse combinando.
«Hai visto qualcos'altro?» chiesi, a bassa voce
«Si. Qualcosa l'ha fatto tornare nella stanza del videoregistratore, che adesso è illuminata. Ma non riesco ancora a vedere Jasper».
Certo, Jasper era polvere. Deglutii e mi allontanai da lei «Vado a fare colazione...»
«Se vedi Jasper» iniziò lei, poi scosse la testa e se la riprese tra le mani «Niente. Se non l'ho trovato io, dubito che tu lo troverai»
«Avrà le sue buone ragioni per esseri allontanato»
«Voglio sperarlo. Ma lui non fa mai cose del genere...» Alice si imbronciò, come una bimbetta, e faceva uno strano effetto con la sua faccia marmorea e tutto il resto «Me l'avrebbe detto, no, se aveva in mente un piano?».
Mi strinsi nelle spalle e provai con la frase migliore che riuscii a trovare
«Ah, gli uomini... chi li capisce...».
Alice sbarrò gli occhi d'improvviso e sperai di non aver detto niente di troppo stupido. Si alzò come in trance, prese un foglio e iniziò a disegnare velocissimamente. Stava avendo un'altra visione.
Mi sporsi da sopra la sua spalla.
Alice disegnava una stanza quadrata, con travi scure sul soffitto. Le pareti erano rivestite di pannelli di legno scuro, fuori moda. Sul pavimento, un tappeto scuro con decorazioni geometriche. Verso sud si apriva un'ampia finestra e ad ovest si vedeva l'accesso a un salotto. Un lato dell'accesso era fatto di pietra: era un camino di pietra marrone che dava su entrambe le stanze. Il punto di fuga della prospettiva, il televisore e il videoregistratore, ammassati su un tavolo di legno troppo piccolo, erano nell'angolo più lontano della stanza. Un vecchio divano ad angolo stava di fronte al televisore e in mezzo si trovava un tavolino basso.
«Lì sopra c'è il telefono» Mormorai, indicando il tavolino.
Gli occhi gialli di Alice mi fissarono.
«È casa di mia madre» Spiegai.
La vampira balzò immediatamente a prendere il telefono, lo aprì, compose un numero e prese a parlare. Le labbra di Alice vibravano, snocciolavano parole velocissime, in un ronzio troppo basso, impossibile da decifrare. Non riuscivo a concentrarmi.
«Bella» Mi disse all'improvviso.
Io seguitai a guardarla, confusa.
«Bella» Continuò lei «Edward sta venendo a prenderti. Lui e Carlisle ti porteranno via, per tenerti nascosta»
«Edward sta arrivando?» il panico montò improvviso, di nuovo vivido
«Si, con il primo volo da Seattle. Abbiamo un appuntamento all'aeroporto, dopodiché te ne andrai con lui»
«Ma mia madre... sta cercando mia madre, Alice!»
«Jasper e io resteremo qui a proteggerla»
«Ma non sai neanche dov'è Jasper!» ignorai la sua occhiata di sofferenza «Non posso cavarmela, Alice! E voi non potete restare di guardia a tutti i miei cari per sempre! Capite cosa sta facendo? Non segue soltanto le mie tracce. Appena ne avrà l'occasione farà del male a qualcuno, forse persino a qualcuno a cui voglio bene... Alice, non posso...»
«Lo prenderemo, Bella»
«Cavolate! Non siete capaci! E se ritorna l'orso?».
L'espressione di Alice cambiò all'improvviso, mentre inclinava la testa da un lato
«L'orso?»
«L'orso!»
«Tu... te lo ricordi?»
«Certo che me lo ricordo!» la mia voce ormai era venata di isteria
«Ma non hai detto niente fino ad ora, riguardo all'orso. Pensavamo tutti che tu fossi sotto choc, che l'avessi dimenticato. Carlisle ci ha dato questa spiegazione»
«No» tagliai corto, sibilando fra i denti «Me lo ricordo eccome. Non so che cosa cavolo sia, ma quel mostro non lo potete fermare e basta. L'ho visto inseguire la mia macchina. La tua macchina. L'ho visto uccidere una mia amica...».
Mi salirono le lacrime agli occhi: lacrime di rabbia, lacrime di frustrazione, lacrime amare.
Alice scosse la testa
«Mi dispiace così tanto...» disse
«Cos'era?!» ringhiai «Cos'era quel mostro?!».
Alice si sedette sul divano e mi fece cenno di sedermi accanto a lei. Obbedii: volevo sapere.
«Bella, promettimi che quello che sentirai non ti farà cambiare opinione su di noi» Disse, seria
«Mi fate schifo» replicai «Non vedo come cambiare idea su di voi possa essere una cosa cattiva»
«Bella, sai benissimo che è la confusione a farti parlare. Promettimi che non cambierai idea»
«Senti, sei tu quella che vede nel futuro, non io! Dimmelo tu se cambierò idea!».
Alice sospirò e guardò verso la finestra, le cui tende erano però tirate a nascondere il paesaggio esterno.
«Che cos'era l'orso?» Rincarai «Ho il diritto di saperlo. Quel coso è forte abbastanza da ammazzare uno di voi. Quel coso è forte abbastanza da ammazzare un licantropo! Ha fatto fuori la mia amica Sara! SONO VIVA PER MIRACOLO!»
«Va bene. Va bene, Bella» Alice mi mise delicatamente una mano sulla spalla e sentii il freddo delle sue dita anche attraverso la stoffa «Te lo dirò. È stato Jasper a creare l'orso».
Di tutte le cose che avrei potuto sentire... non mi ero aspettata questa. Avrei potuto facilmente immaginare che l'orso fosse un dio primordiale della foresta, incavolato nero perché c'erano dei vampiri che andavano a zonzo, oppure che fosse Undertaker stesso, incapace di controllare i suoi istinti omicidi quando si trovava in quella forma, oppure che fosse un qualche tipo di orso mannaro, simile ai licantropi di La Push, ma diverso nella sua brama di sangue. Ma che una cosa del genere potesse essere stata creata da Jasper... questo non l'avevo messo in conto.
«Come è successo?» Domandai con un fil di fiato
«Jasper è il più recente fra le acquisizione della nostra famiglia» Mi spiegò Alice «La sua sete di sangue è ancora molto, molto difficile da contenere. Era a caccia, fra le montagne, quando ha trovato un orso e, ovviamente, ha iniziato a bere il suo sangue per placare quella sete... ma proprio un istante prima che riuscisse ad ucciderlo, prosciugando le sue vene, il vento ha portato al suo olfatto l'odore di un gruppo di campeggiatori. Quando noi cacciamo, i nostri istinti diventano più forti, sono come cavalli imbizzarriti, e l'istinto di Jasper gli urlava di attaccare quelle persone. Ma lui è stato più forte ed è riuscito a scappare immediatamente, senza dover sentire per un solo istante di più l'odore di quelle persone. Purtroppo questo significa però che non ha finito l'orso, che così si è trasformato in un vampiro. Devi capirlo, aveva completamente perso la lucidità, non era capace di...»
«Ha creato un mostro» dissi, in tono neutro.
Volevo essere furibonda, indignata, ma la mia voce si era appiattita.
Jasper, nell'urgenza di salvare vite umane, aveva creato un orso vampiro, una creatura probabilmente invincibile. Se un vampiro normale, nato dal corpo morto di un essere umano, era così forte, che diavolo avrebbe potuto fare un orso, che fra l'altro non aveva abbastanza cervello (né la volontà di base) per fermarsi dal commettere una strage? Quell'abominio che scorrazzava libero nelle foreste avrebbe potuto fare un'ecatombe.
Mi presi la testa fra le mani. Jasper aveva pagato per il suo crimine, era morto, ma la sua creatura era ancora libera e terribile e invincibile.
Mi alzai e andai a rannicchiarmi nel letto.
«Bella!» Mi chiamò Alice «Bella! Che c'è?».
Cosa potevo risponderle? Che avevo paura? Se mi avesse chiesto "di cosa?" avrei dovuto farle una lista lunga venti metri.
Per quasi tre ore e mezzo, restai rannicchiata nel letto, a dondolarmi e a fissare la parete. La mia mente si stava confrontando con livelli di stress crescentemente più alti e aveva bisogno di resettarsi.
Quando il telefono squillò, tornai nel salone, vergognandomi come una ladra del mio comportamento.
Alice parlava, rapida come sempre. L'orologio segnava le cinque e mezzo del mattino.
«Stanno per salire sull'aereo» Disse la vampira «Atterreranno alle nove e quarantacinque. Io mi trasferirò in un posto più vicino alla casa di tua madre e aspetterò Jasper lì. Sono certa che mi troverà, in un modo o nell'altro...».
A quelle parole, mi si strinse lo stomaco. Fui distratta da un altro squillo del cellulare. Alice sembrava sorpresa, io mi feci immediatamente avanti.
«Pronto?» Rispose la vampira «... No... no, è qui accanto...».
Alice mi passò il telefono, dicendomi sottovoce che era mia madre.
«Pronto?»
«Belarda? Bella?».
Era la sua voce, mi chiamava con un tono familiare che da piccola avevo sentito migliaia di volte, quando mi avvicinavo troppo al bordo di un marciapiede o mi perdeva di vista in un posto affollato. Era la voce del panico.
Feci un sospiro. Me lo aspettavo, malgrado avessi cercato nel mio messaggio di essere il meno allarmata possibile, senza però sminuirne l'urgenza.
«Calmati, mamma» Risposi, cercando di rassicurarla, allontanandomi piano da Alice. Non ero sicuro che con i suoi occhi addosso sarei riuscita a mentire senza tradirmi. «Va tutto bene, okay? Dammi solo un minuto e ti spiego tutto, te lo prometto».
Feci una pausa, fortemente sorpresa che non mi avesse ancora interrotta.
«Mamma?»
«Bada a non aprire bocca finché non te lo dirò io».

La voce che sentii fu inattesa e sconosciuta. Era un tenore, piacevole quanto anonimo, il genere di voce maschile che si sente fuori campo nelle pubblicità delle auto di lusso americane. Parlava molto in fretta.
«Ora non è il caso che io faccia del male a tua madre, perciò ti prego di fare esattamente ciò che dico e non le torcerò un capello» Restò zitto qualche istante, mentre io tacevo con lo stomaco ridotto a un nodo stretto stretto «Molto bene, complimenti. Adesso ripeti ciò che dico e cerca di farlo con naturalezza. Per favore, dì: "no, mamma, resta dove sei"»
«No» dissi. La mia voce era poco più che un respiro.
«Cosa?» la voce del tizio al telefono si venò di sorpresa
«No» ripetei «No, mamma»
«In che senso?»
«Nel senso, mamma, che tu non mi dici cosa fare» ringhiai
«Stai pensando di seguire un tuo copione di recitazione? Non ti conviene, ragazzina, e se è un codice...»
«Non è un codice» lo interruppi, improvvisamente sicura di me «Lo sapevo che qualcosa non andava. E ora so esattamente di cosa si tratta. Fammi sentire di nuovo la voce di mia madre»
«No. Comando io»
«No» lo scimmiottai «Comando io. Adesso fammi sentire la voce di mia madre»
«Belarda? Bella?» ripeté la voce di mamma, identica a quella che avevo sentito prima
«Come avevo immaginato» sorrisi «È una registrazione. Tu non hai mia madre con te»
«Lei è qui con me» disse con calma la voce tenorile «Te l'ho fatta risentire»
«Falle dire "pikachu è pollucio". Se lo farà, io mi consegnerò spontaneamente a te. Anzi, ti dirò immediatamente dove mi trovo».
Alice mi afferrò per le spalle e mi scosse
«Bella, non farlo!» esclamò
«Oh, sta zitta Alice!» ringhiai «Non lo vedi che sto gestendo la situazione meglio di tutti voi?».
Esattamente come avevo immaginato, non udii la voce di mia madre dire "pikachu è pollucio". Le prime parole che avevo sentito ("Belarda? Bella?") erano probabilmente quelle che mia madre ripeteva di più in assoluto, specie in mia presenza, perciò sarebbe stato fin troppo facile procurarsi una registrazione in cui le diceva. Dopodiché cominciava a parlare immediatamente quello scemo del vampiro segugio (ormai ero sicura che fosse il vampiro segugio), del tutto ignaro del fatto che mia madre al telefono urlava come un'assatanata.
Non potete fregare così Belarda Cigna, è troppo più intelligente di voi.
«Sono io in comando» Disse il segugio «Adesso ascoltami bene: allontanati dalla stanza in cui ti trovi, non farti seguire...»
«Ma và a infilarti un paletto di frassino nel sedere, scemo».
Chiusi la chiamata. Guardai Alice sollevando un sopracciglio
«Ora sappiamo dove si trova» dissi, mettendole in mano il telefono «E sappiamo che bluffa. Non c'è di che»
«Ma se adesso tua madre dovesse tornare davvero a casa» mi disse lei, trepidante «Lui la ucciderebbe senza esitazione!».
Il telefono squillò di nuovo. Guardai il numero sullo schermo, poi lo presi dalle mani di un'allibita Alice
«Pronto? Che cacchio vuoi ancora, testa di supposta?»
«Voglio che torni a casa di tua madre. Accanto al telefono troverai un numero. Chiamalo, ti risponderò io e ti dirò dove andare. Puoi farcela? Rispondi si o no»
«Certo che posso farcela» sorrisi
«Prima di mezzogiorno, per favore. Non ho tutta la giornata a disposizione» disse, educato
«Dov'é Phil?»
«Ah, stai attenta, Bella. Aspetta che ti dia il permesso, prima di parlare»
«No, io parlo come e quando voglio, testa di supposta. Ah, a proposito, prima che io chiuda il telefono... può anche darsi che io venga, ma voglio che tu uccida mia madre»
«Cosa?» chiesero contemporaneamente il segugio e Alice, uno educatamente perplesso e l'altra proprio sconvolta
«Mi hai sentito, testa di supposta. Voglio che fai fuori mia madre. Non me ne frega niente di lei. Dimostrami che fai sul serio. Verrò lì, ma prima voglio sentire le sue urla di dolore. Fammele sentire!».
Silenzio totale.
«Forse ci vediamo, testa di supposta».
Chiusi la chiamata, aprii la rubrica più veloce che potevo e guardai il numero di Edward che era stato memorizzato, poi rimisi ancora una volta il telefono in mano ad Alice.
«Perché?» Mi chiese lei
«Non è ovvio? Perché così lascerà stare mia madre in pace. Non ha alcun interesse a darmi ragione o a farmi un favore. E poi gli ho detto che forse andrò perché in questo modo saprete dove trovarlo. Non c'è di che, sfigati. Io sono out» allungai una mano e aggiunsi «Adesso dammi i soldi per la colazione, please».
Potevo anche essere sull'orlo del tracollo nervoso, ma non ero stupida.
Ma mi venne un'idea che poteva essere utile... un'idea per liberarmi dei vampiri (o magari anche solo di Edward) facendoli scontrare con il segugio.
Mi feci dare i soldi per la colazione, ma con quelli, oltre al cornetto e al caffè, comprai anche della carta e una penna. Seduta comodamente al tavolino del bar (e già mi mancava CM Punk, ma che ci volete fare) scrissi su una strisciolina di carta strappata il numero di Edward che avevo sbirciato nella rubrica per non dimenticarmelo e me lo misi in tasca, poi sul resto del foglio vergai una lettera.
Le mani mi tremavano un po', ma cercai di farle tremare di più, in modo da rendere la calligrafia tormentata, sottile.
Edward,
ti amo.
Scrivere queste parole mi fece venire il voltastomaco. Ma lo feci. Che coraggio che avevo.
Edward,
ti amo. Mi dispiace tanto. Ha preso mia madre, devo provarci. So che potrebbe non funzionare. Mi dispiace, mi dispiace tanto.
Non prendertela con Alice e Jasper. Se riuscirò a scappare da loro sarà un miracolo. Per favore, ringraziali da parte mia. Soprattutto Alice.
E per favore, per favore, non venire a cercarlo. Credo che sia proprio ciò che vuole. Non posso sopportare che qualcun altro si faccia del male per colpa mia, soprattutto se quel qualcuno sei tu. Ti prego, questa è l'unica cosa che ti chiedo. Falla per me.
Ti amo. Perdonami.
Bella.
Piegai la lettera per bene e la imbustai. Prima o poi quel coso l'avrebbe trovata e l'avrebbe letta. Gli avevo chiesto di non cercare il segugio, di farlo per me, ma sapevo benissimo che il suo guilty pleasure era disobbedire a qualunque mia richiesta, perciò l'avrebbe cercato e si sarebbero scontrati. E se la sarebbe presa con Alice (con Jasper no, che era morto).
Adesso veniva la parte difficile: scappare da sotto il naso della vampira maligna. Ma in effetti, visto che ero sotto, nel bar, e lei era sopra a sbattersi la testa (metaforicamente) contro le pareti perché Jasper era scomparso nel nulla, forse non era poi così difficile...
Semplicemente, mi alzai e me ne andai. Ovunque sarebbe stato meglio che in compagnia dei Cullen. 


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